Sean Penn torna su un’annosa questione di cui si dibatte moltissimo a Hollywood: è giusto che attori eterosessuali interpretino personaggi gay?
Lo fa parlando, in un’intervista con il New York Times, del ruolo che gli ha dato il secondo Oscar: quello di Harvey Milk in Milk di Gus Van Sant, uscito nel 2008.
«Oggi non potrei più farlo», dice l’attore e regista 63enne. «Viviamo in un’epoca in cui si è oltrepassato ogni limite. Ci sono delle nuove regole banali e mosse dalla paura che hanno ucciso l’immaginazione».
Penn dice anche che, dopo Milk, «ho passato 15 anni deprimenti sui set», perché si sentiva «un attore conosciuto, che interpretava il ruolo del protagonista, che era pagato bene e che si trovava, sul set di turno, in una posizione di leadership, perciò dovevo sempre presentarmi con la giusta energia e, in qualche modo, proteggere il regista».
«Fingevo di divertirmi e in realtà ero esausto», aggiunge. «La maggior parte del tempo stavo lì a chiedermi: “Che ore sono? Quando finiamo?”. Non ne potevo più, ma al tempo stesso, se avessi smesso, non sapevo se avrei potuto continuare a permettermi la mia casa o a viaggiare per il mondo quando volevo».
È andata avanti così finché la sua amica Dakota Johnson non gli ha proposto il copione di Daddio, film appena uscito negli Stati Uniti che racconta l’incontro tra una giovane donna appena arrivata a New York e il tassista che dall’aeroporto la accompagna in città.
«È stata un’esperienza molto piacevole e che ha significato molto per me, forse anche più che in passato», dice Penn.