Racconta Beppe Grillo che, quando ancora lavorava alla Rai, “ogni sabato sera, prima di andare in onda, mi chiamava il direttore generale Biagio Agnes: ‘Con la stima che ci lega, signor Grillo, si ricordi che lei si rivolge alle famiglie'”. E così lui andava in scena, e diceva a tutti che il direttore generale della tv pubblica aveva cercato di corromperlo. Erano gli anni ’80, quelli di Te la do io l’America, e l’ex rappresentante di vestiti genovese era diventato in breve tempo uno dei comici più amati e temuti d’Italia. Con Agnes, emittenza grigissima del dopoguerra tricolore, i conflitti furono aspri e duraturi, e approdarono anche in tribunale.
Ma, se la Rai democristiana incarnata dall’ex boiardo di Stato, era in fondo “bonaria, famigliare, melliflua”, peggio andarono le cose con l’ascesa di Craxi e dei socialisti, che non gli perdonarono la famosa battuta sulla delegazione dei socialisti in Cina. In realtà Grillo sarebbe tornato in onda, con molta meno regolarità, almeno fino al 1993 e al successo del suo Beppe Grillo Show. Poi, messo alla porta, iniziò una nuova fase, fatta di teatri, piazze e della scoperta del web. Fino alla politica, e alla creazione dei Cinque Stelle.
Questa sera, 25 anni dopo l’ultima volta, l’ex comico torna in prima serata sulla Rai, sul 2, dove lo ha voluto il direttore Carlo Freccero. L’occasione sarà la messa in onda di C’è Grillo, un programma di amarcord in cui vengono montati vecchi sketch del comico. Prima di lui era toccato ad Adriano Celentano, poi Benigni, Funari e Tortora. Le polemiche sono arrivate quasi in automatico, perché nelle scorse ore è emerso che Grillo – per tramite del suo agente Aldo Marangoni -, percepirà 30mila euro per i diritti del materiale di repertorio che sarà mandato in onda. Motivo per cui più di un esponente Pd ha parlato di scandalo, ed è già stata annunciata un’interrogazione parlamentare.
Non è la prima – e non sarà verosimilmente l’ultima – battaglia fuori fuoco dell’attuale opposizione. Trentamila euro, a quei livelli, sono poca roba. E, soprattutto, l’ostracismo durato decenni da parte della televisione di Stato nei confronti di Grillo è stato un errore tremendo. Perché non si zittiscono le voci che hanno qualcosa da dire – all’epoca parecchio, nel caso del creatore del “sacro blog” -, e perché di quella censura si è imbevuta per anni la retorica vittimista del MoVimento e del suo fondatore.
Che Grillo torni in Rai è una notizia positiva, soprattutto in questa forma e non nelle attuali veste da telepredicatore politico. Semmai il problema è quello che la Rai è diventata, dopo appena pochi mesi di “governo del cambiamento”. Perché colui che sosteneva la necessità di “creare una sola televisione pubblica senza alcun legame con i partiti e con la politica e senza pubblicità, e mettere sul mercato gli altri due canali”, oggi – assieme al socio di minoranza Salvini – ha colonizzato viale Mazzini con una fretta e una veemenza vista poche volte in passato.
Il colpo di mano in Rai da parte del nuovo esecutivo è un must di questa Repubblica da quando esistono i televisori, e i gialloverdi non sono stati da meno. Lo si è visto nelle nomine sulle poltrone che contano, lo si vede ogni giorno con un rapido zapping ai primi tre tasti del telecomando. Il “panino” à la Mimum è confermatissimo nei tg della sera, i servizi al seguito della delegazioni ministeriali in Israele o Giappone idem, e i politici continuano a commentare i fatti del giorno pure sulle piste da sci.
Insomma, la grancassa delle forze di governo continua a mantenere la sua funzione. E spesso si va oltre, come è successo nei giorni più caldi del caso Battisti, quando i tg di Rai 1 e Rai 2 hanno dedicato 15 minuti a testa per due serate di fila alla vicenda. Qualcosa di impensabile per i tempi televisivi, roba da attacco terroristico. L’abbraccio – simbolico e fisico – tra Matteo Salvini e Alberto Torregiani la sera della cattura del terrorista è stato interminabile, 2 minuti e 40. Pochi giorni dopo, per gradire, una bella intervista a Steve Bannon, personaggio sempre più inseguito dalle telecamere con il logo blu.
Si dirà: “Ora che governano quelli che non vi piacciono vi stracciate le vesti, mentre prima tutti muti”. Vero. Più o meno, ché la Rai ci turba dal piacere da tempi non sospetti e più volte è capito di farlo presente. Ma la reazione indignata diventa fin inevitabile quando si assiste a uno show come quello andato in onda a Povera Patria, il nuovo talk show “alternativo” di Rai 2, canale che si sta distinguendo tra la sorelle per abnegazione alla causa. Il servizio proposto dal programma sul signoraggio bancario è stato qualcosa di semplicemente fuori dal mondo, una gigantesca teoria paranoica impacchettata come informazione di servizio. La nomina a presidente Rai di Marcello Foa – quello dei retweet sulle cene sataniche a base di sperma, mestruo e sangue di donna – comincia insomma a mostrare i suoi frutti.
Tutto pronto, allora. Sintonizziamo il televisore, per goderci questa sera le immagini di quel simpatico arruffapopoli che un tempo dissacrava il potere e che ora è diventato il potere. In attesa di vedere compiuta l’opera di disintegrazione della tv pubblica che lui ha sempre auspicato e che ora, grazie ai suoi adepti, sta contribuendo con estremo zelo a realizzare.