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Al ‘Corvo’ versione 2024 non avrebbero fatto male alcune lezioni di volo

Non è un remake (dicono), ma un tentativo di lanciare un franchise. La buona notizia è che Bill Skarsgård è un perfetto poster boy, la cattiva è che il film, al contrario del protagonista, non risorge mai. La recensione

Foto: Larry Horricks/Lionsgate

Cosa ricordate di più del Corvo del 1994? La colonna sonora, mix quasi perfetto di MVP della musica industrial (My Life With the Thrill Kill Kult, Machines of Loving Grace, Nine Inch Nails), aalt rock di nuova generazione (Helmet, Rage Against the Machine, Stone Temple Pilots) e grandi del goth (i Cure)? O la trasformazione di Detroit in un paesaggio infernale distopico? Gli amanti malvagi Michael Wincott e Bai Ling che si scatenano in un covo poco illuminato e stabiliscono nuovi standard per i #CreepyCoupleGoals o l’adorabile bimbetto con lo skateboard che informa il detective Ernie Hudson che se mangi gli hot dog con le cipolle poi scoreggi? O, ancora, il fatto che l’intera vicenda sembri un mimo omicida finito per caso in un video degli Stabbing Westward? O è la tragedia che ha colpito il protagonista del film e che ha gettato un’ombra su questo blockbuster, pur garantendogli elogi a non finire?

Arrivato nelle sale tra il Batman di Tim Burton e il primo degli X-Men, l’adattamento cinematografico del fumetto di James O’Barr racconta di un uomo che torna dalla morte per vendicare la fidanzata assassinata ed è uno dei primi esempi di film con supereroi dark. Il vero scopo del Corvo, però, era lanciare come nuova star dei film d’azione Brandon Lee, il figlio di Bruce Lee. La sua morte sul set, otto giorni prima della fine del film, ha finito per dare un tocco morboso al progetto. La sua interpretazione rimane la cosa migliore del film e quello che avrebbe potuto essere un grossolano sfruttamento si trasforma in un tributo all’attore. Si freme per l’innegabile presenza di Lee e si piange la carriera che avrebbe potuto avere.

Così Il corvo versione 2024 si trova in una situazione un po’ difficile fin dall’inizio. I pubblicitari si sono affrettati a dire che il film del regista Rupert Sanders non è un remake, «ma una rivisitazione della graphic novel». Tuttavia è lecito supporre che, anche se numerose iterazioni del vendicativo eroe risorto di O’Barr sono state pubblicate in una mezza dozzina di libri negli ultimi 35 anni, la maggior parte delle persone associa la saga al film del 1994. Si vogliono sfruttare la nostalgia e il brand, nel bene e nel male. Tuttavia, cercare di far entrare qualcuno in un ruolo che si identifica con un attore specifico e una storia dolorosa aggiunge ulteriori difficoltà. Ricordate quanto avete amato il primo film? Figo! Ora dimenticatevi del protagonista, di tutta la storia della “maledizione” e della trama, ma non così tanto da non comprare il biglietto o da non dare una possibilità al nuovo Corvo!

La buona notizia: è stata fatta una scelta intelligente nel trovare una persona che potesse riempire gli stivali di Demonia. Bill Skarsgård è in grado di fare sia l’action hero, sia il vostro peggior incubo. Serve qualcuno che interpreti una macchina da morte o un clown assassino? È il vostro uomo. Skarsgård è anche esattamente il tipo di sexy anticonformista che potrebbe vendere l’idea di un romantico condannato che si farebbe un viaggio all’inferno e ritorno per il suo amore. Date allo svedese alto, pallido e bello un po’ di mascara sbavato, un lungo trench nero (ma niente camicia) e una rasatura e avrete il ragazzo ideale per il poster della Hot Goth Summer. Il fatto che abbia poi anche molto talento e che sia in grado di reggere un film aiuta.

