Non bastavano Isole, Case, Collegi, Pupe, Secchioni e Caserme. No. Adesso ci si mette pure Netflix. Dal 16 dicembre è sbarcato sulla piattaforma Summer Job, l’“atteso” (ma da chi?) primo reality show italiano della piattaforma, prodotto da Banijay Italia. Un format, bisogna ammetterlo, davvero molto bello: sì, bello, se solo fosse arrivato in un’altra epoca storica. Il problema del programma sta infatti tutto qui: non negli inevitabili paragoni con Il collegio (poi comunque ci arriviamo) o nei déjà-vu in stile Riccanza, ma nello strutturale anacronismo ontologico del format.
Partiamo dalla mera messa in onda. Summer Job è arrivato a dicembre (dicembre!), col freddo, in piena fase panico-da-regali-di-Natale. E di cosa parla? Di dieci ragazzi che partono per una, pur fittizia, vacanza da sogno in un’isola paradisiaca in Messico. Riviera dei Maya, per essere precisi, che non è esattamente come dire Riccione. Capite bene che non può funzionare: noi siamo qui, sul divano, a dividere l’uvetta dai canditi del panettone, e loro girano in pareo e costume da bagno su spiagge dorate, morendo di caldo e facendo bagni a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non puoi che odiarli e sperare che, su quell’atollo, ci sia un vulcano ancora attivo, al servizio del karma. Dopodiché arriva il “colpo di scena”: i gioviali ventenni scoprono che la vacanza non è gratis. Devono meritarsela lavorando: sì, proprio loro che – udite, udite – disprezzano ogni forma di impiego. Nove su dieci sono dei figli di papà, quindi vivono in vacanza da quando sono nati; mentre Sofia, cresciuta nella più profonda borgata romana, ha umili origini. Pure lei, comunque, ozia dalla mattina alla sera.
I nostri devono quindi guadagnarsi la vacanza facendo i lavori più disparati, compreso raccogliere le feci delle scimmie o tonnellate di alghe melmose dalla spiaggia. E tu pensi: “Eccolo qui, l’amato karma”. Macché. Un secondo dopo l’attrice Matilde Gioli, qui al suo debutto da conduttrice, ci spiega che ogni settimana verrà eliminato un concorrente: l’ultimo che resta si porta a casa un montepremi pari a 100mila euro. Cioè, questi vivono pensando che lavorare sia superfluo e tu, per convincerli a faticare, gli dai una marea di soldi? Io a quel punto, sappiatelo, sono andata a controllare i nomi degli autori, certa di trovare almeno un esponente grillino. Niente: nemmeno uno pseudonimo sospetto. Ho quindi continuato a vedere lo show e, a quel punto, ho capito: il Movimento 5 Stelle non c’entra affatto. Summer Job è tutto fuorché un elogio al reddito di cittadinanza. Anzi. Somiglia più a un’arma di distruzione di massa in mano a Giorgia Meloni.
Nell’arco delle puntate, appare sempre più chiaro che i concorrenti non è che non possono lavorare: non vogliono proprio. La loro è una scelta di vita radicale. Per esempio, Marina è una giovane ventenne che è “in anno sabbatico da quasi 15 anni: il mio stile di vita è… scialla!”; Gian Marco si descrive come un “amante del bello, anche se non arrivo mai a desiderare le cose perché me le compro e basta, tanto che molti mi chiamano Baronetto o Briatore»”; Pietro arriva addirittura a trasformare il fancazzismo in una teoria filosofica: “Non voglio lavorare nemmeno un giorno della mia vita perché sarebbe sprecarla” (preferisce passare le sue giornate ad “accarezzare una panchina bagnata perché anche questo è arte”). Il nostro è pure convinto che i suoi riccioli, che cura maniacalmente, siano “un antidoto per l’eterna giovinezza”.
