Incominciamo subito con una precisazione: quella che parte su Disney+ il 24 luglio, con un episodio a settimana per dieci settimane, come si faceva ai bei tempi catodici, non è l’undicesima stagione di Futurama. È l’ottava, ma tali e tante sono state le tribolazioni della serie animata di Matt Groening che le numerazioni delle stagioni sono state gestite un po’ come faceva comodo al network di turno. Fatto sta che, nell’epoca del revival, anche il fratello povero dei Simpson ha trovato il suo spazio, e nel primo episodio prende in giro proprio sé stesso, le sue vicissitudini, il moderno mondo dello streaming, del binge-watching e dei contenuti usa e getta. Un po’ nello stile Black Mirror moderno, quello di Netflix per intenderci, ma con un po’ più di autoironia. E a dirla tutta, anche stavolta le cose sarebbero potute andare meglio, perché le puntate previste erano in realtà venti, ma lo sciopero degli sceneggiatori ha per il momento dimezzato la serie.
Intanto godiamoci queste, che rispecchiano lo spirito iniziale della serie nata nel 1999 dalla mente di Groening e David X. Cohen. Grande citazionismo sci-fi, ma soprattutto una spietata satira della società americana e della sua storia recente, parlando degli anni in cui andò in onda, ma anche di buona parte di quelli precedenti. Il punto di Groening e Cohen era semplice: tutto quello che è stato fatto di male in questo Paese ci porterà a un futuro terribile. E neanche così lontano, perché alla fin fine Trump presidente lo abbiamo visto anche noi. A incarnare il passato è ancora Stephen J. Fry, prodotto della società dei consumi e della cultura trash televisiva. Stupido, ignorante, pigro, senza alcun interesse o obiettivo nella vita, Fry è l’essenza stessa della sub-cultura a stelle e strisce degli anni Novanta. Andare 1000 anni nel futuro dopo essersi per sbaglio criogenizzato consegnando una pizza non lo ha cambiato.
La nuova stagione inizia esattamente da dove finisce la precedente, sovvertendo ancora una volta tutti i canoni della narrazione tradizionale. In Futurama, infatti, i personaggi muoiono, resuscitano, si reincarnano, vengono clonati, insomma succede loro di tutto ma non importa, perché è un cartone animato ed è fantascienza, quindi qualunque cosa è concessa. È questo il più grande colpo di genio della serie, che anticipa di vent’anni i multiversi del Marvel Cinematic Universe e i “valetuttomovie” come il plurioscarizzato Everything, Everywhere, All at Once. Groening e Cohen avevano già fatto tutto prima, nel migliore stile F4 di Boris. Tutto in Futurama succede così, di botto, senza senso. Con la differenza che un senso c’è eccome, ed è quello di raccontare a un pubblico young adult, come direbbero quelli bravi, cosa stanno facendo al loro futuro. Facendoli guardare dentro uno strumento in cui passano immagini di un ipotetico domani, con macchine volanti, robot alcolizzati (Bender è uno dei più grandi personaggi della storia della televisione) e scienziati pazzi che in realtà sono proprietari di una ditta che consegna pacchi. Vi ricorda niente?
Prima di molte altre lodate (anche inopinatamente) serie contemporanee che affermano di celebrare la diversità e l’inclusione, Futurama ha messo al centro della storia come protagonista femminile una donna ciclope, parte di un supergruppo tra le cui fila c’è anche un calamaro alieno che di professione fa il medico. Ma non ammalatevi nelle sue vicinanze. Oltre a tutto ciò che è satira politica e critica sociale, Fry e la sua allegra compagnia sono spesso anche protagonisti di rivisitazioni dei classici della fantascienza, una tradizione che non si è persa in questa nuova stagione. Uno degli episodi che vedremo nelle prossime settimane riesce a mischiare in 24 minuti Viaggio allucinante, Starship Troopers, Il pianeta delle scimmie, I due mondi di Charly e Andromeda. Non è proprio una cosa che riesce a tutti, ed è anche dimostrazione della totale anarchia a cui si sono votati showrunner e sceneggiatori per questo ritorno sulle scene. E d’altronde, perché non dovrebbe essere così.
Questo terzo revival ha una funzione propedeutica retroattiva. Serve prima di tutto a spingere una proprietà intellettuale, tra quelle acquisite da Disney dopo l’acquisto di Fox, che deve essere valorizzata adeguatamente in termini di ore di visione. Futurama ha uno splendido passato di fronte, perché anche se può essere vista assolutamente come una stagione indipendente dalle altre, un vero e proprio reboot, come spiegato nel prologo della prima puntata, senza avere visto i precedenti centoquaranta episodi si perdono molti snodi e soprattutto non si apprezza in pieno il caustico umorismo di cui è permeato.
Futurama è tornata, anche se in realtà non è mai andata da nessuna parte, era su Disney+ da tempo, ma al contrario dei Simpson, che vengono macinati a ciclo continuo, aveva bisogno di una spintarella. Speriamo funzioni, perché l’epopea, e anche un po’ Odissea, di Stephen J. Fry a New New York merita soprattutto oggi un’attenzione e delle riflessioni profonde. Vi ricordo che nel futuro il Presidente della Terra è la testa di Richard Nixon. E, a pensarci bene, più che ridere mette i brividi.