Sul treno Sanremo-Milano delle cinque di domenica mattina c’è un tizio in smoking che dorme, un altro con ancora al collo il pass “Security”, e poi due ragazze con aria da stylist makeupartist vattelappescassistant che non sanno dove mettere i loro valigioni troppo pesanti, e altri due manager ufficistampa pierre che non smettono di lavorare per tutto il viaggio, perché Sanremo non finisce mai. «L’anno scorso a quest’ora non c’era nessuno», sento dire sulla banchina piuttosto affollata, ma sul treno si sta comodi, alcuni pure sdraiati su due posti come sugli Intercity con le cuccette. Non passa nemmeno il controllore. Ti appisoli, riapri gli occhi, c’è il sole sul mare.
Ho cambiato alle tre di notte il mio biglietto delle nove con quello dell’alba per essere a Milano per colazione, e per l’experience (scusate). E per dimostrare che alle cinque non c’era solo gente per strada post o in cerca di after, ma anche gente in fuga che l’after lo fa direttamente sul treno. E per quelli – per me – Sanremo è di colpo un ricordo lontanissimo, Olly pare abbia vinto quattro anni fa.
Non voglio fare la battuta su Roccaraso che hanno fatto tutti in questi giorni, mentre fendevano la folla di sosia e torpedonisti che s’ingrossava di giorno in giorno su via Matteotti, non sapendo io nulla di Roccaraso; ma sì, pure a me Sanremo sembrava la nuova Roccaraso. Dopo l’overtourism, ecco l’oversanremism. Gli influencer ci sono già, ormai anche più dei cantanti. «Ci sono anche un sacco di influencer liguri», sentivo dire a uno stand di trucchi, forse un’associazione nata dopo l’infamous spot di Elisabetta Canalis.
Gente in coda per un pezzo di cioccolato, un burro cacao, una tazza, o per sentire il battito di Fedez (tutto vero). Gente fuori dagli hotel senza sapere chi c’è dentro gli hotel, qualcuno uscirà. Gente che non riesce a comprare le mutande: «Devo andare all’OVS!», e invece tocca fare tutto il giro. Nella Sanremo poco politicizzata ma molto poliziottizzata – ma con poliziotti e poliziotte gentilissimi, almeno quelli che ho incontrato io: l’altra sera m’hanno persino scortato quasi fino a casa, per ragioni che vi racconterò un’altra volta – passare i varchi è diventato quest’anno il nuovo sport locale. Butto lì a una signora che aspetta un Gabbani qualsiasi un inderogabile: «Mi scusi, posso passare avanti, ho una diretta»; perché è vero, e per l’experience (scusate). Basta dire che hai a che fare con la Tv – il motivo per cui esiste Sanremo, la cosa che tutti guardano, e che però resta incredibilmente lontana, inarrivabile – e ti si apre il Mar Rosso. O il Green Carpet, che è uguale, anzi qui più rilevante.
C’è il doppio – il quintuplo – della gente e pure il doppio – il quintuplo – dei brand, anche solo rispetto all’anno scorso. Della brandizzazione di Sanremo ho già detto. Ma il fatto è che il vero brand è ormai Sanremo stesso, e gli altri marchi arrivano solo per prenderne un pezzettino anche loro, per brillare di un po’ di luce riflessa – liquida: quella dell’Estetista Cinica che sponsorizza anche quest’anno la ruota panoramica. Si dovevano forse fare le Olimpiadi invernali a Cortina-Sanremo, con gli sport indoor dentro le serre dei fiori.
Il vero vincitore sarà il brand che a Sanremo non ci verrà proprio. Quello che, il prossimo anno, metterà sui social un cartello nero con scritto solo “Noi a Sanremo non ci siamo”, e allora sì che si farà notare – ho avuto quest’idea sul treno delle cinque, e nel caso voglio una percentuale. «Forse Conti deve tornare ai Sanremo uncool, e un po’ quest’anno ci ha provato», diceva un collega. «Così si riassesta tutto». E gli stand dei trucchi se ne vanno, la gente scoprirà una nuova Roccaraso, e non dovremo prendere il treno delle cinque perché Sanremo torneremo a guardarlo da casa.