«Sai che questa è la mia prima vera interrogazione? Gli altri mica lo leggono davvero, il libro». Allora le confesso che neanch’io ero sicura di volerlo leggere, per due motivi. Primo: Accendi il mio fuoco (edito da Sperling & Kupfer) è presentato come il romanzo d’esordio di un’attrice, comica e influencer, e la vita è troppo breve per leggere libri di influencer scritti da ghostwriter. Secondo: temevo che il titolo fosse una supercazzola anziché un omaggio ai Doors. E invece è tutto un come on, baby, light my fire. Perché qui Jim Morrison diventa grillo parlante, fantasia erotica e presenza sibillina. Una parodia che rischia di superare anche quelle di Annalisa ed Ester Ascione al GialappaShow: «Sono partita dall’immaginario di questo rocker meraviglioso, e poi scopriamo che soffre di eiaculazione precoce».
Però niente è come sembra: in realtà Brenda Lodigiani ha scritto (per davvero) una dramedy autobiografica che regala più schiaffi che risate. È una storia di vecchi camper, piedi sul cruscotto e sconcezze sussurrate. Alla guida c’è una coppia che si ama forte e dietro due ragazzini, “piccolo piccolo” e “piccola grande”. Partono da Milano diretti a Brindisi per fare il più spinoso dei viaggi: tornano a far pace col passato. Lo storytelling è il suo, quello che conosciamo bene, tra citazioni, cinismo, milanesi imbruttite e madri fuori dalle righe, in una narrazione sempre splittata: filtri e colori per andare in scena, bianco e nero per il dietro le quinte. Ma la storia è inedita, ed è di quelle forti: «Le persone si sorprendono, nessuno si aspettava che io fossi per metà zingara. Ma sai che siamo in tanti?».
Così Lodigiani tira dentro ogni cosa. I pomeriggi in cortile da bambina, i tarocchi della madre, Discotek People nel luna-park d’estate e poi Innuendo dei Queen, nell’autoradio della Volvo Polar di suo padre, con Freddie Mercury a cantarle un lungo addio che forse è il vero motivo di questo romanzo. Ci sono i Gipsy Kings e c’è tutto Beverly Hills 90210, perché lei si prende prima Brenda e poi Kelly. Il nome che i genitori le hanno dato, e quello che lei ha scelto per la protagonista del suo libro. Entrambi perfetti per la terra di mezzo in cui è cresciuta, tra gagi e sinti: si può essere, insieme, più mainstream ed eccentriche di così? «Avrei sviluppato ancora di più storie e personaggi, ma mica potevo scrivere cinquecento pagine. Cazzo è, la Bibbia?». Chi mi regala il libro è sicuro che i pregiudizi crolleranno, dice «leggilo che ti innamori», e in effetti va così. Allora cerco Brenda: «Credo d’essermi innamorata un po’ del tuo romanzo, ti va se ne parliamo?».
Recensione di un lettore: “Avevo lo scetticismo di chi non pensa che un’attrice comica sia anche in grado di scrivere un romanzo”. Grande tema questo, no?
Be’, sì. Proprio perché sono in un bel periodo, tra la Gialappa’s e i personaggi che hanno funzionato, credo che le persone si aspettino un romanzo da ridere, magari un racconto di aneddoti. Secondo me la gente poi rimane spiazzata, perché in realtà non ci sono vere battute all’interno.
Non si ride mai, però si sogghigna sempre.
Esatto, per via del cinismo della protagonista. Io non riesco a fare troppi ricami e Kelly parla tanto di me. Infatti adesso non voglio fare quella che “il mio libro fa ridere ma anche riflettere”, però un po’ sì.
Dall’altra parte c’è la fascetta del libro che urla: “L’esordio narrativo di una delle migliori voci della comicità italiana”. Impegnativo anche questo contraltare, no?
Ci abbiamo ironizzato molto con Marco e Giorgio della Gialappa’s (Santin e Gherarducci, autori e commentatori storici del programma, nda). Marco ha letto la fascetta e la prima cosa che mi ha detto è stata: “Stai al tuo posto. Le voci della comicità italiana siamo noi”. Tra l’altro nelle librerie sono inserita nella sezione umoristica, tra il libro di Gerry Scotti e i quiz per fare la cacca.
La terza di copertina invece dice che sei un’influencer. La Milanese Imbruttita ne andrebbe fiera?
