Per chi vivesse su Marte: Big Mouth è la serie animata Netflix, già alla seconda stagione, sulle vicissitudini di un gruppo di amici (Nick, Andrew, Jessi, Jay e Missy) appena entrati nel selvaggio mondo dell’adolescenza – e quindi della pubertà, e quindi della scoperta della sessualità. A far saltare il banco è, fondamentalmente, il fatto che il loro approccio ovviamente ingenuo non trovi appigli intorno: fra genitori più confusi dei figli, maestri di scuola attardati nello sviluppo (Coach Steve, davvero uno dei personaggi più divertenti degli ultime serie animate) e sboccatissimi “Mostri degli Ormoni” – Maurice e Connie, che non sto neanche a spiegarvi a cosa servano -, crescere è davvero dura, altroché. Inutile aggiungere, poi, che parliamo di un prodotto demenziale, scandito quindi da una comicità feroce, in un susseguirsi di battutacce, doppi sensi e scene talmente esplicite da rasentare la pornografia. Bene, fine dello spiegone.
Parlandone con un amico, eravamo giunti a questo: se avessimo avuto la possibilità di seguire Big Mouth durante la nostra prima adolescenza, per il suo approccio così diretto (e veritiero) alla sessualità probabilmente o ne saremmo rimasti traumatizzati, oppure ne avremmo fatto la nostra maestra di vita. La realtà, però, dice che Big Mouth è una roba decisamente per adulti, e non per una semplice questione di bollino “+16”: la goliardia degli accostamenti che fa, la volgarità di certi doppi sensi e la comica ferocia di alcune sue situazioni non sono mai fini a sé stesse. Non è, insomma, un American Pie fuori tempo massimo, in cui ridere per una “milf” e fermarsi lì.
Al contrario, la comicità che incorpora risulta davvero efficace, oltre che liberatoria, proprio se vista “da fuori”. Nei corpi – e nelle menti, e nei genitali – di quegli adolescenti ci siamo noi da ragazzini, con le insicurezze, i “traumi” e le scoperte meravigliose che tutti abbiamo vissuto; c’è solo la verità, in quei limoni col ferro degli apparecchi: spesso estremizzata, parodizzata, ma mai assurda. Guardare Nick a disagio perché sviluppa più tardi degli altri, o seguire Andrew nella sua “Pornscape” (una dimensione parallela in cui si accede per eccessiva dipendenza da porno; paradossale, certo, ma non c’è forse un – gran – fondo di verità in tutto ciò?) ci riporta in situazioni in cui tutti – senza fare orecchie da mercante – siamo passati almeno una volta, e che ancora, a pensarci, ci imbarazzano. Ma il senso, stavolta, è che l’imbarazzo semplicemente non esiste, e tanto vale allora ridere di noi stessi e di quella goffaggine, del terrore post-menarca e dei Mostri degli Ormoni con cui tutti, nessuno escluso, siamo scesi a patti.
E ancora: nella grossolana ingenuità dei protagonisti, come in quella dei loro genitori, ci sono le nostre vite di adulti perennemente adolescenti, costantemente indecisi, sessualmente frustrati in un clima da condanna e da caccia alle streghe.
Perché sì, Big Mouth in questo senso è un fiume in piena, ed è la prima serie animata che riesce a parlare davvero di sesso senza filtri o sovrastrutture, ma con una naturalezza e una spontaneità da far scuola, evitando di incappare in luoghi comuni triti o, più semplicemente, in una superficiale denuncia delle “perversioni” che pure tanto sarebbe venuta facile. Il senso, semmai, è che in certe fantasie ci siamo caduti tutti, e non ci sono tabù o sensi di colpa (quest’ultimo, semmai, viene quasi demonizzato), ma solo tanta lucidità nel mostrare le contraddizioni del mondo – patriarcale, sessofobico e omofobo – in cui ancora, evidentemente, ci troviamo. Il tutto con un messaggio, neanche tanto implicito, sullo sfondo: per uscirne, bisogna lasciarsi andare, “essere sé stessi”. Banale? Neanche tanto.