A volte i giornalisti decidono di portare un piccolo regalo all’intervistato – una pratica un po’ stucchevole, OK, ma utile a rompere il ghiaccio, vincere la fiducia del VIP di turno e fargli abbassare la guardia, cose così.
Io, un po’ più concreto, forse, o solo un po’ più barbone, a Valeria Bilello non ho portato niente. E forse avrei dovuto. A questo penso, mentre siedo sulle poltroncine di un grazioso boutique hotel che si affaccia sulla Galleria, il “salotto” del centro di Milano – prima dell’autentica reception c’è una pre-reception molto riservata e asettica, che assomiglia all’ingresso di uno studio medico. Perché le interviste non si possono svolgere dentro un’allegra birreria? Da Margy Burger? (Cit. di culto per i lettori milanesi).
Di fronte a me, ora, c’è lei: Valeria Bilello, siciliana, ma cresciuta a Milano, 35 anni il 2 maggio, ex veejay di Mtv, oggi attrice di cinema e tv. Impossibile reprimere il ricordo balneare di lei in bikini, presentatrice di Mtv on the Beach. Legami con la musica (è stata fidanzata per sette anni con Daniel Kessler, chitarrista della rockband Interpol), la sua carriera da attrice è partita in quarta nel 2008 con Il papà di Giovanna di Pupi Avati, cui sono seguiti, tra gli altri, Happy Family di Gabriele Salvatores, Il giorno in più di Massimo Venier, Miele di Valeria Golino, One Chance di David Frankel, l’interessante Monitor di Alessio Lauria e, di recente, Beata ignoranza con Alessandro Gassman e Marco Giallini.
Per la tv, Squadra mobile, Il sistema e ora, clamorosamente, la seconda stagione di Sense8, la serie Netflix creata dalle sorelle (ex fratelli) Lana e Lilly Wachowski – genitori di Matrix, e per questo ancora titolari di un credito consistente, a Hollywood, nonostante passi falsi successivi come Jupiter – Il destino dell’universo (esatto, quello con Channing Tatum e le orecchie a punta).
Ma torniamo al regalo mancato: ecco, forse avrebbe potuto mitigare il mio esordio non esattamente brillante. Ovvero: «Valeria, cosa pensi di Sense8? Davvero ti piaceva, prima di entrare a far parte del cast nella seconda stagione? Voglio la verità». Una domanda più che legittima, almeno nella mia mente. Perché la serie è ambiziosa e visionaria, certo, ma è anche un po’ matta, imperfetta e sui generis come può esserlo un prodotto commissionato da un servizio di streaming in vertiginosa, cannibalica espansione a due artiste, le Wachowski, famose per le loro opere senza compromessi.
Eppure mi piace, Sense8, per il suo essere al tempo stesso seria e un po’ ridicola, determinata e confusa, veramente globale e super-nerd, ingenua e sofisticata. Giuro che mi piace! Provo un mix di tenerezza e ammirazione verso progetti del genere, dove la generosità delle intenzioni ha la precedenza sopra al calcolo, la purezza sopra al successo. Bilello, però, non sembra apprezzare i sofismi del sottoscritto.
«Ah, non sei un fan della serie?». Ma no, Valeria, sono fan, però ammetterai che è particolare, un po’ bizzarra, no? «Ma questo è un merito, non un difetto del cinema delle Wachowski», ribatte con energia. «Non fanno certo cose che passano inosservate, che lasciano sentimenti tiepidi. Ma io credo che l’aspetto più importante sia la forma, il modo in cui le Wachowski raccontano una storia: che al tempo stesso può disturbare o far innamorare, a seconda dello spettatore che ha di fronte».
Sì ma, Valeria, ricordi la scena del rave tribale in Matrix Reloaded? Lì il confine tra sublime e ridicolo era molto sottile. Le Wachowski non hanno certo paura di apparire naïf, a volte. «Però tieni presente che questa loro sincerità è proprio il loro punto di forza. E anche Netflix ha usato Sense8 per darsi un’identità, per trovare poi il coraggio di parlare di temi espliciti, come in Orange Is the New Black.
Tra le location della seconda stagione c’è stata anche Rio de Janeiro, durante il Gay Pride, dove migliaia di persone si sono prestate come comparse. Sense8 è veramente la prima serie globale», si appassiona Bilello.
E tra l’altro Sense8 ritorna in un momento storico molto diverso, anche se sono passati solo due anni: sotto la presidenza dell’illuminato Obama, una serie così ottimista nel raccontare le diversità (sessuali, razziali, culturali) aveva perfettamente senso, quasi fosse un simbolo dei tempi. Oggi, per un corto circuito, con Donald Trump al potere e un mondo più chiuso (post-Brexit, post-fattuale ecc.), Sense8 sembra ancora più visionaria, addirittura sovversiva. (La tagline della seconda stagione è: “Sopravvivere. Insieme”).
«Meglio ancora, no? È ancora più forte il messaggio di questa serie, oggi», ne è sicura Bilello, «e in ogni caso, sono certa che Lana scriverà le prossime stagioni per restare al passo con questo mondo che sta cambiando». Intanto vi starete chiedendo: è riuscito il vostro inviato, a questo punto dell’incontro, a far rientrare l’intervistata nella sua comfort zone? Ma nemmeno per sogno.
