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Come i nonni si sono presi le serie tv

Dopo ‘Grace and Frankie’, ‘Il metodo Kominsky’ e ‘Hacks’, ‘A Man on the Inside’ con Ted Danson conferma che le serie con protagoniste grandi star anziane non sono solo una tendenza di mercato, ma che in quelle storie c’è molto di più. E anche per questo piacciono pure al pubblico millennial

Foto: Colleen E. Hayes/Netflix

Ted Danson aveva 34 anni quando Cin cin debuttò nell’autunno del 1982, un po’ troppo giovane per una star televisiva dell’epoca. Nella Top 10 delle serie più visti di quella stagione c’erano altri trentenni come Tom Selleck in Magnum P.I. e John Ritter in Tre cuori in affitto, ma per la maggior parte i successi del piccolo schermo erano costruiti attorno ad attori cinquantenni (Larry Hagman in Dallas, George Peppard in A-Team) o sessantenni (John Forsythe in Dynasty, Jane Wyman in Falcon Crest). Quando Cin cin finì, una decina di anni dopo, Danson era già nella mezza età, in un momento in cui i volti della televisione stavano per diventare molto, molto più freschi. Mentre gli inserzionisti si convincevano che il pubblico più prezioso (e persuasibile) da raggiungere era quello over 35, e mentre serie con cast più giovani e convenzionalmente attraenti come Friends e Melrose Place diventavano dei grandi successi, il mondo degli affari si è trasformato in un vero e proprio Ponce de León, convinto che quell’elisir di giovinezza avrebbe portato con sé una valanga di soldi. Danson non ha smesso di lavorare in quel periodo, ma le sue due sitcom successive a Cin cin, Ink e Becker, sono state realizzate per la CBS, una rete con un pubblico più anziano che continuava a cercare di convincere gli inserzionisti che anche le persone con i capelli grigi avevano soldi da spendere – e anche lì Danson tingeva le sue ciocche sempre più bianche del castano che sfoggiava naturalmente nella sua carriera precedente.

Quando la sua ultima serie, A Man on the Inside, è arrivata su Netflix, a Danson mancavano poche settimane per compiere 77 anni. Se prima gli era stato chiesto di minimizzare i segni del suo invecchiamento, ora era protagonista di una serie in cui l’invecchiamento era l’argomento principale. Danson interpreta Charles Nieuwendyk, un ex professore universitario la cui vita si svuota completamente dopo la morte della moglie e il suo pensionamento. Si alza al mattino solo perché gli sembra la cosa da fare. Solo l’incoraggiamento della figlia e l’offerta di lavoro di un detective privato che ha bisogno di aiuto per indagare su un furto di gioielli in una residenza per anziani lo spingono a uscire di nuovo nel mondo. In quella casa di riposo farà nuove amicizie, scoprirà che molte persone della sua età conducono vite piene e complicate e si renderà conto che ci sono altre avventure che vorrebbe vivere finché può.

È una serie divertente e molto piacevole, che sembra il culmine di una tendenza che si è sviluppata nell’ultimo decennio, in cui la televisione ha imparato di nuovo ad abbracciare e persino a celebrare le persone anziane e le storie che hanno da raccontare.

I grandi attori anziani non sono esattamente scomparsi dal piccolo schermo durante la grande corsa all’oro demografica degli adulti 18-34. In genere sono solo diventati attori non protagonisti in serie guidate da interpreti meno capaci di loro. Ce ne sono ancora molti in giro, come l’ottantaduenne Harrison Ford a sostegno di Jason Segel in Shrinking. Ma c’è stato un graduale ritorno degli attori più anziani al centro della scena, spesso in età più avanzata rispetto alla norma, anche in un’epoca meno attenta all’età (*).

(*) Non sempre appare così, perché le persone – soprattutto quelle famose – oggi invecchiano in modo diverso rispetto all’America della metà e della fine del XX secolo. Buddy Ebsen aveva solo 65 anni quando interpretò per la prima volta il detective privato degli anni ’70 Barnaby Jones, e Jimmy Stewart solo 63 quando fu ingaggiato per una breve sitcom sulla NBC nello stesso periodo, ma entrambi sembravano sostanzialmente più vecchi di Danson e di molti degli attori di settant’anni o più di cui parleremo tra poco.

