‘Adolescence’: la recensione della serie Netflix | Rolling Stone Italia
nodo alla gola

‘Adolescence’ è cruda, devastante e imperdibile

Appena arrivata su Netflix, è composta da quattro episodi tutti girati in un singolo piano sequenza. Ma al di là della sbalorditiva resa tecnica, regala una delle storie più dure e reali incontrate di recente. Grazie anche alle performance dei suoi interpreti, la rivelazione Owen Cooper in testa

‘Adolescence’ è cruda, devastante e imperdibile

Erin Doherty e Owen Cooper in ‘Adolescence’

Foto: Ben Blackall/Netflix

La nuova miniserie di Netflix Adolescence racchiude molto, nei suoi quattro episodi. A seconda dei capitoli, è un poliziesco, un esame sociologico della rabbia maschile, del cyberbullismo e di un sistema scolastico britannico in crisi, un thriller psicologico e una tragedia su come, nel XXI secolo, la camera da letto di un bambino possa essere il posto più pericoloso al mondo per lui.

Due elementi legano insieme tutte queste ambizioni. Il primo è che tutto nasce dalla stessa indagine criminale per stabilire se il tredicenne Jamie Miller (Owen Cooper) abbia ucciso una compagna di classe. Il secondo è che ogni episodio è girato in un’unica inquadratura o, in gergo cinematografico, in un unico piano sequenza.

Un tempo quelle sequenze erano così difficili da realizzare, e così rare, che solo i registi più importanti come Alfred Hitchcock (Nodo alla gola), Orson Welles (L’infernale Quinlan) o Martin Scorsese (Quei bravi ragazzi) vi si cimentavano. Ma i miglioramenti nella tecnologia delle macchine da presa (e, più recentemente, dei droni) hanno reso il processo più comune. Film come I figli degli uomini e Birdman ne sono la prova, ma anche serie tv che vanno da True Detective a C’è sempre il sole a Philadelphia a The Bear hanno realizzato lunghe e memorabili scene di quel tipo. Adolescence non è nemmeno l’unica produzione televisiva incentrata sui piani sequenza di questa stagione: l’imminente satira sul mondo dello spettacolo di Seth Rogen, The Studio, ne presenta almeno uno in ogni episodio e ha un episodio interamente incentrato su di essi intitolato, semplicemente, Il piano sequenza (in originale The Oner, ndt).

C’è quindi il rischio che l’espediente di Adolescence, scritta da Jack Thorne e dal suo co-protagonista, Stephen Graham, e diretta da Philip Barantini, possa risultare un esercizio tanto di routine quanto ostentato – “un po’ di flash”, come sogghigna uno di questi adolescenti quando sente che un adulto si sta mettendo in posa con lei. Ma l’espediente non è mai meno che sorprendente e, se vogliamo, è essenziale per far sì che il prodotto funzioni in modo così potente.

Barantini, il direttore della fotografia Matthew Lewis e il resto della troupe trovano continuamente il modo di rendere fluido il movimento della macchina da presa, indipendentemente da cosa stia riprendendo o da dove si stia muovendo (i produttori hanno dichiarato che questi episodi sono stati girati in un’unica ripresa, piuttosto che in più riprese invisibilmente cucite insieme come avveniva in 1917). In un episodio, un sospettato fugge dai poliziotti Luke Bascombe (Ashley Walters) e Misha Frank (Faye Marsay) saltando da una finestra del primo piano, e noi lo seguiamo fuori dalla finestra, attraverso vari edifici scolastici, nel traffico e altro ancora. L’episodio pilota inizia con i poliziotti che entrano nella casa in cui Jamie vive con i genitori Eddie (Graham) e Manda (Christine Tremarco) e la sorella Lisa (Amelie Pease), per poi seguirli tutti in una vicina stazione di polizia; alla fine di quell’ora, sembra che la cinepresa abbia esplorato ogni stanza del posto.

Adolescence | Official Trailer | Netflix

In Adolescence, tuttavia, l’approccio a singola ripresa richiama raramente l’attenzione su di sé. È lì per far sì che la moltitudine di idee della serie si senta come parte della stessa storia, per quanto ogni episodio possa sembrare diverso l’uno dall’altro. Ed è lì per intrappolare gli spettatori nello stesso incubo in cui si trovano i Miller quando iniziano a contemplare l’idea che Jamie, con la sua faccia da bambino, possa aver commesso un crimine mostruoso.

