Ecco. Sono cresciuto come giornalista sfiorando le leggende di colleghi più maturi sui junket (i viaggi per andare a intervistare attori e registi sul loro ultimo set) dei cinepanettoni. Crociere sul Nilo, Viaggi in Sudafrica, New York, India.
Potete capire il mio entusiasmo quando ho saputo che questo privilegio, quest’anno, sarebbe toccato anche a me. Ho comprato l’attrezzatura per lo snorkeling, creme solari protezione 50, Lonely Planet.
Quando mi hanno detto che il titolo era Natale col Boss, non mi sono preoccupato. Sono tifoso del Napoli e amo Bruce Springsteen, ho immaginato che Aurelio De Laurentiis avesse voluto farmi una sorpresa portandomi a conoscere, oltreoceano, il Boss appunto.
E poi. Poi mi sono trovato sulla Tiburtina. Vicino agli Studi Vox. In una fabbrica dismessa. A TOR CERVARA.
Almeno Cortina, pensavo. Ma che dico, andava bene anche Roccaraso. No, niente. Mi rifilano la periferia romana che deve imitare un covo della camorra napoletana.
Lo sapevo, la solita sfortuna. O forse no. Perché è lì che ho capito che stavo assistendo a un miracolo, la metamorfosi del cinepanettone in commedia vera, divertente, surreale, girata bene e recitata come si deve. Da una scena piuttosto fessa, che è finita anche nel trailer, quella in cui Lillo urla, scappando, “ste cazzo de bbende”. Da un racconto di uno che stava lavorando al set, che conosco da una vita, e mi fa «Oh, stamo a fà ‘n film vero». E poi lì, per primo, scopro che il Boss è Peppino di Capri. Champagne, Saint Tropez, Speedy Gonzales. Lui. L’uomo più gentile del mondo, il boss. E così ci sediamo su un divanetto dorato, all’interno di un padiglione industriale adibito a bunker per latitanti con arredi che prevedono anche puma e pantere di granito e immagini sacre improbabili, e parlo con tutti.
Con Volfango De Biasi, il regista, forse il vero autore di questa svolta da Neri Parenti a Mel Brooks – ci sono momenti surreali divertentissimi – passando per i polizieschi USA e persino Matrix (con una Giulia Bevilacqua capace di dare grazia e verve comica a un personaggio che porta su di sé un malinteso che ammicca al vecchio cinepanettone), che scherzando, ma non troppo, dice “sono convinto che ormai noi, qui, siamo avanguardia”. È al quarto film: due li ha scritti quando ancora c’era il dominus del film di Natale (Colpi di fulmine e Colpi di fortuna), due li ha girati (Un Natale Stupefacente e, appunto, questo Natale col boss). E si vede: personaggi femminili non banali e strumentali, regia curata e con guizzi di livello, scrittura agile ma mai sciatta. E con Lillo & Greg un’intesa creativa che potrebbe diventare “seriale”. Parlano lo stesso vocabolario, e si vede. Racconta Lillo che l’idea dell’equivoco tra Leonardo Di Caprio (il vero boss, scoperto da due sbirri sgarrupati come Ruffini e Mandelli, ottimi in coppia, deve cambiarsi i lineamenti e sceglie quelli del divo) e Peppino Di Capri è di Greg. E che vanno a proporla a ‘O presidente – «così lo chiamiamo a Napoli» rivela il cantante – che di tutta risposta non solo non li caccia a calci, come si aspettavano, ma invece alza il telefono e chiama l’artista. Che appena sente «che farò il cattivo e dovrò cantare male, mi preoccupo, sono sincero. Ma capisco subito che sarà un’avventura speciale».
Sono tutti tasselli di una commedia che si contamina dentro un film di genere e che finalmente fa ridere un pubblico che va oltre quello del “26 dicembre”, che con la pancia piena di cenone e pranzo di Natale vuole solo ridere nella stessa maniera grassa con cui ha mangiato. «È il film che ci piace vedere, oltre che fare» dice Greg, e si capisce che con Lillo e Volfango sperano di andare bene per portare il film delle Feste verso una direzione tanto divertente quanto diversa. «Abbiamo l’action qui, e non scherzo: guardate l’inizio al porto di Napoli, con stunt e salti sui tetti dei camion, o il momento in cui Giulia Bevilacqua mette a posto dei criminali con mosse a metà tra Keanu Reeves e Bruce Lee», interviene il regista.
Insomma, come forse sta capendo il pubblico (nei primi tre giorni la forbice tra Vacanze ai Caraibi con Parenti e De Sica e Natale col Boss si è ridotta fino quasi a scomparire), si sta cercando di fare una rivoluzione di successo.
E per fortuna non si chiama Natale a Scampia – Pallottole e Champagne. Sul set (era settembre) c’era la sensazione di un pericolo scampato (e pare che fin dall’estate si fosse convinto, De Laurentiis, a non chiamarlo così), non avrebbe fotografato un’opera in cui grandi attori come Gianfelice Imparato o Enrico Guarneri dipingono caratteri irresistibili, in cui Lillo & Greg, da sempre autori di un’arte indipendente e irriverente – nella musica, in tv, nei fumetti, a teatro – diventano, senza tradire se stessi, un fenomeno popolare. In cui a spogliarsi di più non è la solita supermodella, ma Paolo Ruffini e Francesco Mandelli in una citazione di Gomorra. «No, non ho ancora sentito Garrone, confesso», ammette De Biasi un po’ preoccupato.
È morto il cinepanettone, viva il film di Natale. E correte al cinema, altrimenti Aurelio invece di farci ridere, perché si ride più che in passato – «non è mica Bergman» aggiunge Lillo -, tornerà a scene in doccia tra due uomini in cui cade una saponetta, a bottigliette incastrate sul pene, a peti e pollici e indici a mimare «il triangolino che ci esalta».
Certo, però, il prossimo, fatelo almeno a San Marino. Che i miei vecchi colleghi ancora mi sfottono.