Ora arriva la parte negativa: non è qui ci sia molto da reggere. Fedele alle parole del reparto marketing, Il Corvo 2.0 non è un remake del film originale. Per quanto riguarda il ritorno al materiale di partenza… diciamo solo che “reimmaginare” è un’operazione molto pesante. Gli elementi di base sono presenti e rispettati, nel senso che c’è un legame profondo tra l’Eric Draven di Skarsgård e il suo vero amore Shelly, interpretato da FKA Twigs; Draven [spoiler] muore; un corvo lo riporta nella terra dei vivi; Draven si veste come se stesse andando a un’audizione per una cover band dei Bauhaus; e tutto va in merda. Il gracchiare generale rimane lo stesso.

Da lì, però, questo nuovo Corvo prende una serie di direzioni diverse, nessuna delle quali fa molto per reinterpretare, espandere o migliorare la nozione di O’Barr di un angelo vendicatore che regola i conti. C’è un accenno di trauma nel passato di Eric, un centro di recupero dove è vittima di bullismo ed emarginazione. È c’è anche una dolce scena dell’incontro con Shelly, che usa la riabilitazione per nascondersi dai cattivi che la cercano. Quando la coppia si dà alla fuga al suono di Disorder dei Joy Division – la colonna sonora sostituisce il rock degli anni ‘90 con il meglio degli anni ’80, oltre che con l’opera lirica ed Enya – i due si nascondono nell’appartamento elegante di un amico, fanno molto sesso e poi si ritrovano con gli amici in riva a un lago. Per la prima metà, la loro storia di amanti in fuga ha la precedenza su tutto ciò che è lontanamente mitico o soprannaturale. Sanders e gli sceneggiatori Zach Baylin e William Schneider arriveranno ai supereroi a tempo debito. Ma prima vogliono darvi Corveo e Giulietta.

Si può capire perché questa sia una buona idea in teoria: perché non lasciare che il pubblico si immedesimi in questi personaggi prima che il male li faccia a pezzi e che la violenza inizi sul serio? In realtà, questa enfasi su Skarsgård e FKA Twigs che si sussurrano dolci parole all’orecchio si trasforma in un incrocio tra una pubblicità di un profumo finto-erotico e gli spezzoni di una serie Young Adults fallita. Ed è pure piuttosto fiacca. Sappiamo infatti che il pericolo si sta dirigendo verso la coppia perché Danny Huston ha fatto una sorta di accordo in cui manda le anime degli altri all’inferno in modo da non doverci andare lui. Il come, il quando e il perché di tutto ciò è lasciato alla vostra immaginazione, intenzionalmente o meno. Sappiamo anche che i suoi scagnozzi danno la caccia a Shelly per via di un video di cui lei è in possesso; se questi scagnozzi siano anch’essi legati a Satana, o solo lacchè aziendali ben vestiti, o entrambe o nessuna delle due cose, non è dato saperlo.

Alla fine i cattivi li raggiungono, entrambi vengono uccisi ed Eric si risveglia in un limbo pieno di travi d’acciaio e uccelli. Tanti, tantissimi uccelli. Dopo un bel po’ di scambi tra il mondo dei vivi e quello dei defunti in attesa, fa un patto con un uomo misterioso (Sami Bouajila): la sua anima in cambio di quella di Shelly. La fregatura è che Eric deve uccidere tutti i responsabili della loro morte. Fortunatamente, ha i corvi dalla sua parte – evviva! – e può sentire il dolore, ma non può essere ucciso.

Al suo ritorno, Eric si aggira per le strade lugubri (ricordate che Sanders è responsabile sia di Biancaneve e il cacciatore che del live-action Ghost in the Shell, e ha un debole per il dark-revisionismo chic) e viene ferito più volte. Quando Il corvo lo lascia finalmente diventare un vero e proprio giustiziere in un teatro dell’opera, recupera il tempo perduto infilando in 10 minuti un’intera serie di uccisioni da film horror e un’abbondante quantità di sangue. Bello. Nemmeno la mutazione in Death Wish con un trucco da pancake, però, può salvare quello che sembra un tentativo velleitario di reintrodurre un personaggio di culto di un fumetto/film di culto nell’odierno panorama dell’intrattenimento tutto supereroi. Non ci vuole molto per capire che quello che doveva essere un l’inizio di un franchise è, a differenza del suo eroe, già morto.

Da Rolling Stone US.

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