«Salvini non conta nulla. Il suo non è nemmeno vero razzismo» | Rolling Stone Italia
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«Salvini non conta nulla. Il suo non è nemmeno vero razzismo»

Una nuova stagione televisiva è cominciata, e il più bravo comico italiano non figura in nessun palinsesto. Perché per Giorgio Montanini il proprio lavoro va difeso, «fino a pagare col sangue» e mandare a quel paese chi ci governa

«Salvini non conta nulla. Il suo non è nemmeno vero razzismo»

La nuova stagione televisiva è cominciata, e ancora una volta il miglior comico italiano non andrà in onda. Giorgio Montanini, nato 41 anni fa a Fermo, nelle Marche, è fuori dal piccolo schermo da un po’. Ci era arrivato negli ultimi anni, dopo l’infinita gavetta da stand up comedian in teatri di provincia e locali con le assi del palco sconnesse. Eppure le cose non sono durate a lungo.

Nel 2014 Montanini ha curato la copertina satirica di Ballarò – arrivava dopo Maurizio Crozza, cui non ha mai risparmiato critiche -, ma è durato appena due settimane. I suoi monologhi a Nemo – Nessuno escluso hanno suscitato attenzione e commenti molto positivi, ma pure in questo caso non è durato a lungo. Poi sono arrivate Le Iene, dove è andato in onda appena tre puntate. Il suo programma Nemico Pubblico, invece, è durato tre anni su Rai Tre, ma dal 2016 non ha più trovato una collocazione nei palinsesti.

Saranno i temi “scomodi” o il linguaggio “ruvido” dei suoi show? I suoi modi di fare non esattamente disponibili al compromesso? O la scarsa propensione della televisione italiana a portare un genere come la stand up comedy nel campo del mainstream? Lo chiediamo direttamente a lui, iniziando da un complimento, come fanno i veri ruffiani.

Caparezza in una recente intervista sul nostro magazine ha detto che gli stand up comedian sono i nuovi rapper, e che in Italia tu sei indiscutibilmente il numero uno. Lo sapevi?

Ero a conoscenza della sua stima nei miei confronti, chiaramente contraccambiata. Allo stesso tempo rimando al mittente la responsabilità che attribuisce al mio ruolo. Non mi sento di accettare da un punto di vista artistico la sua “investitura”, anche se capisco cosa intenda dire da un punto di vista culturale. Ossia che l’unica voce contromano al momento, paradossalmente, è la comicità.

La musica non ha più molto da dire?

La musica oggi sta vivendo un momento drammatico a livello culturale, quello che la comicità ha vissuto negli anni ’80. Se Brunori Sas è il miglior cantautore di un Paese che ha avuto Guccini, De André e Dalla, vale la pena farsi due domande. Oggi, con i talent, siamo arrivati alla fase della fabbricazione degli artisti: il cantautorato è stato distrutto, la tecnica elevata ad arte. Non c’è cuore e non c’è sangue, ma solo commercio. Noi comici abbiamo vissuto una parabola simile dagli anni ’80 in poi, con Drive In, Zelig e Colorado.

L’epoca di quel tipo di comicità è definitivamente tramontata?

Grazie a Dio, sì. In ritardo, ma è cominciata una nuova fase. Magari il pubblico non l’ha ancora percepito, ma chi fa questo mestiere sa che siamo fuori da quel periodo storico. Abbiamo vinto da un punto di vista culturale, perché è morto un genere anacronistico come il cabaret, puro avanspettacolo che per 30 anni ci ha tenuto indietro rispetto a Spagna, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, tutti. Ovunque, anche in Arabia, c’era la stand up comedy, tranne che da noi. Adesso è arrivata, e i cabarettisti non lavorano più.


Ma dove e come “ha vinto” la stand up comedy? Si è imposta solo in Rete e nei teatri, o anche nell’universo più mainstream?

C’è una sorta di misunderstanding, non è la televisione a determinare un cambiamento culturale. Io ricordo sempre che la Rai non ha nelle sue teche il concerto romano dei Beatles, perché i dirigenti dissero “questi in due mesi spariscono”. La tv è un mezzo, che deve percepire il cambiamento della società. Altrimenti chiude la tv, non è che sparisce la comicità.

Come ha fatto la stand up comedy a prendere il suo spazio?

