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Silenzio, parla Morgan Freeman

La voce più magnetica di Hollywood oggi spegne 80 candeline. Lo festeggiamo con gli 8 monologhi più belli della sua carriera

«Morgan Freeman non ha la voce di Dio, è Dio che ha la voce di Morgan Freeman». Matthew Broderick un anno fa ha detto pubblicamente quello che molti di noi pensano da sempre. L’attore afroamericano premio Oscar è uno dei più carismatici ed eclettici del cinema e uno dei migliori in assoluto quando si parla di monologhi e discorsi motivazionali sul grande schermo. Per festeggiare i suoi 80 anni ne abbiamo scelti otto.

“Million Dollar Baby” di Clint Eastwood (2004)

Eastwood sceglie la voce più magnetica di Hollywood per narrare la storia di un ex-pugile disilluso (lo stesso Clint) che decide di allenare una giovane cameriera (Hilary Swank). Per il ruolo di Eddie “Scrap-Iron” Dupris Freeman vince l’Oscar come non protagonista. E questo pep-talk rivolto al personaggio interpretato dal regista spiega perché. Consolatorio.

“Le ali della libertà” di Frank Darabont (1994)

Stephen King nel libro descrisse il personaggio di Ellis Boyd “Red” Redding come un irlandese bianco ma sul grande schermo il talento di Freeman ha avuto la meglio. L’interpretazione di questo ergastolano che controlla il contrabbando in prigione e, dopo numerosi tentativi, viene rilasciato sulla parola è in assoluto una delle sue più forti. Due i momenti da segnalare: il monologo davanti alla commissione per la libertà vigilata: “Non passa un solo giorno senza che io non provi rimorso, non perché sono chiuso qui dentro o perché voi pensate che dovrei” e quello finale “O fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire”. Libero.

“Invictus – L’invincibile” di Clint Eastwood (2009)

A sceglierlo per interpretare Nelson Mandela è stato Nelson Mandela in persona. E Morgan Freeman riesce a rendergli giustizia. 1995, il Sudafrica è ancora diviso dall’odio tra neri e bianchi e la nazionale di rugby è il simbolo di questa spaccatura. Mandela spera che la vittoria nella Coppa del Mondo aiuti il processo di integrazione. La lettura della poesia Invictus di William Ernest Henley, usata dal leader sudafricano per alleviare gli anni della sua prigionia durante l’apartheid, e il discorso sull’ispirazione sono da brividi. Inspirational.

“Se7en” di David Fincher (1995)

La formula può sembrare già vista: detective giovane e impulsivo e vecchio collega quasi in pensione indagano su serial killer. Ma sono la regia, la sceneggiatura e la bravura degli interpreti a far decollare la pellicola, con Freeman che ruba la scena. Come quando in un bar spiega a Brad Pitt che “L’apatia è una soluzione. È più facile stordirsi con qualche droga piuttosto che affrontare la vita, è più facile rubare ciò che si vuole piuttosto che guadagnarselo, è più facile picchiare un figlio che educarlo. Diamine, l’amore costa… costa impegno, lavoro”. Saggio.

“Glory – Uomini di gloria” di Edward Zwick (1989)

Il film racconta le difficoltà della prima unità composta interamente da soldati di colore durante la Guerra di Secessione. La sua forza? Gli attori non protagonisti, da Denzel Washington a Morgan Freeman, che con le loro performance riescono a trascendere gli stereotipi hollywoodiani sugli afroamericani. Il sergente maggiore John Rawlings è un leader nato, vedi quando schiaffeggia Silas Trip (un Washington da Oscar) che lo ha chiamato “nigger”: “Non ci sono negri da queste parti!”. Autoritario.

“Conta su di me” di John G. Avildsen (1989)

L’ex-campione di baseball “Crazy” Joe Clark viene chiamato a dirigere il liceo Eastside di Paterson (New Jersey), dove droga, violenza e corruzione la fanno da padrone. Con una disciplina ferrea e metodi poco ortodossi riesce a infondere speranza ai ragazzi, grazie anche a monologhi come questo: ”Affondiamo, nuotiamo, ci risolleviamo, cadiamo, andiamo incontro al nostro destino tutti insieme!”. Incoraggiante.

“Robin Hood – Principe dei ladri” di Kevin Reynolds (1991)

Nei panni di Azeem, un saraceno cui Robin Hood (Kevin Costner) ha salvato la vita in Terra Santa e che per questo gli ha giurato fedeltà, Freeman incoraggia gli Inglesi a ribellarsi allo sceriffo di Nottingham: “Non sono uno di voi ma combatto! Combatto con Robin Hood! Se volete essere uomini liberi, dovete combattere!”. Trascinante.

“Una settimana da Dio” di Tom Shadyac (2003)

Probabilmente Morgan Freeman è l’unico attore in attività a risultare credibile nei panni di Dio, che sia vestito di bianco o mascherato da inserviente con il cappellino degli Yankees. Un Dio con uno strano senso dell’umorismo che decide di rispondere alle accuse di un reporter insoddisfatto (Jim Carrey) prendendosi una vacanza e lasciando a lui i compiti da Onnipotente per una settimana. E la morale è questa: “Dividere la minestra non è un miracolo, Bruce, è un trucchetto. Una madre sola che deve fare due lavori e che trova ancora il tempo di accompagnare il figlio all’allenamento di calcio, quello sì che è un vero miracolo. Un adolescente che dice di no alla droga e sì all’istruzione, questo è un miracolo. Le persone vogliono che faccia tutto io e non si rendono conto che sono loro ad avere il potere. Vuoi vedere un miracolo, figliolo? Sii il tuo miracolo”. Divino.

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