Certo, è giusto e conciso. La Milanese Imbruttita non ha tempo da perdere e sta aspettando l’audiolibro, perché col cazzo che si mette lì a leggere. Confesso: quella me la sono scritta io. Anche qui ha comandato l’ironia, ma non tutti lo capiscono.
L’hai detto tu: scrivere un post su Instagram o un pezzo comico non significa essere scrittrice. Quindi come hai fatto?
È stata tosta. Avevo paura di misurarmi con una cosa così grossa, non avevo mai scritto niente prima e sono piena di paranoie legate al mio percorso di studi. Ho fatto ragioneria, andavo malissimo a scuola…
Ah, non sei laureata?
(Ride) No, solo la mia versione-Annalisa è laureata. Infatti ogni volta che mandavo dei nuovi capitoli all’editor c’era anche un vocale di otto minuti in cui gli chiedevo scusa. Di fatto ho iniziato a scrivere il libro a Pasqua del 2021, dopo la chiusura di Quelli che il calcio.
Una vera influencer lo avrebbe scritto in due mesi.
Un’influncer se lo farebbe scrivere.
L’hai detto.
Porca vacca, io mi son scritta tutto da sola. Sai, pensavo che se avessi fatto un libro fotografico sui miei piedi, adesso almeno sarei ricca sfondata.
Ecco, parliamo di questi grandi protagonisti: i piedi “lerci” – non sporchi – che Kelly poggia sul cruscotto durante tutto il viaggio. Vedi che l’ho letto?
(Ride) Anche la mia amica Mia Ceran è rimasta colpita da questa cosa. Quando d’estate entro a casa sua con i piedi lerci e le Birkenstock, mi dice sempre: “Madonna Brenda, fai schifo”. Infatti ha riso molto.
Nel romanzo c’è anche una bellissima vibe alla Blu di Zucchero. Le sere d’estate dimenticate, il dondolo che dondola, il fuoco della sera…
Posso dire? Noi donne beviamo e fumiamo. Non voglio fare la paladina di chissà cosa – per carità del Signore – ma adesso c’è questo immaginario della mamma tutta tirata… dài, io non ho un’amica che a fine giornata non si faccia un drink e una sigaretta.
Posso dire? Kelly si conquista i suoi “spazi di vizio” dalla vita familiare con una prepotenza da far invidia.
È vero. Io sono cresciuta negli anni Novanta, e sul serio mia madre fumava in macchina con i finestrini alzati. Se le chiedevi: “Per favore abbassa, ché ho l’asma”, lei ti rispondeva: “No, perché fa freddo”. Ho foto di compleanni in braccio a mia nonna che aveva la siga in bocca. Poi giustamente il fumo fa male e si smette di fumare in casa, ma l’ho voluto assolutamente raccontare.
Veniamo al cuore, alle tue origini: sinti e gagi. Tra conflitto e crasi. Oggi che mi dici?
Ti dico che è una figata. Mentre lo vivevo non me ne accorgevo. Per me quegli anni sono stati un periodo di grande ricchezza, che purtroppo i miei figli non vivranno mai. Io non ho mai subìto forme di razzismo e di esclusione, era tutto assolutamente normale, ma allo stesso tempo quel contesto mi ha dato una svegliata. Credo sia un piccolo tesoretto che mi porto dentro. Succedeva che per nove mesi stavo lì a casa, a Lodi, e poi per tre mesi andavo dagli zii sinti al campo e cambiava tutto. Questo ha fatto sì che io sviluppassi un forte senso di adattamento e anche un po’ di bipolarismo. Tutti i miei zii sono artisti, suonano, cantano, ballano. Sono entrata in contatto con una cultura che, se non l’avessi vissuta in prima persona, probabilmente anch’io mi aggirerei per Milano piena di pregiudizi: “Minchia, gli zingari rubano”.
Nel romanzo lo riassumi in un passaggio coloratissimo: “Sembra una gagi in tutto e per tutto, ma dentro di sé nasconde un segreto antico come il nostro popolo: nelle sue vene scorre caldo sangue zingaro”, e sotto si viaggia con A mi manera dei Gipsy Kings. Invece qual è la parte in bianco e nero? Il dietro le quinte.
