È ufficiale: Patrick Melrose è LA serie da vedere quest’estate. E a spiegarci perché è direttamente il creatore dello show tratto dal ciclo di racconti semi autobiografici di Edward St. Aubyn, David Nicholls: “Non c’è nulla di simile in tv: vi farà piangere, vi farà ridere. Vi sconvolgerà”. Dall’adattamento alla scelta del protagonista: Benedict Cumberbatch (who else?) nei panni di un tossicodipendente dell’upper class segnato da un’infanzia traumatica con padre abusivo e una madre succube. Per il suo showrunner Patrick Melrose è il progetto della vita. Abbiamo incontrato lo scrittore (Un giorno, Le domande di Brian) e sceneggiatore inglese alla seconda tappa del Road to FeST (pre-Festival delle serie Tv, dall’11 al 14 ottobre a Santeria Social Club di Milano) per farci una chiacchierata sulla miniserie in 5 episodi, che andrà in onda in esclusiva per l’Italia su Sky Atlantic HD a partire dal 9 luglio.
Perché hai scelto di adattare i romanzi di Edwuard St. Aubyn?
Ho dovuto fare un’audizione. Avevo letto i libri e anche se non sono propriamente romanzi da adattare perché non hanno una vera e propria trama, c’è qualcosa di quella voce e di quel mondo che può davvero funzionare sullo schermo. Avevamo Benedict in mente come protagonista dall’inizio, pensavo che sarebbe stato fantastico. Era il progetto dei miei sogni e ho dovuto combattere per avere il lavoro e per realizzarlo. Ma ne è valsa davvero la pena.
C’è un altro attore in grado di interpretare Patrick come Cumberbatch?
No! E anche se ci fosse, sarebbe brutto da dire (ride)… ma no, davvero. Benedict ha fatto Amleto e questi personaggi hanno diverse cose in comune: rapidità mentale, arguzia, crudeltà, durezza, sono spietati ma fondamentalmente hanno anche il desiderio di esseri buoni, pure quando sono terribili. Ho pensato che il tipo di attore di cui avevamo bisogno per interpretare Patrick Melrose è lo stesso che assumeresti per impersonare Amleto. Quindi Benedict è sempre stato la primissima scelta.
Infatti molti critici hanno scritto che la serie è una sorta di “Amleto sotto eroina”…
È vero! È una descrizione perfetta: l’ossessione per il padre, il rapporto ambiguo con la madre, il desiderio di vendetta… è tutto lì.
Che impatto ha avuto Cumberbatch sullo script?
Più o meno quello di ogni attore con cui ho lavorato. È sempre stato molto protettivo nei confronti della sceneggiatura. Credo di aver scritto i primi due o tre episodi prima che salisse a bordo e, una volta arrivato, sapevo che avrebbe funzionato. È molto rassicurante sentire quella voce nella tua testa. Ero sicuro che ci sarebbe stato qualcosa di divertente, quel tipo di umorismo.
Il black humor…
Sì, i libri sono unici perché sono allo stesso tempo spaventosi e istericamente, brillantemente divertenti, senza essere faceti o sciocchi rispetto al tema centrale. Trattano il grande nucleo dark in prospettiva, ma non in maniera pomposa o troppo seria.
Il primo episodio ricorda Trainspotting, il terzo Gosford Park: come avete lavorato sulle reference?
Ci siamo confrontati parecchio su altri film che ammiravamo, non solo pellicole che riguardano droghe e alcool ma anche la società inglese. Abbiamo parlato delle pièce di Harold Pinter, quel senso di avvelenamento e pericolo. Quando abbiamo iniziato il progetto, l’idea era di avere un regista diverso per ogni episodio. Poi abbiamo realizzato che c’erano talmente tanti flashback e tagli che sarebbe stato meglio avere una sola persona al timone, ma volevamo comunque mantenere la suggestione che ogni puntata sembrasse e venisse percepita in modo completamente diverso. Ed è così sino alla fine: gli episodi sembrano realizzati da persone differenti, ma hanno anche delle cose in comune.
Come avete scelto la colonna sonora?
È merito di Edward Berger, il regista: ha lavorato con il compositore Hauschka per trovare qualcosa che non fosse eccessivo e troppo usato. Credo che soprattutto su droghe e alcool ci sia la tentazione di esagerare un po’ e trattare il tutto stile night club, ma non era quello che volevamo. Trainspotting lo ha fatto benissimo, ma – appunto – è qualcosa che abbiamo già visto. La musica è stata creata per farti sentire a disagio.
Se dovessi descrivere i 5 punti chiave della storia quali sarebbero?
Giovinezza sprecata, infanzia disastrosa, età adulta piena di speranza, paternità disastrosa e – finalmente – un po’ di pace.
Qual è stata la cosa più difficile dell’adattare i racconti?
In termini di storia in tv avevamo necessità diverse rispetto ai libri. Un romanzo non deve per forza avere cose che accadono o che cambiano continuamente, può essere descrittivo. Sullo schermo invece ti chiedi: “Cosa c’è di diverso, che cosa è cambiato? Perché dobbiamo fare questa scena?” Devi imporre una forma, senza compromettere il materiale. L’altra parte difficile è che sulla carta nessuno dice cosa pensa davvero e devi trovare il modo di mettere i pensieri in parole, senza far risultare tutti insoliti.
La serie si muove tra one man show e progetto corale: oltre a Cumberbatch, ci sono interpreti come Hugo Weaving e Jennifer Jason Leigh.
Patrick Melrose è un bellissimo ruolo, ma credo che il padre, David Melrose, sia il più grande villain della letteratura, è orribile. Ed è affascinante il modo in cui la madre, Eleanor Melrose, cammini sulla linea sottile tra l’essere empatica, dipendente lei stessa da qualcosa, vittima e mostro egoista. Sono parti davvero ricche e ammiro moltissimo questi attori. E ci sono altri interpreti in ruolo piccoli tipo Holliday Grainger, è fantastica. Quando scrivo un romanzo, la cosa che mi manca di più è quello che gli attori sono in grado di fare.