Poco dopo la sua pubblicazione nel 2017, la serie Netflix Tredici ha fatto suonare i campanelli d’allarme a molti esperti di salute mentale, che credevano che la serie glorificasse il suicidio adolescenziale e lo presentasse come una conclusione scontata per chiunque avesse sperimentato un trauma. Ora, una ricerca del Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha scoperto che c’è stato, in effetti, un picco di suicidi poco dopo la prima messa in onda della serie, durante il mese di aprile 2017.
Secondo lo studio, il tasso di suicidi tra i giovani dai 10 e i 17 anni sarebbe aumentato proprio nell’aprile 2017, raggiungendo la percentuale più alta degli ultimi cinque anni. È interessante notare che, sebbene il tasso di suicidi sia stato in crescita per i ragazzi di quella fascia di età, non sia aumentato allo stesso modo per le ragazze, nonostante rappresentino circa il 65% del pubblico di Tredici.
“Il suicidio è un problema in tutto il mondo, ed è davvero difficile riuscire a far diminuire questi dati”, ha dichiarato Lisa M. Horowitz, co-autorice dello studio e scienziata dello staff del National Institute of Mental Health’s Intramural Research Program, al New York Times. “L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è qualcosa che li faccia aumentare”.
Questa non è la prima volta che Tredici (ora in produzione per la terza stagione) è stato collegato all’aumento dei tassi di suicidio tra i giovani. Poco dopo l’uscita della serie, un’analisi dei termini di ricerca di Google ha scoperto che le ricerche riguardo “come suicidarsi” sarebbero aumentate del 26% (anche se è giusto notare che il periodo di tempo analizzato dallo studio è stato molto limitato e i dati di Google non sono esattamente la fonte più affidabile).
Adattato da un popolare libro per giovani adulti, Tredici racconta la storia di Hannah (interpretata nello show di Katherine Langford), un’adolescente che manda a un gruppo di persone, apparentemente scollegate, tredici audiocassette che spiegano le sue “ragioni” per essersi tolta la vita e il loro legame con lei. Sebbene la serie sia stata molto popolare fin dall’inizio, parecchi esperti di salute mentale hanno criticato il fatto che Tredici ritraeva la decisione di togliersi la vita come “colpa” di qualcun altro, piuttosto che qualcosa che una persona decide per conto proprio. Molti esperti della salute mentale hanno anche espresso preoccupazione per il fatto che la serie abbia reso affascinante il suicidio degli adolescenti, con molte organizzazioni di counseling scolastico che hanno lanciato avvertimenti a genitori e studenti prima di guardare gli episodi.
Tredici è stato anche accusato di ritrarre il suicidio come un fenomeno di semplice causa-effetto, che risulta inevitabile per chi viene soggetto a bullismo o (nel caso della protagonista) violenza sessuale. «Molte persone sperimentano cose orribili e non pensano al suicidio, o pensano al suicidio e continuano a vivere, migliorando poi la loro situazione», racconta a Rolling Stone il Dr. April Foreman, psicologo e membro del consiglio di amministrazione dell’American Association of Suicidology. «Stiamo raccontando ai nostri figli l’orribile narrazione che se ti accadono queste cose brutte potresti pensare di ucciderti».
Netflix ha preso sul serio le critiche, creando un sito web che offre risorse per la salute mentale agli spettatori e rilasciando un disclaimer prima di ogni episodio. Sulla scia delle più recenti ricerche sulla serie, tuttavia, l’azienda sembra voler raddoppiare la sua difesa di Tredici: in una dichiarazione al New York Times, pur riconoscendo che la prevenzione dei suicidi “è un argomento di grande importanza e abbiamo lavorato sodo per garantire che gestiamo questo delicato problema responsabilmente,” l’azienda ha anche notato che i risultati dello studio più recente sono in conflitto con la ricerca della University of Pennsylvania, che ha analizzato che gli adolescenti che hanno visto la seconda stagione fino all’ultima puntata sono meno inclini a sperimentare autolesionismo e a pensare al suicidio.
Tuttavia, l’ultimo studio pubblicato sembra sostenere l’idea che Tredici potrebbe potenzialmente incoraggiare il suicidio, creando l'”effetto Werther”, un fenomeno spesso citato ma non compreso a fondo, in cui una maggiore copertura mediatica del suicidio porta le persone più a rischio a togliersi la vita. Alcuni studi hanno sostenuto questa idea, tra cui uno studio di recente pubblicazione che suggerisce che le visite al pronto soccorso e le telefonate alle hotline di prevenzione hanno avuto un picco in seguito alla copertura dei media per la morte suicida dell’attore Robin Williams nel 2014. C’è anche una ricerca che indica il contrario: cioè, che una maggiore copertura di storie positive di sopravvissuti che hanno sconfitto le tendenze suicide, potrebbe aiutare nella prevezione, grazie al cosiddetto “effetto Papageno”.
In conclusione, Foreman dice che semplicemente non sappiamo abbastanza circa le complesse motivazioni dietro i suicidi per arrivare a una “ferma conclusione scientifica” su ciò che lo causa. Nonostante le carenze di Tredici e le molte critiche legittime che i professionisti della salute mentale hanno mosso alla serie, il fatto che questo specifico studio JAACAP abbia indicato una correlazione piuttosto che una causalità significa che non sarebbe saggio affermare che Tredici abbia causato un aumento dei tassi di suicidio. «Chiunque sia a rischio di suicidio dovrebbe essere consapevole di ciò che sta guardando e della propria salute, ma è difficile per me dire che Tredici abbia causato direttamente dei suicidi», dice. «È molto più probabile che ci siano fattori complessi nella società, legati tra di loro. Ma non comprendiamo ancora abbastanza il suicidio».