Lily Tomlin e Jane Fonda in ‘Grace and Frankie’. Foto: Saeed Adyani/Netflix

Questo graduale ridimensionamento è iniziato, ironia della sorte, in un settore del business generalmente considerato lungimirante e giovane: lo streaming. Nel 2015, su Netflix ha debuttato Grace and Frankie, in cui Jane Fonda e Lily Tomlin, all’epoca tra la metà e la fine dei settant’anni, interpretavano due pensionate che si riavvicinano dopo che i loro mariti le lasciano per avere una relazione tra loro. La serie è durata sette stagioni – tra le più lunghe serie in streaming mai realizzate – e ci ha ricordato con forza che Fonda e Tomlin erano un’ottima squadra come lo erano state decenni prima nella commedia femminista Dalle 9 alle 5… orario continuato. Qualche anno dopo, Netflix ha prodotto una sorta di controparte maschile, cioè Il metodo Kominsky, con Michael Douglas e Alan Arkin nei panni, rispettivamente, di un famoso insegnante di recitazione e del suo agente e amico di lunga data; è durata solo tre stagioni, in parte perché Arkin (che aveva 84 anni prima dell’inizio della serie) non è tornato dopo la seconda. Tuttavia, l’esistenza di entrambi i titoli e la longevità di Grace and Frankie sono il riflesso di un effetto collaterale inaspettato della rivoluzione dello streaming: Senza inserzionisti da accontentare (almeno non negli anni ’10), i dati demografici sono diventati insignificanti. L’unica cosa che contava erano i bulbi oculari e gli abbonamenti. Se qualcuno che amava Jane Fonda dai tempi di A piedi nudi nel parco e Arkin da quelli di Comma 22 voleva abbonarsi a Netflix per guardarli, era un profilo, e un importo in dollari, equivalente a quello di un adolescente ossessionato da Stranger Things.

Presto seguirono altri streamer. Hacks, su quella che allora si chiamava HBO Max (in Italia è disponibile su Netflix, ndt), diede a Jean Smart il miglior ruolo della sua carriera, cioè quello della leggendaria cabarettista Deborah Vance, che lottava per rimanere rilevante nei suoi ultimi anni di vita. Hulu ha avuto un successo acclamato con Only Murders in the Building (da noi su Disney+, ndt), una mystery comedy costruita sul contrasto tra la popstar millennial Selena Gomez e i vecchi professionisti Steve Martin e Martin Short.

In questo arco di tempo, anche le reti tradizionali e i canali via cavo hanno proposto serie degne di nota con protagonisti in età da pensione. Selleck, coetaneo di Danson negli anni ’80, ha appena concluso 14 stagioni al timone di Blue Bloods della CBS. Kathy Bates è protagonista di un remake di Matlock (che non è esattamente un remake), più arzilla a 76 anni di quanto sembrasse Andy Griffith quando interpretò per la prima volta il ruolo a 59 (come dicevamo prima, oggi invecchiamo in modo diverso). E se Succession contava su un ensemble spesso concentrato sui fratelli Roy, l’azione ruotava tutta intorno a ciò che Brian Cox stava facendo nei panni di Logan, un anziano milionario il cui rifiuto di cedere il potere alla generazione successiva ha conquistato molti spettatori che non sono eredi di un impero mediatico. Inoltre, Jeff Bridges e John Lithgow hanno passato due stagioni interpretando due ex spie tornate in servizio nel dramma di FX intitolato letteralmente The Old Man (sempre su Disney+, ndt). La tendenza si è estesa anche al mondo della reality tv: se il franchise di The Bachelor è stato concepito per vedere uomini e donne giovani e sexy alla ricerca dell’amore eterno, la ABC ha recentemente avuto successo con un’edizione per anziani, The Golden Bachelor, mentre Netflix ha il suo show di appuntamenti per anziani, The Later Daters – L’amore non ha età.

E ora abbiamo A Man on the Inside. Un gioiello assoluto, che racconta il terreno fertile che c’è in questa fase della vita, che può sembrare alternativamente precaria o piena di possibilità. La serie, ideata dal creatore di The Good Place Michael Schur, si diverte molto a mostrare quanto sia antiquato il Charles di Danson e come alcuni degli altri residenti abbiano accettato con gioia la mancanza di responsabilità della vita. Ma trova anche un enorme pathos nei vari problemi specifici della loro età, poiché vediamo i vari personaggi alle prese con la demenza, il cancro o semplicemente la solitudine e il senso di disconnessione da una vita più attiva trascorsa altrove (*). La serie offre a Danson uno dei materiali migliori e più vari della sua carriera, e sfrutta anche una vasta e poco sfruttata galleria di attori di una certa età: Sally Struthers di Arcibaldo, Susan Ruttan di L.A. Law – Avvocati a Los Angeles, i comici Stephen McKinley Henderson e John Goetz, tutti chiaramente desiderosi di dimostrare che ci sanno ancora fare.

