«A 16 anni ero assolutamente anarchica. E sai cosa? Credo che le persone non cambino. Magari smussano gli spigoli con l’età e le responsabilità, ma fondamentalmente restano le stesse». Stefania Rocca è ancora una punk nell’anima: «Ho lo stesso modo di approcciarmi alle cose e inconsciamente lo trasmetto pure ai miei figli: quando vedo che hanno quel tipo di atteggiamento, sono contenta». Ride.
Essere anticonvenzionale le viene naturale: «Se ti prendi troppo sul serio in questo mondo sei solo un fanatico». Le dico che ho notato il suo nome su Instagram: Stefania Rock. «Viene dai miei amici di infanzia: il rapporto con loro è rimasto lo stesso, e così ho conservato anche il nome. Mi appartiene, è il mio background». Da attrice cambia ritmo per ogni ruolo, «ma il mio resta l’electro-rock». Il personaggio che l’ha lanciata – Naima, l’hacker di Nirvana, diretto da Gabriele Salvatores – «era legata ai Massive Attack. La vedevo come un lupo, solitaria, ma non aggressiva, una che tira fuori gli artigli al momento giusto. Per La bestia nel cuore di Cristina Comencini, invece, ho ascoltato Luigi Tenco, perché Emilia era il melodramma assoluto: cieca, incompresa, con un senso di vergogna, ma anche con una vena poetica».
«I tortelli al pesto li mangi ancora?», le chiedo. Stefania ridacchia. La sua carriera è iniziata con uno spot gastronomico. Dietro la macchina da presa c’era sempre Salvatores. «Credo di non averli mai mangiati, sicuramente li cucino per mio figlio, perché il pesto gli piace e i tortelli pure. Facevo pubblicità per mantenermi agli studi al Centro Sperimentale ed era l’occasione di avere i primi approcci sul set. In qualche modo erano dei piccoli film: non ho mai avuto l’idea che se fai cinema non puoi fare pubblicità».
Se Rocca, come attrice e donna di cinema, non ha bisogno di presentazioni, arriviamo al vero motivo di questa intervista: Stefania è la direttrice artistica dell’Otranto Film Fund Festival, una grande festa che invaderà piazze e strade della cittadina pugliese dal 10 al 15 settembre: «Non ho mai scritto così tante mail in vita mia. La costruzione di un personaggio e l’organizzazione di un festival hanno in comune il processo creativo, ma in una manifestazione c’è molto di più, una serie di attività per cui pensavo di essere negata. Scopriremo insieme come andrà, perché – purtroppo o per fortuna – continuo a combattere con la mia curiosità: ho sempre bisogno di esplorare altri mondi, sennò sto male. È una forma di irrequietezza».
Le radici di Stefania sono in Piemonte, a Torino, ma ormai si sente pugliese: «Sono tanti anni che frequento questa regione. Carlo Capasa, mio marito, è leccese. E ormai conosco quasi più la Puglia che la mia città. La curiosità, quando ti confronti con qualcosa di nuovo, ti porta molto più a fondo. I pugliesi sono stati estremamente disponibili nell’adottarmi». Otranto è un posto speciale: è la città più a Est d’Italia e protesa verso l’Oriente anche culturalmente, spiega Stefania, attraversata nei secoli da diverse comunità. «Gli otrantini hanno tratti somatici misti, e sono molto accoglienti. È un luogo che si fonda su una moltitudine. E la rassegna di quest’anno si intitola proprio Community Edition, per raccontare storie di comunità, ovunque esse siano. Ma anche le dinamiche del cinema indipendente, che di comunità è fatto».
Ci sarà tanto spazio per le nuove generazioni, con la Filmmakers School Community, l’unione di cinque scuole di cinema che collaboreranno per una settimana, e con la Social Music Community: «I ragazzi del conservatorio di Lecce interpreteranno colonne sonore di film e verranno selezionati per il concerto di ne festival, coordinati da due grandi: Raffaele Casarano e Mirko Signorile. A chiudere la rassegna uno spettacolare evento musicale all’alba sulla spiaggia, in collaborazione con Rolling Stone. Anche il web farà la sua parte, con anteprime di serie e tavole rotonde». Poi c’è la competizione ufficiale: «Nove film in concorso, tutti in qualche modo legati al Mediterraneo: abbiamo coinvolto rappresentanti del cinema italiano, turco, spagnolo, greco, albanese, bulgaro… Da Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher a Oltre la notte di Fatih Akin». La giuria è presieduta dal regista Mike Figgis, candidato all’Oscar per Via da Las Vegas, e composta, tra gli altri, dalle attrici Isabella Ferrari e Matilde Gioli.
L’apertura è un omaggio a Charlie Chaplin, «che ha saputo farci ridere, piangere e riflettere sulle classi sociali. Proietteremo Il monello e Charlot emigrante, sonorizzati dal vivo grazie al maestro Helmut Imig». Ma c’è un altro evento molto importante per Stefania Rocca, la Woman in Run (in collaborazione con ActionAid), una maratona di 5 km nei luoghi simbolo di Otranto. «Saremo tutti vestiti di rosso, per dire no alla violenza sulle donne». Nessun tentennamento, Stefania ha deciso di affrontare per direttissima le tematiche calde di questi tempi: le donne, l’accoglienza: «È inutile fare finta di nulla, è il nostro oggi. Io non ho una soluzione, ma questo festival è per interrogarci insieme, perché avere una comunità che ti dà sicurezza è fondamentale. Il problema è quando non ce l’hai e sei in bilico, come i migranti di guerra. Chi li accoglie? È questo il messaggio: bisogna riflettere, prima di prendere posizioni drastiche». La domanda viene spontanea: inviterà Salvini al festival? Stefania ride. «La politica la lascerei fuori. Il bello del cinema è che abbiamo la possibilità di far riflettere le persone accogliendo prospettive diverse, come i film che abbiamo selezionato. La varietà è ricchezza».