Porca vacca, difficile. Diciamo che in ogni famiglia, in ogni etnia, ci sono i buoni e i cattivi. Allora te la dico come la direi a mia figlia di sei anni: alcuni gagi sono stati molto cattivi nella vita, altri molto buoni. Così come alcuni sinti non sono persone rispettabili, mentre altri lo sono più di quanto non lo sia io. Forse bisogna accettare il prossimo per quello che è? Fare i conti con il fatto che ogni tanto uno zio finiva alle Seychelles (in carcere, nda), oppure un cugino riusciva a trovare la felicità solo uscendo dal campo. E poi c’è un personaggio come Cameron, la cugina: lei ci sta bene davvero lì, ed è giusto così. Anzi, forse è Kelly che si chiede come sarebbe ricominciare dalla comunità, e torna a sognare una vita lì dentro.
Divisione dei compiti e delle responsabilità, custodi e guerrieri, proprietà, condivisione. La racconti come una sorta di comunità platonica.
Eh, ragazzi, però questa cosa è vera. Ed è bellissima. Là dentro sei veramente figlia, mamma, papà, nonno di tutti. C’è una grande solidarietà e condivisione, degli spazi e delle responsabilità. Quando esco a portare i bambini a scuola e in via Procaccini c’è uno smog che mi fa venire l’asma, mi capita di avere queste idee: forse vale la pena trasferirsi tutti insieme in una cascina e vivere in una comune? Le mie vacanze migliori da mamma le faccio con la mia famiglia di amici, anche loro con figli. Siamo tanti genitori e tanti bambini, ognuno fa un pezzettino. E a volte qualcuno si prende anche un pezzettino che dovrei fare io.
Sto leggendo il libro postumo di Michela Murgia, Dare la vita, in cerca di risposte simili.
Devo leggerlo anch’io. Lei era incredibile da questo punto di vista, non scherziamo, io ho raccontato solo una storia. Il fatto è che ci ritroviamo spesso da soli e pieni di stress, ma sarebbe bello fermarsi e dirsi davvero: “Ci facciamo una birra e una siga? Condividiamo un po’?”. Alle volte io questo bisogno lo sento molto forte.
Parlando di questioni serie, Brenda nel libro diventa Kelly. Quindi per chi tifavi?
Per Brenda, sempre e comunque. Poi di recente ho rivisto delle puntate e mi sono detta: “Ma che cosa stavo guardando?”. Dylan che finiva in clinica perché si beveva una birra, peggio di Settimo cielo. E pensare che all’epoca Dylan mi sembrava Jim Morrison. Sai che invece sto rivalutando Brandon? Invecchiando non mi piacciono più i belli e dannati, forse sto cambiando.
Brandon evapora accanto a Dylan, ma non litighiamo. Possiamo dire che nel romanzo vendichi ogni comico contemporaneo? Non c’è una pagina politicamente corretta.
Cazzarola, hai visto che dico? I terroni, la povera Paolona, la cicciona, gli zingari, a un certo punto me la prendo anche con i radical chic. Mi sono divertita un sacco.
Adesso come rinunci a questa libertà, tornando ai pezzi comici?
Eh, ma sai che forse è meglio? (ride) Anche se ormai il linciaggio lo rischi qualsiasi cosa tu dica e faccia. Anche quando ho fatto Annalisa, all’inizio ho pensato: “Qua mi fanno il culo a stelle e strisce”.
Ho fatto un breve identikit di Kelly: una madre che percula le maestre, con un desiderio sessuale incontenibile, poche docce, i famosi piedi lerci, beve, fuma, dice parolacce e insegna ai figli a far pipì in piscina. Ti torna tutto?
Confermo tutto. Aiuto.
Questa sì che è maternità cool, mi hai quasi convinta. Perché non ti hanno mandato su La7 al posto di Lavinia Mennuni?
(Ride) Sei tremenda. Allora, mi piacerebbe dirti che ci ho messo tanto a scrivere il profilo di Kelly, ma la verità è che sono partita da me. Non so se sto facendo un buon lavoro come madre, ma sicuramente sono molto onesta. A volte cerco di darmi un tono, quando parlo con le maestre cerco di non dire troppe cazzate. Altre volte sono esattamente come nel libro. Vuoi fare un figlio?
Io sono più per l’inverno demografico.
