Perché passiamo gran parte del nostro tempo libero incollati allo schermo dello smartphone? Qual è il segreto che rende così popolari app come Facebook, Tinder, Instagram e Snapchat? In realtà, di segreto c’è ben poco: tutti questi software sono concepiti per stimolare nel nostro cervello la produzione della dopamina, la molecola che regola le sensazioni di piacere, motivazione e dipendenza. Dopamina, la nuova serie di ARTE, indaga a fondo nei meccanismi che ci rendono dipendenti dalle app. Otto episodi, ognuno dedicato a un social media, che trovate qui sotto.
Tinder: “swippare” all’infinito
Tinder, il più popolare social dedicato al dating online, si basa sul meccanismo della “ricompensa aleatoria”. Come in una slot machine, ogni volta che vediamo un profilo che ci piace o non ci piace attiviamo la secrezione di dopamina che ci spinge a continuare, a “swippare” all’infinito, fino a trasformare il gesto in automatismo. È a questo punto che l’app ti propone di pagare per poterlo fare senza limiti.
Facebook: per un amico questo e altro
Nel caso di Facebook, il principio è quello dell’approvazione sociale. Si tratta di un processo inconscio che ci spinge a mettere “like” alle persone a cui vogliamo bene, e a premiare chi invece mette mi piace sui nostri contenuti. È un circolo vizioso che ci porta a dare gratuitamente i nostri dati personali a Facebook e ai suoi clienti.
Candy Crush: l’illusione della competenza
Anche un gioco apparentemente innocuo come Candy Crush è sviluppato tenendo in considerazione il funzionamento della dopamina. In questo caso il meccanismo è quello dell’illusione della competenza: ogni singola azione compiuta sull’app produce un complimento visivo o sonoro, concepito per attivare una zona precisa del cervello – lo striato – che fa parte del sistema dopaminergico.
Instagram e il confronto sociale
Instagram, invece, si basa sul “confronto sociale”, un processo inconscio che porta gli utenti a paragonare la loro vita con quella degli altri. Il meccanismo ha due reazioni parallele: da una parte c’è chi rifiuta dei comportamenti, dall’altra chi li imita inconsciamente. È qui che si nasconde il successo degli influencer.
YouTube: guardare senza pensare
Altro che Netflix, il vero binge-watching nasce su YouTube: l’algoritmo di raccomandazione video della piattaforma di Google si basa sulle nostre azioni e abitudini online (geolocalizzazione compresa), e grazie al deep learning ci propone contenuti irresistibili e spesso divisivi, sensazionalistici e cospirazionisti. È una “camera dell’eco” che amplifica i nostri pregiudizi e ci intrappola nel nostro conformismo.
Snapchat: la teoria del dono
Snapchat è una delle app più popolari tra adolescenti ed ex adolescenti, preoccupati a controllare il numero di fiamme (streak) e gli snap (video e foto che si autodistruggono). Ma cos’è che li tiene incollati a questo social? Snapchat si basa sulla “teoria del dono”, un’interazione sociale obbligatoria: ricevuto un regalo, ci sentiamo obbligati a rispondere allo stesso modo, e così via.
Uber: autisti in autoplay
Uber, l’app di “trasporto urbano alternativo” che ha cambiato il nostro modo di spostarci, mette i suoi autisti in una condizione di obbedienza costante. Come? Con la tecnica dei “nudge”, piccoli suggerimenti o incoraggiamenti concepiti per indurre l’autista a fare quello che Uber pensa sia meglio per loro… o per i suoi azionisti?
Twitter: l’auto-propaganda
La paura di perdere quello che succede online (nota con l’acronimo FOMO, fear of missing out) è alla base del funzionamento di Twitter, che ci porta a controllare compulsivamente il feed e interagire con gli altri. O meglio, con chi la pensa esattamente come noi: è una vera e propria auto-propaganda, uno strumento per amplificare la polarizzazione delle opinioni nella società.