La prima cosa che si nota, entrando nell’edificio di quattro piani immerso nel sole di Santa Monica che fa da ufficio al creatore di X-Files, Chris Carter, sono i quadri appesi alle pareti. Grandi tele e tavole da surf decorate, ognuna a fare da cornice a una singola frase: UNA CAZZATA NON È FERTILIZZANTE, MARCIO ALL’INTERNO, IL DONO DI DIO ALLE DONNE. Chiedi a Carter cosa significano quelle frasi, e lui ti risponderà che riguardano brutte esperienze della sua vita – con persone sociopatiche, le forze distruttive della natura, o i 40 acri di terreno coltivabile che ha comprato. Questo è il mondo di Chris Carter, che per 14 anni è stato lontano dalla tv. Lo scorso 26 gennaio, però, è tornato su Fox con sei nuovi episodi di X-Files, miniserie che fa da sequel all’originale.
Verso la fine degli anni ’90, all’apice della sua produttività, Carter produceva due serie tv, X-Files e Millennium, e stava scrivendo il film di X-Files. Ma appena prima dell’episodio conclusivo della serie, Carter ha deciso che aveva bisogno di una pausa. «Con l’11 settembre, tutto è cambiato», ricorda, seduto al grande tavolo rettangolare dell’ufficio in cui scrive abitualmente. «Di colpo, le cospirazioni governative non erano più interessanti», continua, «nel governo la gente iniziava a cercare aiuto. Eravamo troppo spaventati dal mondo reale per provare paura con uno show televisivo. È stato un momento di depressione per il Paese, i reality hanno iniziato a occupare gli spazi migliori del palinsesto. Mi è sembrato un buon momento per uscire di scena con classe». Finita la serie, Carter si è «sganciato» dalla scena televisiva per 10 anni, come dice lui. «Avevo bisogno di uscire da piccole stanze buie in cui fissavo piccoli schermi», spiega, sbattendo i penetranti occhi celesti. Quando si è reso conto che la televisione stava vivendo un rinascimento, sotto forma di serie più brevi trasmesse via cavo, con minori restrizioni visive e di linguaggio – molte di queste create da ex membri della sua writing room, come Vince Gilligan, autore di Breaking Bad – il suo entusiasmo per la tv si è riacceso. Così, 14 anni dopo l’ultima puntata di X-Files, Carter è tornato al lavoro, riportando in vita lo show e i suoi personaggi, dati per morti. «Non pensavo che avremmo avuto un’altra possibilità», dice Carter a proposito del suo bambino paranormale, che descrive alternativamente come mostro, Idra, e Frankenstein. «Per me è fantastico. Abbiamo concepito uno scenario completamente nuovo, sia dal punto di vista politico che scientifico».
L’attuale arco narrativo, in ritardo per quell’invasione aliena prevista per il 2012 che chiudeva la prima stagione della serie, ruota attorno a uno show di teorie cospirazioniste trasmesso su Internet, che ricorda il popolare Infowars di Alex Jones. Per raccogliere materiale, Carter ha partecipato a numerose convention, in cui i relatori discutevano di varie teorie su come le élite mondiali stiano militarizzando lo spazio, attraverso tecnologia aliena, allo scopo di ribaltare il sistema economico e instaurare un nuovo ordine mondiale.
«X-Files è una specie di ricerca di Dio, perché sono convinto che la scienza in fondo sia la ricerca di Dio», dice Carter, che ha ricevuto un’educazione battista a Bellflower, California. «In passato ho lavorato con un Nobel per la Fisica, e lui non credeva in Dio. È sconvolgente pensare che una persona, che ha a che fare con cose così incredibili e belle da farti supporre che siano opera di qualche potere superiore, non sia credente. Per me invece è ciò che fa nascere le storie che raccontiamo. Quell’immagine che dice “I Want to Believe”», e indica il famoso poster di X-Files appeso al muro, «quello sono io! Io voglio credere! Voglio quell’esperienza paranormale. Gli alieni mi devono una visita. Negli ultimi 25 anni sono stato il loro migliore PR».
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