(*) L’unico aspetto che la serie – e in generale questi titoli su personaggi anziani – sembra temere è quello della mobilità. Una comunità di pensionati che non ha residenti, almeno non fra i protagonisti, che usano una sedia a rotelle, un deambulatore o neanche un bastone è l’equivalente delle commedie in cui i Friends potevano permettersi appartamenti sontuosi a Manhattan pur facendo lavori di mera sussistenza.

L’ansia di dimostrare che l’avanzare degli anni non ha rallentato i tempi comici di nessuno, né frenato la loro capacità di far piangere – e che, anzi, alcuni di loro sono solo migliorati nel loro mestiere con l’età – è palpabile in tutte queste serie, e in molte altre che mettono in luce attori più anziani. A 82 anni, Harrison Ford sembra più vivace, divertente e vulnerabile in Shrinking di quanto non sia mai stato in nessun ruolo cinematografico da moltissimo tempo. In Matlock, Kathy Bates interpreta una donna che si approfitta del fatto che tutti la sottovalutano prendendola per una nonnina per nulla minacciosa. Chiunque abbia visto Bates interpretare Annie Wilkes in Misery non deve morire non farebbe mai lo stesso errore, ma c’è comunque una gioia sorniona nella sua interpretazione, in quanto prova piacere nel prendersi gioco delle persone più giovani che la circondano (ha anche detto che questo sarà il suo ultimo ruolo da attrice prima del pensionamento, e anche per questo sta chiaramente dando il massimo). Steve Martin e gli altri sceneggiatori di Only Murders cercano di dargli almeno una grande scena slapstick a stagione, per ricordargli che l’uomo che una volta lottava con Lily Tomlin per il controllo dello stesso corpo nella commedia del 1984 Ho sposato un fantasma ha ancora una certa scioltezza nelle articolazioni.

Jean Smart in ‘Hacks’. Foto: Jake Giles Netter/Max

Anche se le piattaforme di streaming hanno introdotto livelli ad-supported, il business non è tornato a puntare solo sulle star che non hanno ancora bisogno di una pillola di colesterolo al giorno. In parte ciò è dovuto a recenti studi, che hanno dimostrato che gli americani più anziani hanno una buona quantità di reddito disponibile, la voglia di spenderlo e una maggiore disponibilità a cambiare brand (o rete televisiva) rispetto a quanto si credeva in precedenza. In parte è dovuto al fatto che per gli spettatori al di sotto di una certa età la televisione non è più l’opzione di intrattenimento predefinita; se è più probabile che siano gli spettatori più anziani a guardarla, c’è una certa sicurezza nell’offrire loro star che già conoscono e amano. Ma molti di questi titoli, come Hacks e Only Murders, godono anche di un robusto sostegno da parte di un pubblico molto più giovane dei loro protagonisti. Tra la stanchezza per la Prestige Tv e la generale insicurezza del mondo attuale, è così sorprendente che alcuni spettatori che non hanno ancora una certa età gravitino verso storie che hanno per protagoniste le star di un tempo?

Naturalmente, il fatto che queste serie siano spesso molto belle aiuta. Jean Smart ha vinto un Emmy come attrice di una serie comedy per tutte e tre le stagioni di Hacks, e potrebbe mantenere il premio fino alla fine della serie. Kathy Bates ha una possibilità non trascurabile di aggiungere un terzo Emmy al suo palmarès per Matlock, e se c’è qualcuno che detronizzerà Jeremy Allen White come attore protagonista di una serie comedy, sarà proprio Danson, che salirà sul podio per la prima volta dalla fine di Cin cin?

A Man on the Inside è stata rinnovata per una seconda stagione, e la prima si è conclusa con Charles che accetta di aiutare il detective in un nuovo caso, che presumibilmente comporterà l’andare sotto copertura con un nuovo gruppo di colleghi anziani. Il bagliore negli occhi di Danson in quel momento finale suggerisce che la serie, e l’attore, hanno ancora molti anni da vivere. C’è un senso di possibilità per lui e per questo sottogenere televisivo improbabile ma profondamente soddisfacente. Speriamo che ce ne siano molti altri come questo.

Da Rolling Stone US

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