All’inizio è arrivata attraverso un manipolo di pazzi, partiti nei locali che puzzavano di piscio, con cinquanta persone all’ascolto. Io, lo dico con orgoglio, sono stato il primo a imporre questo tipo di comicità a livello nazionale: lo rivendico perché ho sputato sangue e mangiato chili di merda per riuscirci. Ora manca la seconda generazione di comici, ma verrà. Perché i ragazzi di 18 anni non conoscono Cevoli o Brignano, ma Bill Hicks, Louis C.K.. E me.

Chi fa tv oggi in Italia ha capito che qualcosa è cambiato?

Deve farlo, è ineluttabile. Sono quelli sotto che decidono chi resta in alto, altrimenti chi sta sopra viene travolto.

Per intanto tu sei fuori dalla tv, e tuoi colleghi lottano per spazi “minori” in tv “minori”.

Ma il successo, in ogni caso, non si misura così: si può morire sconosciuti e contribuire ad avere cambiato qualcosa. Anche se non lavorassi più in tv e nessuno venisse a vedere i miei spettacoli, non cambierebbe un cazzo.

Prima hai citato Brignano, lo citi spesso. Attribuisci alla sua comicità e a quella di altri “colleghi” simili a lui nello stile e nei contenuti delle colpe del declino culturale – e politico – di questo Paese?

Nel 2013 Brignano era alle Iene e faceva dei monologhi populisti, inascoltabili, senza mezza battuta. “Lo scontrino del politico… che magna l’orata a tre euro”, queste cose le dice mio zio al bar. Già trovo inaccettabile che lo dica lo zio, figurati chi lo dice sul palco o in tv, con una responsabilità verso la collettività. Negli anni è stato fatto un lavoro eccezionale per fare sì che quelli come Brignano funzionassero. Si è cominciato con Craxi, l’orologio sul polsino e l’aperitivo alle sei, il berlusconismo prima ancora di Berlusconi. L’Italia da Paese operaio è diventato terra della classe media, tutti sottospecie di yuppie. Drive In, con i suoi culi e le battute finte, è stato il primo step della distruzione della cultura in Italia. Guarda caso tutto è partito dalla comicità, e ora pagano il cinema, la musica, etc.

Stai dicendo che la comicità è avanguardia?

È l’“arte” più aderente alla realtà. Bob Dylan è un mito, gli fanno i b… in strada solo perché è lui. Secondo la gente Mick Jagger non va nemmeno al cesso, perché è un’icona. Il comico, chi più e chi meno, invece, non se lo caga nessuno, perché è più vero e quotidiano. Per questo, d’altro canto, spesso si usa la comicità come stiletto per scardinare ciò che non piace, perché entra nella carne e va in profondità.

E poi c’è la comicità di regime.

La comicità reazionaria c’è sempre stata: il giullare di corte sapeva cosa doveva dire e cosa no. Non mette in evidenza le contraddizione, ma le rafforza.

Solo che oggi c’è chi ha la capacità di fare passare certi concetti come una “verità altra”, tipo “quello che i media non dicono”. Ed è molto pericoloso.

Abbiamo un cazzo di comico al potere, vedi un po’ te. C’è un cortocircuito. Il politico, in teoria, agisce per il bene della collettività. Il comico, al contrario, sale sul palco e se ne sbatte il cazzo di come la pensi tu, non cerca consenso.

Questo vale per tutti gli artisti.

Certo. Per questo chi canta della maglietta stretta della sua amata o di quanto è felice con lei, semplicemente non è un artista. Non me ne frega un cazzo di quanto tu sia innamorato, Baglioni. Quella è ricerca del consenso del pubblico, quindi merda. Non conoscendo la comicità, Grillo, un simpatico bifolco che non ha nulla a che vedere con la satira, ha preso il suo punto di vista personale e lo ha elevato a punto di vista politico. Un’aberrazione. Se ci fosse ancora Berlinguer, o anche Andreotti, uno non potrebbe votare Grillo. Ma questo è il momento che siamo chiamati a vivere.

Eppure si dice che uno come lui, oppure Salvini, sia un genio della comunicazione. Glielo riconosci?