«Valeria, sono un po’ preoccupato: secondo te, Lana Wachowski ha bene in mente dove va a parare la serie? O rischia di fare come Lost, che dopo un po’ andava avanti senza bussola, con la conseguenza delle innumerevoli ore di boiate che ci siamo dovuti sorbire?». «Ma scusa, che ti frega, tu non sei nemmeno fan di Sense8!», contrattacca Bilello.
Il mio personaggio ricorrente è la ragazza dotata di un’intelligenza pratica; la cosa strana è che io non lo sono in alcun modo! Mi manca la timida-complessata di Happy Family
«Guarda che sono stato una delle poche persone a livello globale a vedere Jupiter! E mi sono pure divertito… fino a un certo punto», rispondo, sinceramente dispiaciuto per questa accusa nemmeno velata di snobismo. «Comunque, sì, ne sono sicura. Lana ha già in mente il piano generale di Sense8, è un progetto che coltiva da moltissimi anni. È un’autrice con una visione, è ciò che la rende unica», risponde Bilello, con evidente fierezza per essere entrata a far parte del team Wachowski.
Come tutti gli ex veejay di Mtv, Bilello parla un inglese fluente, che ha perfezionato grazie agli anni passati a New York insieme all’ex fidanzato. È stato più divertente recitare in inglese o in italiano? «È molto diverso, soprattutto nell’intonazione. Il problema dell’italiano è che dev’essere quasi cantato, soprattutto nelle battute molto lunghe. Mentre l’inglese va un po’ “buttato via”, altrimenti si rischia di sembrare innaturali. Comunque, a differenza di quanto era successo con One Chance, per cui avevo dovuto calcare molto il mio accento italiano, in Sense8 ho potuto tenere il mio, che spero sia decente. Recitare in inglese mi fa sentire più libera, paradossalmente».
Per molti attori (o attrici, nel caso di Valeria) approdare a Hollywood deve apparire un grandissimo traguardo. Ma forse oggi essere nel cast di una serie tv globale prodotta da Netflix è considerato persino più cool. Lei come la sta vivendo?
«Il mio lavoro per la seconda serie è durato circa un anno, con diverse interruzioni, ed è terminato nel settembre 2016. Da allora ho cercato di non pensarci, di non farmi film su quale sarà il giudizio della gente. La soddisfazione più grande è stata quella di essere stata scelta da questa regista, insieme a questo cast, che io trovo perfetto. Tra l’altro, non si tratta di una produzione americana classica, in cui si cercava un’attrice italiana da stereotipo. Si sono concentrati solo sulla mia performance, se ne sono completamente fregati di quello che avevo fatto prima».
Pare che Lana Wachowki abbia chiesto a Bilello di leggere la quadrilogia di romanzi che inizia con L’amica geniale di Elena Ferrante, per prepararsi alla sua parte in Sense8 (negli Stati Uniti l’autrice misteriosa è diventata un fenomeno letterario anche maggiore che in Italia). C’entra qualcosa con il suo personaggio?
«Durante il primo incontro con Lana a Londra, lei mi chiese se avevo letto qualcosa della Ferrante. Io allora non la conoscevo, avevo capito Elsa Morante! Mi disse che, per preparare il mio personaggio, avrei dovuto leggere i suoi libri. Infatti è ispirato a uno dei due personaggi femminili».
Una volta che si prova un gusto del genere non si torna più indietro? «No, anzi: il mattino dopo aver finito di girare Sense8 ho iniziato le riprese di Beata ignoranza. Quello della commedia italiana è un mondo che mi appartiene sempre. Però, sognando… Certo, mi piacerebbe girare altre serie del genere».
Netflix, tra l’altro, sembra attingere spesso agli attori più popolari di questa sorta di parco – come Miguel Àngel Silvestre, che da Sense8 passerà alla terza stagione di Narcos. «È anche una sorta di emancipazione dallo star system, è come se Netflix dicesse: “Questi attori li facciamo diventare noi delle star, e poi ce li teniamo”».
Un po’ come la celebre Cantera, la fucina di campioni del Barcellona, mi azzardo a offrire come paragone a Valeria, subito pentendomi. E infatti: «Se adesso vai sul calcio, mi perdi». Ecco. E dire che avevo un po’ recuperato! C’è un filo rosso che Bilello riesce a rintracciare nella sua carriera da attrice? «Se devo trovare un personaggio ricorrente, forse è quello della ragazza dotata di un’intelligenza pratica; la cosa strana è che io non credo di possederla in alcun modo! Non mi sento per niente saggia. Spesso mi sono trovata a pensare: non sono così intelligente, così diplomatica! Invece, uno dei primi personaggi che ho interpretato, la timida-complessata di Happy Family di Salvatores, non l’ho più ritrovato. E un po’ mi dispiace… Perché sono molto brava a fare quella cosa lì! (Ride)».
Ma forse sei anche brava a mascherarlo, propongo. «Forse sì. E comunque credo che uno raccolga ciò che trasmette. E devo avere trasmesso molta sensualità, perché negli ultimi tempi tutti i ruoli che interpreto hanno un lato molto sensuale. Sto parlando proprio di scene sexy! Compreso Sense8. Non mi era mai successo prima. Ma va bene così». E fu così che l’intervista tra Valeria Bilello e il sottoscritto si concluse su una nota di accordo totale.