La verità è che, anche se sembra impossibile, ci si abitua fin troppo facilmente alla meraviglia. Quando alla fine del 2017 arrivarono su Prime Video, neanche tanto in pompa magna, gli episodi della prima stagione di The Marvelous Mrs. Maisel in tanti rimasero a bocca aperta: la scrittura ritmata e l’umorismo di Amy Sherman-Palladino erano all’apice della forma, la protagonista Rachel Brosnahan (solo ventiseienne all’epoca delle riprese, e nota principalmente per un ruolo secondario in House of Cards) era una rivelazione, il budget apparentemente illimitato di Amazon utilizzato nel migliore dei modi per dar vita a una fantasia colorata degli anni ’50, e la storia – una ricca casalinga ebrea dell’Upper East Side decideva di sfondare come stand-up comedian – suonava nuova, fresca, stramba, imprevedibile. All’annuncio che la quinta stagione, che parte oggi su Prime Video con i primi tre episodi, sarebbe stata l’ultima, i fan si sono inevitabilmente dispiaciuti, ma la sensazione generale è che ce lo si aspettasse, e che tutto sommato andasse bene così: alla meraviglia della signora Maisel, in quest’ultimo lustro, ci siamo “abituati”, al punto da non accorgerci che, ancora, non c’è nient’altro davvero come lei.
La quinta stagione è qui per ricordarcelo, compatta e determinata come qualche volta capita alle serie che sanno di stare per finire. Tanto per cominciare, si preoccupa di dirci tutto quello che vogliamo sapere. Non è un mistero che, almeno per una fetta di spettatori, The Marvelous Mrs. Maisel sia stata più volte anche frustrante: la sua protagonista aveva l’apparenza perfetta di una supereroina in grado di fare con semplicità qualsiasi cosa (dall’arrosto a dieci impeccabili minuti di show comico), eppure continuava a inciampare, sbagliare, autosabotarsi, perdere occasioni e – secondo qualcuno – anche perdere tempo. C’è chi si è lamentato della deviazione vacanziera nelle Catskill, per esempio, nonostante i set prodigiosi, l’evocazione gustosa di un mondo definitivamente consegnato al passato (per inciso, quello di Dirty Dancing!) e l’impagabile tutina da ginnastica di Abe Maisel (Tony Shalhoub, che interpreta il nevrotico papà di Midge, ha trovato qui uno dei ruoli della vita). Ma come? Midge non doveva veleggiare spedita verso il successo? Dov’è la sua ascesa, dove sono le sue vittorie, i suoi trionfi? Perché perde tempo in vacanza, a Parigi, o al lavoro nei grandi magazzini B. Altman, o trastullandosi all’idea di un nuovo marito che comunque non sarà quello giusto? Perché, nella quarta stagione, si autorelega sul palcoscenico di uno strip club illegale invece di andare alla conquista del mondo?
In quest’ultima questione c’entra soprattutto il Covid – per la quarta annata Amy Sherman-Palladino aveva altri piani, l’obbligo di girare tutto solo a New York però ha portato a una riscrittura in corsa – ma il punto è duplice: da un lato The Marvelous Mrs. Maisel, come sempre nelle serie della sua autrice, è soprattutto un mondo in sé, e un mood. Come la Stars Hollow di Una mamma per amica o la Paradise di Bunheads (serie molto meno nota, ma assolutamente da recuperare se vi piace lo stile palladiniano), sono universi nostalgici e in un certo senso sospesi, appena adiacenti alla realtà: come in Una mamma per amica si “perdeva tempo” a bere caffè bisticciando con Luke o dietro alle assurdità cittadine nelle bizzarre townhall, in The Marvelous Mrs. Maisel si esplorano in lungo e in largo set che – appunto, grazie alla munificenza di Amazon – hanno le potenzialità di estendersi, anche in varietà, per l’intero globo (pensate di nuovo allo strip club della quarta stagione: “rinchiusa” lì dentro dalla pandemia, Sherman-Palladino l’ha “ingigantito”, un’esibizione dopo l’altra, fino a fargli raggiungere dimensioni da kolossal teatrale). E poi, soprattutto, The Marvelous Mrs. Maisel non è la storia di un successo, non applica la formula (anche decisamente abusata) del biopic sullo showbusiness: è il racconto di quello che avviene prima, della fatica, delle scelte sbagliate, delle opportunità mancate, delle ingiustizie subite e anche dei dubbi che tormentano chi sceglie di dedicarsi in toto a «una professione che non dovrebbe esistere, come Dio o il cancro» (per citare il Lenny Bruce della prima stagione). Nei sopra citati biopic, le future star sembrano sempre predestinate, la fama le coglie in un lampo con facilità disarmante, oppure loro la perseguono come unica ragione di vita; ed è solo dopo, nell’immancabile secondo tragico atto, che s’accorgono di doverne pagare il prezzo. Midge, invece, se lo chiede prima, spesso: voglio davvero sacrificare tutto per questa cosa obiettivamente insensata di stare su un palco a far ridere sconosciuti raccontando loro i tragicomici fatti miei?
