“Quella” pasta al ragù
E mo’ chi glielo dice a Salvatore Esposito e Marco D’Amore, che non solo loro i veri omm’emmerda della serialità italiana? Dopo che hai visto Mare fuori, ripensi a Gomorra quasi con tenerezza, come a un campo estivo per amatori criminali. Se infatti Ciro e Gennaro ti ammazzavano pure il gatto per uno screzio, i ragazzini dell’Ipm di Napoli ci fanno direttamente la pasta al ragù. Succede per davvero, nella prima stagione, a Pino O’ Pazzo, e la scena – anzi, il colpo di scena – è a dir poco agghiacciante. Pino viene sospettato di tradire Ciro (Giacomo Giorgio) e a farne le spese è il suo cane, l’unico essere vivente per cui il ragazzino provi un sentimento positivo. Tra l’altro, i suoi “amici” lasciano persino la targhetta dentro il piatto, per essere sicuri che Pino capisca la vera natura del sugo. Consiglio spassionato: guardate Mare fuori lontano dai pasti.
Mansplaining addio
Se pensate che il mansplaining riguardi solo i rapporti uomo-donna, allora non avete mai visto una fiction Rai. Qui, infatti, impera il “non lo famo, ma lo dimo” di borisiana memoria. Per dire: in una serie bisogna far capire a Tizio che ha sbagliato? Parte il predicozzo di Caio. Bisogna chiarire allo spettatore la differenza tra farsi vendetta e fare giustizia? Giù a scrivere un altro dialogo polpettone. In Rai è sempre tutto un gigantesco spiegone, come se lo spettatore medio fosse un mentecatto che non può cogliere i messaggi impliciti. Ecco perché l’abbraccio tra il papà di Gaetano e Mimmo è un pazzesco colpo di scena. Così come il momento dove il commissario Massimo fa da scudo umano a Edo. O quando Carmine calma Totò mentre dà di matto, urlando di essere cattivo. Perché ognuna di queste scene non solo riassume (bene), attraverso le sole immagini, concetti complessi come il perdono, la speranza e la pietas, ma ci dice anche che, no, noi non siamo scemi. Possiamo farcela a capire una serie Rai senza che nessuno ce la spieghi. (Tradotto: date subito un David di Donatello – o meglio, un Telegatto: se esistono ancora – per meriti civili agli sceneggiatori di Mare fuori.)
O capitano, mio capitano
A proposito del sopracitato comandante dell’Ipm Massimo, alias Carmine Recano: lui è un figo. Ma soprattutto è il primo adulto carismatico che intercettiamo in un teen drama. Il che, signori miei, rientra da solo nella quota “colpi di scena pazzeschi”. Il genere (per lo meno quello italiano) ci aveva infatti abituato a una lunga tradizione di adulti non pervenuti. Nel senso che o mancavano del tutto nelle storie, o comunque era meglio che non ci fossero: erano persino peggio dei figli, in termini di (im)maturità. Massimo invece è il papà d’elezione dei protagonisti di Mare fuori: quello che chiunque vorrebbe avere. Non che non sia incasinato pure lui, intendiamoci. Però almeno non è colluso con i prigionieri (vero, Lino?), non si limona le detenute carine (again: vero, Lino?) e continua a credere nella parte migliore di ognuno di quei ragazzini (e ce ne vuole di coraggio, per farlo…). Manca solo la scena dei ragazzi che salgono sui banchi della mensa a invocare “O capitano, mio capitano…”
Gli happy ending mancati
Avete presente la Disney che corregge La sirenetta, fa fuori i nani di Biancaneve e rottama il Principe Azzurro? Ecco. Non è nulla rispetto a quello che accade in Mare fuori. Gli autori – loro sì – sono dei talebani del revisionismo, perché prendono letteralmente l’happy ending romantico e lo affogano, a mani nude, in ’sto mar for. All’Ipm infatti i veri colpi di scena amorosi sono la friendzonata che Cardiotrap rifila a Gemma (“per lasciarla libera”), Naditza che molla Filippo su una mancata Isola che non c’è (“l’ha fatto per proteggerti”) e la dottore’ Paola che scarica l’innamoratissimo (e fighissimo) Principe Azzurro Massimo (“tu qui hai una famiglia e un figlio”). La morale? Che amare l’altro vuol dire, per davvero, metter il suo bene davanti al proprio. Anche a costo di far incazzare tutti i fan della serie.