Certo, anche al Collegio i concorrenti non avevano voglia di studiare, ma in quel caso era diverso: da adolescenti, avete mai sgomitato per correre a casa a fare i compiti o risolvere un teorema di matematica? Il rigetto da studio è una tappa dell’umanità, attraverso la quale siamo passati tutti. Senza contare che spesso, purtroppo, è legata a basse propensioni verso una materia o quell’altra, o a insegnanti che non rispondono esattamente al modello L’attimo fuggente. È difficile insomma che sia, realmente, una scelta consapevole e desiderata. Odiare il lavoro – per di più non a 15 anni, ma a 20 avanzanti – è tutta un’altra storia, che, in questo frangente storico, risulta ancora più difficile da digerire.
Come se non bastasse, Summer Job ti mostra, plasticamente, cosa succede se dai dei soldi a chi, sotto sotto, non ha intenzione di faticare: se li bruciano. Il famoso montepremi da 100mila euro scende infatti molto velocemente, e a intaccarlo non sono tanto le penalità ricevute dai concorrenti ma le loro scelte folli. Per esempio, nella prima puntata possono decidere se spendere subito tremila euro per un mega aperitivo in spiaggia o se lasciare intatto il montepremi. Indovinate? Tranne Melina, tutti votano per il mega ape on the beach. Commento tecnico di Angelica: “Ho capito che lo stress si combatte con il divertimento”. Ottimo. E ancora. Quando Matilde Gioli spiega a Pit che può avere un massaggio se usa mille euro della vincita, lui accetta al volo fregandosene degli altri. Ma questi mica si arrabbiano: “Lo capisco, anch’io avrei fatto altrettanto” è il commento generale.
Insomma, dopo aver visto il reality, guarderete il reddito di cittadinanza con occhi diversi. Ma c’è di più. Lo show è anacronistico anche per l’immagine che dà dei rapporti uomo donna. A occhio, sono addirittura peggiori di quelli del GF Vip: il che è tutto dire. Lì, per lo meno, Alfonso Signorini avrebbe sicuramente tuonato contro Samuele: dopo mezz’ora nella casa, il figlio del pallavolista Luigi Mastrangelo si avvicina a un altro concorrente dicendo “Oh, mille euro che mi scopo Lavinia!”. Esatto. Hanno scommesso su una donna come fosse un oggetto qualunque. “Mi piace fare festa per cui cerco sempre un motivo” è la “saggia” argomentazione di Samuele. Tra l’altro, pochi minuti prima, sempre lui aveva detto: “Ho notato Lavinia: non l’ho ancora vista in costume ma promette bene”. Come se non bastasse, c’è Pit che esordisce dicendo: “Dalla vacanza mi aspetto un mare fantastico e un po’ di figa. Non ho mai ricevuto un due di picche e mai lo riceverò. Ho visto che Lavinia ha legato con Samuele: piace anche a me, mi farò avanti non appena ci sarà una crisi tra i due”. Sorvolando sulla spiacevole sineddoche, è un approccio un tantino da età della pietra: triviale, più che politicamente scorretto.
E ancora: il primo giocone che fanno è quello della bottiglia. Noi lo facevamo alle medie, massimo al liceo, loro a 22 anni suonati. I casi quindi sono due: o eravamo particolarmente evoluti noi (probabile) o le nuove generazioni sono decisamente immature (ancora più probabile). Poi certo, anche questa (forse) è tv verità ma, caro Netflix, non è che proprio devi riproporci tutte le bassezze del mondo come fanno già (ampiamente) Rai e Mediaset. Almeno tu potresti essere nazional-popolare ma al contempo aspirazionale o, per lo meno, al passo con i tempi. L’unica gradevole sorpresa di Summer Job è la star di DOC – Nelle tue mani: Matilde Gioli a tratti è un po’ ingessata, ma in fondo va capita. Provate voi a dialogare con quegli sbarbatelli: quella sì che è una dura gavetta. Alla fine, la vera vincitrice morale è lei. O, quantomeno, la vera sopravvissuta.