Poiché non ci sono tagli, non c’è modo di sfuggire alle emozioni crude e verissime di ogni momento. Dopo l’arresto, Jamie deve spogliarsi nudo per consentire alla polizia di analizzare i suoi vestiti per ottenere la prova del DNA. La telecamera non lo mostra, ma si sofferma sul volto del padre, che lotta per rimanere composto mentre altri uomini adulti fanno spogliare il figlio pubescente davanti a loro. Gli altri adulti presenti nella stanza scelgono di distogliere lo sguardo mentre Jamie si spoglia, ma Eddie non può voltarsi, per un misto di protezione e orrore, così come non c’è un montaggio che protegga i personaggi, gli attori o il pubblico dal dover vivere ogni momento terribile della scena.

Gli episodi centrali sono la prova sorprendente di quanto sia vario l’approccio della serie, anche quando si tratta di questo caso e di questo modo di filmarlo. Il secondo episodio si svolge all’interno e nei dintorni della scuola di Jamie, dove Bascombe e Frank si sono recati per cercare una prova fondamentale per il loro caso, ma anche perché Bascombe – il cui figlio, per coincidenza, è uno studente di quella scuola – è alla disperata ricerca di una spiegazione per come una cosa così terribile possa essere accaduta tra quei bambini. L’ora si svolge in una grande location, con decine di comparse, e l’attenzione si sposta continuamente tra i poliziotti, gli insegnanti e i vari gruppi di studenti che reagiscono all’omicidio in modo selvaggiamente diverso, dal dolore opprimente al divertimento infantile. Ci sono scene di lotta e il già citato inseguimento a piedi, ma anche momenti di quiete e dolore acutissimo. E quella puntata fa capire quanto le scuole siano impreparate a rispondere ai bisogni e ai problemi degli studenti in questo momento storico, quasi interamente mostrando, piuttosto che raccontando (*). È un episodio importante e coraggioso.

(*) Anche se Frank riesce a descrivere in modo indelebile – e purtroppo preciso – l’odore di ogni scuola pubblica come “un misto di vomito, cavoli e masturbazione”.

E poi il terzo episodio – tra le ore di televisione che più mi hanno scosso l’anima da un po’ di tempo a questa parte – è il suo opposto strutturale: un compatto duetto tra Jamie e la psicologa del tribunale Briony (Erin Doherty) che si svolge quasi interamente in una stanza della struttura in cui Jamie è detenuto in attesa del processo. In questo caso, l’unità di ripresa non è utilizzata per catturare quante vite sono state collegate e influenzate da questo singolo atto di violenza, ma per fornire uno sguardo diretto al ragazzo accusato di averlo commesso. Briony è lì per valutare quanto Jamie comprenda la natura e le conseguenze di questo crimine e, come Bascombe, per cercare di dare un senso a ciò che sembra completamente insensato. La macchina da presa vortica intorno a questi due sparring partner mentre si misurano l’un l’altro, e non indietreggia quando la loro conversazione subisce forti oscillazioni emotive.

Doherty recita da anni, in particolare in The Crown, e Graham è uno degli attori più impegnati del Regno Unito; i due sono anche attualmente protagonisti di un’altra serie, A Thousand Blows (su Disney+), una storia in costume a colpi di boxe e crimini. Non è quindi sorprendente che siano qui così efficaci con un materiale tanto duro e pesante, anche se l’intensità di questa serie è molto impegnativa per qualsiasi interprete, e anche se Eddie, pur essendo soggetto a esplosioni di rabbia, è nel complesso un personaggio molto più sfumato e vulnerabile dei teppisti spavaldi che Graham è spesso chiamato a interpretare. Ma il fatto che Owen Cooper, alla sua prima apparizione sullo schermo, riesca a fare tutto ciò che gli viene richiesto in questo ruolo è sbalorditivo. Mentre la macchina da presa rimane su di lui, può passare dalla calma perfino giocosa alla tristezza o al terrore più totale nel giro di pochi secondi, e tutto ciò risulta completamente naturale e avvincente. Che rivelazione!

Anche con queste grandi interpretazioni, anche con la brillantezza tecnica in bella mostra, non è una serie facile da guardare. Il finale, in cui Eddie, Manda e Lisa devono fare i conti con quello che potrebbe essere il resto delle loro vite e con i modi in cui temono di aver fallito con Jamie, è a tratti quasi insopportabilmente triste. Ma per ciò che Adolescence ha da dire, e per l’eloquenza e l’audacia con cui lo dice, è anche una delle cose migliori – e una delle prime a contendersi il titolo di migliore in assoluto – che vedrete quest’anno sul piccolo schermo.

Da Rolling Stone US

Altre notizie su:  Stephen Graham Adolescence