Salvini dice cose a cui non crede: nessuno a quel livello può dire che l’immigrazione è un problema dell’Italia. Che non sia così lo spiega il Sole 24 Ore, lo confermano i dati ministeriali: l’immigrazione è un capitolo positivo di questo Paese, necessario per il capitalismo. L’occidente senza manodopera a basso costo non potrebbe fronteggiare i Paesi del terzo mondo, che ci rompono il culo con i loro lavoratori low cost. Salvini è un parafulmine del capitalismo, un uomo al servizio del sistema, che finge di urlare contro gli immigrati e non fa nulla. Lo stesso discorso per Trump, altro che muri. Vale più un immigrato con la sifilide di lui, che deve solo fare quello che il capitalismo gli ordina.

I sovranisti non sono dunque destinati a combinare nulla?

Quelli come Salvini fermano una nave – così possono additare il capro espiatorio –, e ne fanno passare altre 12. Poi si fingono indignati perché c’è la mafia dietro i barconi, ma quella è solo la selezione all’ingresso operata dal capitalismo: se partire costa 2000 euro, allora ha accesso si taglia fuiori il ragazzo della periferia di Kinshasa, che non ha mai avuto tra le mani un centesimo nella sua vita, e ad arrivare sarà la middle class africana, che trova il modo di venire qua a farsi sfruttare. Se partissero gli ultimi, le cose cambierebbero, e verrebbero fuori i casini veri. Prima o poi troveranno il modo di arrivare, altro che chiudiamo le frontiere.

Ti turba il disfacimento della sinistra?

No, non me ne frega un pezzo di cazzo. La Merkel è il capo-ufficio e gli altri fanno Fantozzi: Renzi prima e Salvini poi. Sono tutti al servizio del capitalismo, non cambia nulla. I governi nazionali non esistono più, hanno tutti il programma già scritto dalla Bce.

Quindi tutto ti pare a posto così?

Non mi preoccupa Salvini, come detto, perché so che recita. Mi preoccupa la gente, la barbarie in cui siamo finiti. Salvini e quelli come lui vogliono che parliamo di razzismo, gli fa comodo. Ma un tempo persino il razzismo era una cosa più seria, con un valore, diciamo così, culturale. Noi non siamo un popolo razzista, ma ignorante, frustrato e bestia. Ci danno in pasto i disperati, perché la gente deve sfogare la violenza. Avviene sin dai tempi dei cristiani al Colosseo.

Le tue parole potrebbero essere facilmente tacciate di complottismo: rischi di finire in un calderone con personaggi non esattamente stimabili.

Posso dire parolacce?

Non mi pare tu ti sia mai limitato…

Si mettono tutti in fila, e mi fanno un b… Chi mi attacca deve portare argomentazioni. Complottista dove, come e perché? Io dico quello che penso e perché lo penso: se tu non fai lo stesso, non puoi parlare con me. Vai al bar e parli con il cazzo di tuo zio.



Ma sono certo che più di uno, sentendoti, ti abbia detto “parli come quegli altri”, quelli che oggi sono al potere. Davvero non vivi l’equivoco?

Charlie Chaplin arrivò terzo a un concorso per sosia di Charlie Chaplin. Dipende da chi dice una cosa e perché. Io sostengo che dobbiamo riapproppiarci della democrazia, dei valori umani essenziali per andare avanti, come la solidarietà e l’antifascismo. Se Salvini dice che dobbiamo salvare l’Italia e per lui la soluzione è attaccare gli immigrati, pace. Non posso permettermi di farmi influenzare da quello che pensa la gente. Non può arrivare il primo stronzo che mi ascolta cinque minuti e mi giudica. Mi deve fare un b…, questo lo dico ad Aldo Grasso come all’ultimo stronzo. Se ti fai influenzare da queste cose, non puoi andare sul palco. Devi difendere il tuo lavoro, mandare affanculo tutti, pagare col sangue, se credi in quello che fai. Anche perché nessuno ti ha chiesto di salire sul palco: siamo una specie non richiesta. A differenza dei medici o dei panettieri, se domani morissero tutti i comici non cambierebbe nulla a nessuno. Il mondo andrebbe avanti, magari solo un po’ più triste.

C’è qualcosa che salvi in tv?

Di certo non la comicità, perché non esiste più. Al momento, da questi punti di vista, nessun dirigente sa che pesci pigliare.

A cosa stai lavorando oggi?

Al mio spettacolo, che è ancora in tournée vedi. In tv per ora non c’è nulla. perché non mi ha chiamato nessuno. Faccio il comico, che è il mio lavoro: la televisione è solo un modo per diffondere ciò che faccio a più gente possibile.