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Per Tom Hanks solo il tempo decide il valore di un film, non «quei succhiacaz*i» dei critici

«Un film esiste anche senza dover essere bollato come vincente o perdente», questa l'opinione dell'attore. Che ha portato l'esempio del suo debutto alla regia, 'Music Graffiti', criticato all'uscita e ora film di cult degli anni Novanta

Tom Hanks è il burbero Otto in ’Non così vicino’. Foto: Warner Bros.

Secondo Tom Hanks, solo il tempo può decidere il valore di un film. O almeno, non possono certo farlo quei «cocksucker» (letteralmente succhiacaz*i, perdenti) dei critici.

L’attore si è espresso così durante una puntata del podcast Conan O’Brien Needs a Friend. E ha portato l’esempio del suo debutto alla regia, That Thing You Do (commedia-musical del 1996, uscito in Italia con il titolo di Music Graffiti), criticato all’uscita ma ora film di culto degli anni Novanta.

«Questa è materia vivente. Quello che succede ora è che è il tempo a essere uno dei parametri principali per giudicare il valore di un’opera, giusto? Una volta era come prendersi a pugni. A ogni film che usciva era una gara ad arrivare ai playoff. E indovina? No ragazzo, non vai da nessuna parte. Oppure avevi una chance».

Hanks ha continuato: «Una volta era come avere una serie di Rubiconi da attraversare. Il primo era: ti piace questo film? Io avevo letto la sceneggiatura e l’adoravo. Il secondo Rubicone è quando il film è pronto, un anno e mezzo dopo, e lo vedi per la prima volta. Lì potrebbe piacerti o no. Non importa se funziona o no. Lo guardi e dici “Ehi, penso che ce la siamo cavata piuttosto bene.” Quello è il secondo Rubicone».

Sarebbe al terzo di questi passaggi che entrerebbero in gioco i critici con il loro giudizio: «Lì è sempre un su e giù: “Lo odiamo, lo amiamo. Questo fil è terribile… Oh ehi, Tom, ti ho visto in un film. Era carino”. E allora a te viene da chiedere a tua moglie: “Tesoro, potresti nascondere la pistola? Perché credo che…”». Intendendo che, a quel momento, a chi ha lavorato sul film possano venire strane idee autolesioniste.

È a quel punto, ha continuato l’attore, che entra in gioco il fattore-tempo. E che tutto ciò che sembrava importantissimo perde incredibilmente di significato. «Il film esiste anche senza dover essere bollato come vincente o perdente. Allora succede che quello che una volta non funzionava, comincia a funzionare, o magari il contrario. Qualcosa che aveva fatto il botto può diventare un pezzo da museo, e non avere più nulla da dire».

Per poi concludere: «Tutti giochiamo questo gioco. È un carnevale, è la gara. Ho fiducia nei meccanismi. È okay». Non prima però di aver lanciato la sua stilettata ai giornalisti: «Lascia che ti dica qualcosa a proposito di quei succhiacaz*i che scrivono di film. Posso dirlo?» E di aver chiuso l’aneddoto riguardante Music Graffiti: lo stesso critico che, all’uscita del film, lo aveva criticato duramente, dopo 20 anni aveva cambiato idea. «Mi ha detto: “Tutto quello che serve è una ventina d’anni da oggi e allora, e il film comincia a parlarti”».

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