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‘Succession’, denaro e potere tra Re Lear e Trump

Arriva stasera su Sky Atlantic la serie che racconta di un impero mediatico e della sua successione, tra intrighi familiari e satira

Succession, lo show tv che narra le vicende di una famiglia ricca, potente e famosa, non quella che fa parte dell’1% ma quella che decide quando l’1% possa essere prosperoso e in salute, ovviamente fottendo la gente normale. Il capofamiglia è Brian Cox, che interpreta Logan Roy, patriarca spietato che gestisce il mega Waystar Royco, colosso dell’impero mediatico. Logan cerca di navigare la famiglia tra i vari problemi organizzativi, molti dei quali non proprio legali, e quando, in un unico momento di debolezza inizia ad avere problemi di salute, il suo impero inizia a perdere il controllo. Questo scatena la lotta spietata dei quattro figli di Logan per il controllo del business familiare. Kendall (Jeremy Strong), nonostante gravi problemi di dipendenza alla cocaina e in rehab, presume di essere il leader e successore perché è l’unico ad avere esperienza nel business familiare; la sorella Siobhan aka rossa Shiv (Sarah Snook), il cui passato politico la rende la più spietata in termini strategici; Roman (Kieran Culkin, fratello degli attori Macaulay e Rory Culkin) apparentemente il più sfigato dei fratelli ma l’unico capace di supportare e sopravvivere agli abusi verbali del padre per avere un minimo di riconoscimento professionale e Connor (Alan Ruck) il figlio più anziano, l’unico a non voler essere coinvolto nel casino della successione ma inevitabilmente manipolato nel meccanismo. Il clan dei Roy non è completo senza l’aggiunta dei vari partner, marito, ex-moglie, e soci, tutti alla ricerca di un pezzo del potere della mega torta di Logan. Cinico ma con un bel senso dell’umorismo. Fidatevi de La Bestia quando vi dice che è uno show tv da non perdere. Astuto, sagace, ironico, pungente. Una figata. Lo show tv cable (HBO) più seguito dagli americani nel 2018.

Succession parte stasera su Sky Atlantic e noi abbiamo intervistato il creatore dello show, Jesse Armstrong, e i protagonisti Brian Cox e Jeremy Strong.

Intervista a Jesse Armstrong

Jesse, sei famoso come scrittore comico (Peep Show, Fresh Meat, The Thick of It) e in questo show non mancano momenti comici, anche se il tono generale è decisamente più sarcastico. C’è un motivo particolare per cui hai scelto di scrivere qualcosa di più drammatico?
Lo show l’ho scritto prima che Trump fosse eletto Presidente, ma prima di lui, l’aria che circolava in Europa e negli Stati Uniti era decisamente conservativa. Avrei potuto scrivere uno show comico su questa famiglia, ma ero più interessato al loro potere e come lo gestiscono, i soldi sono importanti perché rendono le reazioni dei personaggi più realistiche, descrivono il loro stile di vita, e uno show comico non avrebbe avuto le qualità epiche che volevo. È un ritratto sincero di quel tipo di mondo.

Molto realistico, alcune situazioni sono brutali.
Si, è una scelta mia e degli altri scrittori, ma non è tutta fantasia, bensì il risultato di ricerche approfondite in determinati ambienti. È un mondo spietato, gestito per la maggior parte da uomini che si comportano come Trump o la pensano come lui, persone che non solo vogliono vincere, ma distruggere anche i propri avversari. L’unico modo per sapere se hai vinto è vedere l’altra persona umiliata e in lacrime.

A chi vi siete ispirati per creare i personaggi?
Abbiamo collaborato con persone come Merissa Marr, ex giornalista del Wall Street Journal che ha investigato per anni le operazioni commerciali di compagnie come Disney e Redstone, abbiamo fatto ricerca online, letto tutti i libri e gli articoli possibili sull’argomento. A quanto pare la gente ama leggere le stravaganze dei media moguls, o seguire gli scandali di magnati come la famiglia Murdoch, la dinastia dei Roberts, i proprietari di Comcast che gestisce anche NBC o le avventure del Sinclair Group, di proprietà di una famiglia di estrema destra che compra tutte le televisioni locali e trasmette propaganda 24 ore al giorno. Negli Stati Uniti ci sono ancora molte famiglie dietro a business multimiliardari, e anche se non tutte le famiglie sono disfunzionali come quella dei Roy, credo che sia difficile gestire un gruppo di persone cresciute nel lusso, soprattutto quando ogni membro familiare ha una propria agenda.

Che idea ti sei fatto di queste famiglie?
Che non è facile avere centinaia di miliardi, certo i problemi rispetto alla povertà assoluta sono completamente diversi, ma quando crei un impero dal nulla, è molto difficile crescere una famiglia normale, anche perché vuoi passare il comando della tua organizzazione ai tuoi figli, sempre con l’idea di trasmettere non solo un business ma un’eredità culturale, che ti aiuti in qualche modo a rimanere immortale. C’è molto ego, e spesso i tuoi eredi non si meritano il tuo successo, in fondo non hanno fatto niente per meritarlo, sono solo dei privilegiati che si approfittano di te. Per cui a quel punto ti chiedi: “È giusto lasciargli tutto?”. E così si arriva ad avere una situazione familiare come quella dei Roy, che definire strana e’ dire poco.

Intervista a Brian Cox

Brian, cos’è che t’ha attratto di questo personaggio?
Beh, la storia, come Jesse Armstrong e Adam McKay mi hanno raccontato l’arco narrativo della famiglia Roy. Non potevo dire di no. Troppo bello il tema, troppo sociale, troppo moderno, troppo controverso, il tutto con verità, sagacia e senso critico, non capita tutti i giorni di leggere un copione simile.

