Berlino 1936. Sono le Olimpiadi organizzate da Hitler e da Goebbels, un occasione per alimentare il potere del Reich, per esaltare la razza ariana. Ma non avevano fatto i conti con un dettaglio. Un dettaglio velocissimo e parecchio importante, anche perché di colore. La storia di Jesse Owens, vincitore in quell’anno di quattro medaglie, ha spezzato la storia, ha definito un momento incancellabile. Perché un ragazzone di colore, cresciuto nell’Ohio, riuscì a scombinare i piani, almeno sportivi, del Führer.
Una vicenda clamorosa, che arriva al cinema con Race – Il colore della vittoria. Il protagonista è Stephan James, già visto in Selma, che per l’occasione si è messo a correre, e forte per diventare Jesse Owens. «Non avevo mai fatto niente di fisicamente impegnativo prima d’ora», ha detto James. «In realtà la sfida più grande è stato rendere il livello di umanità di Jesse Owens. È stato una persona che ha ispirato una generazione, con la sua forza quotidiana. Oltre al grande sacrificio fisico, questo ruolo ha portato un impegno psicologico altissimo. È un personaggio che lascia molto poco di te stesso».
Nel film c’è anche Federico Buffa: è la voce dello speaker radiofonico. Scelto anche perché con il suo spettacolo teatrale, Le Olimpiadi del ’36, racconta esattamente questo momento. Incredibile, per la storia della società. «Sono il momento della perdita totale della verginità dello sport», dice Buffa. «È il momento in cui de Coubertin muore davvero. È una kermesse con un fine diverso da quello sportivo, o almeno, con un fine che si aggiunge a quello sportivo. Goebbels è il padrone delle olimpiadi di quell’anno, aveva dato ordine di costruire uno stadio enorme, da 400mila posti. Nei suoi piani, la Germania avrebbe dovuto organizzare le Olimpiadi per sempre, forse inserendo sport di cui non conosciamo nemmeno i nomi. È evidente che quello sia un momento in cui lo sport devia in un’altra direzione».
Quindi Race non è un film di sport. È un film di storia e di sport. È un film di civiltà. «È un messaggio che valeva allora, che vale ancora oggi e che spero non varrà più in futuro», è il giudizio di Fiona May, due volte argento alle Olimpiadi. «Abbiamo fatto dei passi avanti ovviamente rispetto al 1936, ma c’è ancora razzismo oggi nello sport. È più discreto, più nascosto. Ma Jesse Owens ha dimostrato che se hai un sogno, se hai voglia di conquistarlo, puoi farcela».
Incredibilmente, negli ultimi tempi, il nazismo è tornato di attualità in America. Ai rally di Trump, spesso, sono stati fotografati supporter che mimavano il saluto romano e i paragoni tra il candidato repubblicano e il gerarca si sono moltiplicati. «È interessante», dice Stephan James. «Penso che viviamo in un mondo che semplicemente non è perfetto, ci saranno sempre persone con ideali che altri ritengono estremi. Il problema va molto oltre Trump, lui ha semplicemente avuto più coraggio degli altri a esprimere quello che pensa verso il mondo. Non è niente di nuovo».