Lo capisco. Io però ho un compagno, Federico, che è molto complice. Voglio dire che io ’sti ragazzini non li ho fatti da sola. Quando non ci sono io c’è lui, ed è esattamente la stessa identica cosa. Se ho la libertà di essere così, come si legge nel libro, è anche perché ho un compagno che fa il suo.
A un certo punto nel romanzo succede qualcosa di molto serio. Il viaggio porta Kelly a fare i conti con un trauma delicatissimo della sua infanzia. E tu esci davvero dalla tua comfort zone.
Questo è un argomento complicato. Non so se te ne sei accorta, ma questo libro non ha una morale. Però guarda caso l’unico stronzo, l’unico che ha commesso davvero qualcosa di orrendo, non fa parte della comunità sinti.
Me ne sono accorta. Di quale personaggio faresti la parodia?
Mi fa molto ridere Alessandro, spalla comica in tutto e per tutto, gigione meraviglioso (parodia del suo compagno, nda). E poi naturalmente Jim Morrison. L’ho scritto partendo dall’immaginario di questo rocker meraviglioso, e poi scopriamo che soffre di eiaculazione precoce.
Lì ho riso molto. È vero che per un film vorresti Matilda De Angelis nel ruolo di Kelly?
Lei è fica, sì. Ed è strano, perché io sono un’attrice. Quindi se immagino un film, chi dovrebbe fare Kelly? Io, no? Ma sarei protagonista di qualcosa che ho scritto e che ho vissuto? Forse è troppo. Allora chi voglio davvero al mio posto? Perché Kelly è mia, l’ho inventata io, ne sono molto gelosa. Ecco perché esistono i casting, immagino.
Senti, botta e risposta. Autobiografico, sì o no: cioreldo?
(Ride. Pausa) Sì.
Anch’io, e sono una banalissima gagi.
Se senti le interviste di chiunque, a un certo punto tutti ammettono di aver rubato almeno un burrocacao all’autogrill.
Alla questione cioreldo, ovvero la pratica sinti di rubare piccole cose nei supermercati, segue uno scambio d’opinioni sulla filosofia del furto, che per il bene comune non verrà riportato ma si conclude qui: «Così sta diventando La casa di carta». «Finirà malissimo questa intervista. Scrivilo: io ho una paura incredibile di finire in galera, non lo farò mai». «Vuoi dire che non lo farai mai più, perché ormai hai risposto “cioreldo sì”». «Sei tremenda».
“A Fede, la mia prima vera cotta”. Il tuo compagno ha apprezzato i ringraziamenti finali, dopo aver letto pagine di fantasie erotiche su Jim Morrison?
Ha apprezzato molto. Va anche detto che nel romanzo gli faccio una dichiarazione d’amore che mentre la scrivevo piangevo. Kelly ha una gran voglia di fare l’amore ma non ci riesce mai, se non con Jim. Quindi mi sentivo così tanto in colpa con Fede che ho dovuto giustificarmi (qui alza i toni in stile parodia, nda): è patriarcato questo?! È maschilismo? Possiamo dire che noi donne amiamo il nostro compagno? Si può ancora dire?
Non te la caverai così: nel libro racconti l’amore vero.
Non farmi commuovere. È che noi siamo la generazione con i genitori separati, ci porteremo sempre dietro questo piccolo trauma. Quindi io spero che duri per sempre, ma per scaramanzia dubito.
Non ti chiedo niente, ma la dedica del libro è netta: “A mia madre”.
Sì. Ma così mi commuovo. E non sono neanche in premestruo.
Lo ero io, mentre scalettavo l’intervista.
(Ride) Appunto. Ok, la dedica è a mia madre perché è una persona coraggiosissima. Perché le voglio bene. Perché la stimo molto e non glielo dico mai. Ho rubato un pezzo della sua storia, l’ho fatta mia e lei si è totalmente fidata di me. So che è orgogliosa, anche se ha fatto una gran fatica. Il motivo per cui ho vissuto bene quella parte lì della mia vita è perché mia madre non mi ha messo addosso il suo vissuto. Non potevo non dedicare a lei questo libro.
Credi che le abbia fatto un po’ male leggerlo?
Credo di sì. E poi c’è mio padre, che non c’è. Ma io l’ho dovuto mettere per forza, perché senza mio padre non avrebbe potuto esserci niente. Allora racconto la sua assenza.
No, qui mi commuovo io. Che dici, la chiudiamo pari?
Ci sto. Pari.