Il suicidio di Viola
In Mare fuori crepa sempre un sacco di gente. E pure nel peggiore dei modi. Per capirci, a Napoli non sanno nemmeno cosa sia un infarto: ti sparano prima, per strada, per le scale, al bar, in camera da letto. E mica solo se sei un criminale. Sono per esempio molto gettonati gli omicidi tra amici e parenti: figlie che trucidano madri (Kubra), amiche che accoltellano le bff per una bugia amorosa (Viola), e via dicendo. Morale: tu, spettatore, non puoi mai stare tranquillo perché appena inizia una puntata sai già che qualcuno ci lascerà le penne. Magari proprio il tuo personaggio “prefe”. L’unica per la quale dormivamo sonni tranquilli era Viola: la versione horror di Merida, la principessa del cartone Disney Ribelle – The Brave. Di lei ci fregava il giusto, ovvero niente, tanto il personaggio era scritto con i piedi dagli sceneggiatori. Poi però, a un certo punto, la nostra diventa la Jason Bourne dell’Ipm, e ci regala una mezz’ora da cardiopalma: scala i muri del penitenziario, va sul tetto, dà di matto, minaccia di gettare la neonata Futura di sotto, scivola, si salva e poi si lancia nel vuoto. Sì, si suicida. E no, non ce lo aspettavamo mica, perché siamo cresciuti con l’idea che solo chi soffre si suicida, mentre Viola è quella del “ho smesso di provare emozioni a 10 anni, per non sentire il dolore di mio padre”. Lo ripeteva ogni due per tre. Dunque? Dunque, suicidandosi, Viola dà ragione a tutti quelli che, per tre stagioni, ci vanno ripetendo fino alla nausea che solo l’amore salva. Solo che lei lo fa in un modo più interessante di tutti gli altri, ossia da vera stronza, dicendoci: “Pensi di essere forte? Spoiler: non serve a un cazzo” (segue suo sorrisino da pazza invasata). Ergo, il premio per la morte più scioccante è tutto suo.
Gemma e la telefonata all’ex
Quando arriva il personaggio di Gemma, pensi: “Ah, ok: questa è la parte dove ci fanno la lezioncina sul patriarcato e la mascolinità tossica”. E ti metti tranquilla. In fondo, cosa potrà mai succedere di peggio rispetto a tutto quello che la cronaca ci ha già (purtroppo) raccontato? Invece, ecco servito un colpo di scena da ribaltarsi dal divano. Dopo che il fidanzato violento Fabio ha menato Gemma e sfigurato con l’acido la sorellina (scena agghiacciante, per inciso), lei prova ad ucciderlo. Quindi finisce in carcere. Ma proprio qui la ragazza entra nel trip del “lui mi manca”. Ma come, ti manca? Quel mostro? Quello che solo per sbaglio non ha lanciato a te l’acido addosso? Ma l’hai vista tua sorella? La risposta a tutte queste domande è: “Sì, proprio così”. E a’ voglia a canta’ “e paccher nun su parole” con Cardiotrap: Gemma fa esattamente tutto quello che non deve fare. Telefona all’ex stalker, lo idealizza, legge le sue lettere, dà retta alle sue parole (e pure a Viola) e quando lui, violando i domiciliari, la raggiunge, ci va persino a letto. Così finisci per chiederti chi sia, tra i due, il più folle. Femministe care, riflettiamo (anche) su questo.