Les jeux sont faits: a Sanremo c’è chi sceglie il Casinò, e chi la Bacioteca | Rolling Stone Italia
I giocatori

Les jeux sont faits: a Sanremo c’è chi sceglie il Casinò, e chi la Bacioteca

Una notte fra le roulette con un finto Brunori, e altre avventure dalla Riviera

Les jeux sont faits: a Sanremo c’è chi sceglie il Casinò, e chi la Bacioteca

Sanremo, Casinò Municipale, tavolo della roulette francese

Foto: Marco Zanella per Rolling Stone Italia

«Già la canzone era bellissima, ma poi il video mi ha fatto proprio piangere». Così la ragazza all’ingresso del Casinò accoglie il tipo che è con me. Strabuzziamo gli occhi, «guarda che c’è un equivoco». «Ma scusi, lei non è…» – capiamo che potrebbe dire davvero qualunque nome, pure Serena Brancale – «… Brunori?!». Per un attimo pensiamo di dirle di sì, e lasciarle immaginare che Brunori, venuto al Festival con una canzone dedicata alla figlia piccola, sia giunto al Casinò a dilapidare alla roulette il patrimonio di famiglia.

Al Casinò bisogna venirci, pure senza giocare, per vedere l’altro Sanremo. Il Sanremo dei giovanissimi – sicuri che siano maggiorenni? – rimasti invisibili in questi giorni. Vengono qui a far puntate da cinque euro al massimo, rovesciando i drink sul tavolo verde e macchiando le giacche dei vecchi habitué, «Stia attenta, signorina!». Il croupier per un attimo sorride, solo per lui questa è la settimana più bella dell’anno, prima di tornare con solo qualche azero che sverna in Riviera. Ma c’è anche l’anziano col cappellino che cambia duecento euro al tavolo e li perde in due giri di ruota, e se ne va felice sulle sue scarpe da ginnastica bianche splendenti.

È più Regalo di Natale di Pupi Avati che Dostoevskij, e noi che invece ci aspettavamo un finale di serata in stile Grace Kelly e Cary Grant. Avevo pure chiesto al finto Brunori: «Ma ci vorrà la giacca?», e io già ce l’avevo addosso; «Ma guarda che l’obbligo della giacca l’hanno tolto vent’anni fa, almeno a Saint-Vincent», mi fa lui, e penso che tristezza, allora è davvero finito tutto.

Il massimo del frisson è un famoso rapper che va diritto ai tavoli da poker, ma poi ci ripensa e si ferma a parlare con uno con l’accredito al collo (per gli accreditati al Festival di Sanremo l’importante è far sempre vedere quella specie di foglio A4 che hanno appeso al collo, anche alle due di notte fra i lanci di fiche). O forse era il manager che gli diceva: «Fermati». Giù ci sono le slot, «ma lì è proprio la tossicodipendenza», e allora ce ne andiamo.

Nel frattempo, il giorno dopo, è arrivato il sole, e forse darà una scarica di energia in questo sotto finale, e toglierà quella piovosa buona educazione un po’ impiegatizia di questo Sanremo, inteso più come Fuorifestival, cioè tutto quello che sta attorno, che come evento televisivo che va a ritmo più spedito del solito e fa gli ascolti che deve. Pure Elodie ha detto l’altro giorno che i cantanti quest’anno son tutti gentili tra loro, molto più dei Sanremo passati. «Fedez, Tony Effe, tutto è già successo prima, il vero Festival l’ha fatto Corona, ha vinto lui, a noi non rimane più niente», sospira una collega che lavora per un femminile e dovrà scrivere, che disdetta, solo delle canzoni.

Nel Sanremo brandizzato, i primi a lamentarsi dei troppi brand sono le agenzie milanesi che hanno portato i brand a Sanremo. Ma la coda fuori dalla Bacioteca (sic), aperta da una marca di burro cacao, c’è ogni mattina quando ci passo davanti in bicicletta, dunque i brand torneranno puntualmente anche l’anno prossimo, anche più di quest’anno, e torneranno anche i milanesi a lamentarsi.

Stamattina a colazione il bancone era affollato di gente con il foglio A4 al collo. Facevano muro ai sanremesi che chiedevano «un caffè MOLTO ristretto», per dire qual è il mood in città. Un signore mi guarda e borbotta: «Non vedo l’ora che se ne vadano tutti». Rien ne va plus.

Altre notizie su:  Sanremo Sanremo 2025