Se c’è una cosa che The Marvelous Mrs. Maisel sa fare, però, è costruire un ottimo spettacolo: sa che le battute di un set vincente hanno bisogno di esser seminate con attenzione e cura, e poi raccolte al momento giusto. Nella penultima annata, abbiamo avuto finalmente l’attesa fioritura della relazione tra Lenny e Midge, apparecchiata con pazienza fin dal pilota (ed è stata appassionata, romantica e infine burrascosa come avevamo sognato). E in questa quinta e ultima stagione, dicevamo, la serie risponde a tutte le nostre ansiose domande: Midge raggiungerà il grande successo? Riuscirà a sfondare nell’insidioso showbusiness, nonostante i pregiudizi di quel mondo, della società dell’epoca e della sua stessa famiglia? E come continuerà l’avventura da manager di Susie (Alex Borstein)? Come si evolverà la complicata relazione tra Midge e Joel? Come cresceranno i loro figli e che ne sarà dei loro genitori?
Amy Sherman-Palladino e suo marito Daniel (entrambi alla regia di molti episodi, oltre che alla sceneggiatura e alla produzione) scelgono, per rispondere, di confezionare una stagione più che mai “meta”, evitando la progressione lineare e la formuletta “ascesa-caduta-comeback” che affligge la maggior parte delle storie di successo. Da un lato, praticamente ogni episodio di questa quinta e ultima annata comprende dei flashforward, delle finestre sul futuro dei personaggi che rivelano pian piano pezzi del loro cammino. In moltissimi casi, i Palladino utilizzano al riguardo espedienti prelevati dal mondo della tv e dello spettacolo, come la puntata di 60 Minutes che negli anni ’80 ripercorre la carriera di Midge, oppure il roast di Susie, occasione tipica in cui, per onorare una figura dello showbiz, i colleghi che la conoscono bene la prendono in giro pubblicamente nel corso di una serata (è il bellissimo sesto episodio, e occhi aperti per le tante guest star da Una mamma per amica). Parallelamente, nel racconto del “presente” (cioè i primi anni ’60), Midge continua la propria gavetta con un nuovo lavoro, nella stanza degli sceneggiatori di un prestigioso talk, il fittizio Gordon Ford Show (già apparso nella quarta stagione), ispirato a produzioni simili realmente esistite, prima fra tutte quella del leggendario Johnny Carson, l’antesignano di gente come David Letterman e Jay Leno, capace davvero di fare o disfare il successo di qualcuno in una sola serata (Ellen Degeneres, per restare nel campo delle comedienne, ne sa qualcosa). Midge è, naturalmente, l’unica donna della writers’ room, un’eccezionalità tale che tutti la chiamano direttamente “lady writer” (un equivalente di “Puffetta”), e attraverso questo suo ulteriore percorso di formazione Sherman-Palladino compone un omaggio anche al proprio lavoro di scrittrice televisiva, e alla televisione tutta, alla storia di un medium che, spesso bistrattato, ha “fatto” la cultura di un Paese (e nella vita “da ufficio” di Midge non è difficile intravedere anche un omaggio a Mad Men: insomma, c’è tutto il meglio del piccolo schermo, qui, e anche di più).
Insomma, in questi ultimi nove episodi (il finale arriverà il 26 maggio) Amy Sherman-Palladino spreme l’essenza di Mrs. Maisel e della sua stessa poetica. Ci troverete tutto quello che di questa serie avete amato fin dal primo momento: i set stupefacenti (nella première c’è una lunga scena in aeroporto, con i soliti strepitosi piani sequenza, che fa rimpiangere i viaggi aerei dell’epoca) e i costumi travolgenti e “parlanti” (non sono solo vezzi: il monologo di Midge sulla differenza tra “mise per stare in piedi” e “mise per stare seduta” sarà per molte donne fin troppo comprensibile), i momenti musical (come per rispondere ai suoi detrattori, Sherman-Palladino ne compone uno sulla… spazzatura!), i dialoghi veloci e le battute divertenti, le idiosincrasie ridicole ma irresistibili delle famiglie Weissman e Maisel, con un cast strepitoso che ormai indossa i propri ruoli come gli abiti su misura cuciti dalla costumista Donna Zakowska (a proposito, se volete fare o farvi un gran regalo, cercate il suo libro Madly Marvelous), un affollamento di personaggi di contorno immediatamente indimenticabili, anche se dicono solo una o due frasi.
E poi, ovviamente, c’è la splendida, complicata, contorta, tagliente e meravigliosa amicizia tra Midge e Susie, due donne agli antipodi (anche fisici e cromatici, oltre che caratteriali) eppure determinate a farsi largo, senza perdere se stesse, in ambienti che le rigettano. Come in ogni serie palladiniana, sono le relazioni femminili la vera spina dorsale del racconto, e qui è ancora più evidente. Infine, troverete la conclusione di un poderoso (e poderosamente divertente) romanzo di formazione, per molti versi “al contrario”, come realizza in un’epifania insieme esilarante e commovente Abe in un grande monologo: Midge Maisel non deve davvero diventare qualcuno, quanto trovare chi è già sotto strati d’insicurezze e terrori personali ma anche pregiudizi sistemici e oppressioni sociali, secoli d’educazione patriarcale che rende molti ciechi al talento delle donne, anche le donne stesse. Arrivati alla fine, ci accorgeremo pure noi con gratitudine che la meraviglia di Mrs. Maisel, in questi cinque anni, è sempre stata qui, per noi, come un piccolo miracolo. E siamo certi che ci mancherà.