Davvero?
Si, davvero. In realtà siamo di fronte ad una storia classica, un uomo che in un certo senso rinuncia al proprio impero, proprio come Re Lear. Ci sono un sacco di elementi di questa storia. Il tutto con un umorismo che io definisco rassegnato.

In che senso?
Jesse è uno scrittore fantastico, capace di unire elementi narrativi diversi fra loro, dramma, politica, potere… ma non dimentichiamo il suo background, il suo pedrigree è tutto basato sulla commedia. Commedia britannica, sottile, da capire fra le righe, ovattata, e in questo contesto, la sensibilità del suo scrivere è centrata sulla rassegnazione dei messaggi, sull’acquisizione del pubblico della verità degli avvenimenti, della tristezza della realtà. Il tutto ad un livello di intelligenza davvero alto, davvero. Vi garantisco che ci vogliono un paio di puntate prima di capire che stiamo assolutamente guardano una commedia basata su asserzioni e avvenimenti che vogliono prendere per il culo l’1%, vogliono sottolineare quanto questa società in cui viviamo stia naufragando.

Il messaggio che si vuole trasmettere?
È senza dubbio una storia basata sulla moralità moderna o la mancanza della stessa. Non stiamo parlando di povera gente, ma di ricchi, anzi ricchissimi, dell’1%, e di come anche loro possono andare incontro a problemi serissimi durante il corso di una giornata. Forse il messaggio nascosto fra le righe è di come l’attuale amministrazione presidenziale attuale sia comandata da un pagliaccio. Da uno come Trump che governa un Paese come se fosse un business, una compagnia privata, un’entità commerciale. Per governare un paese ci vuole un visionario, non un CEO. Ovvio che la gente non sta bene, non è felice, non ha spazio, non crede più a nulla. Tutti stiamo male, eccezione fatta per i pazzi lunatici che hanno votato per Trump.

Intervista a Jeremy Strong

Jeremy, quando hai letto la sceneggiatura, cos’hai pensato del tuo personaggio, Kendall?
Ho lavorato con Adam McKay e mi piace il suo modo di pensare. Prima che leggessi la sceneggiatura, Adam mi ha descritto la saga familiare come una sorta di Re Lear ambientato nel mondo dei media, e l’ho trovata un’idea molto interessante. Come attore ho sempre trovato affascinante le dinamiche delle famiglie shakespeariane, tra drammi e abusi di potere. Personalmente sono molto diverso da Kendall, fortunatamente non ho mai avuto problemi di dipendenza da droghe, ma capisco la sua difficoltà nel vivere in quella famiglia, capisco il suo dolore, in realtà sono molto più vicino a Kendall rispetto a molti dei personaggi che ho interpretato in passato, nonostante abbiamo così poco in comune.

Che tipo di ricerca hai fatto?
Ho letto molti libri su famiglie potenti. Tutti i libri sui Murdoch, perchè ti danno un’idea generale su come nasce un impero mediatico, e quali sono i confini etici. Ho letto dei Redstone, i Newhouse, i Sulzburger, i fratelli Koch e Conrad Black, in controllo della Hollinger International, che una volta era al terzo posto dell’impero editoriale britannico. Ho preso un po’ da tutti, l’importante è capire come funzionano le dinamiche familiari.

Pensi che il fatto che la famiglia abbia un ruolo importante nel mondo dei media abbia aiutato a rendere la storia interessante?
Si perché ho sempre pensato che avere un accesso privilegiato in quel tipo di mondo fosse estremamente interessante, anche perche’ i media hanno un ruolo molto importante e influenzano tanti aspetti della nostra vita. Jesse e Adam erano interessati ad evidenziare l’aspetto traumatico della relazione familiare, e quanto le conseguenze di queste relazione potessero influenzare il mondo globale. Logan è un super boss. E Kendall, sa benissimo che non ha la sua capacità come businessman, ma capisce come sta cambiando l’industria e cosa bisogna fare per sopravvivere in un mondo digitale dove devi combattere contro corporations come Googles. Sa benissimo che funzionando all’antica secondo la direzione del padre, non potranno sopravvivere. Suo padre sta annegando la barca e Kendall deve trovare il modo per salvarla.

All’inizio dello show ti rendi conto che sono molto ricchi, e quindi anche quando soffrono non provi molta pietà nei loro confronti. Poi le cose cambiano, e scopri che si potrebbe anche affezionarsi ad alcuni di loro. Cosa ne pensi?
Ogni giorno Kendall si alza in preda al panico. Sa benissimo che quel giorno deve provare a suo padre che è degno di ereditare il suo impero. È un peso enorme, con cui cerca di sopravvivere. Fra le pagine di Fire and Fury, libro scritto dal giornalista Michael Wolff, ho letto un’intervista con Lachlan Murdoch e ho capito che non è facile svegliarsi al mattino ed essere lui. Lachlan materialmente ha tutto dalla vita, ma come Kendall è alla ricerca dell’amore paterno. Logan è un uomo potente e ricchissimo, ma incapace di trasmettere emozioni ai propri figli, che a loro volta diventano incapaci di gestire l’impero del padre perché si sentono trascurati. È un circolo vizioso, ma con cui non possono farci niente. Siamo tutti figli dell’eredità dei nostri genitori, l’unica domanda che dobbiamo porci è: “Come facciamo a liberarci da questo peso?”. Oppure: “Come facciamo a fare meglio e avere successo?”. Alla fine ci sono solo due possibilità, o scappi a gambe levate o diventi parte del meccanismo.

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