Avete presente quegli elenchi “non è mai troppo tardi”, liste di artisti e celebrità che hanno raggiunto il successo o addirittura iniziato la propria carriera verso i quarant’anni e oltre? Accanto alla scrittrice premio Nobel Toni Morrison e all’unico interprete credibile nel ruolo di “Dio” Margan Freeman, dovrebbe starci ora di diritto anche lui, David Harbour, ormai per tutti lo sceriffo Jim Hopper di Stranger Things, 45 anni oggi (auguri!).
Non che abbia iniziato tardi, anzi. L’esordio professionale a Broadway è del 1999, a 24 anni, e di pochi mesi dopo è pure il debutto televisivo, l’inevitabile comparsata in un episodio di Law & Order, che tocca come una tassa a chiunque desideri una carriera d’attore. Ma giusto prima di essere scelto, nel 2015, per il ruolo di Hopper nella serie dei fratelli Duffer, Harbour aveva deciso di abbandonare definitivamente Hollywood: era convinto di non esser riuscito a fare il salto definitivo da una costa – la New York del mondo teatrale – all’altra – la città dei sogni su grande e piccolo schermo. Lungi dal trovarsi disoccupato, era più che altro una questione di sentirsi incastrato in un limbo, quello dell’eterno caratterista, quello di soli ruoli da comprimario o da villain secondario, anche se in celebrati film di grandi autori e grande successo: una comparsa in La guerra dei mondi di Spielberg, il ripiego di Jack/Jake Gyllenhaal in I segreti di Brokeback Mountain, il vicino di casa di Leo DiCaprio e Kate Winslet in Revolutionary Road, il capo della CIA sudamericana in Quantum of Solace, il marito abbandonato da Wallis Simpson in W./E. di Madonna, il terrificante killer Ray in La preda perfetta con Liam Neeson (una delle sue prove più memorabili), il poliziotto corrotto in The Equalizer con Denzel Washington.
In tv, dopo l’obbligatoria gavetta “law&orderiana”, agguanta il primo ruolo ricorrente in Pan Am. Ve la ricordate? Era quella serie che avrebbe dovuto essere la nuova Mad Men generalista, e invece è stata cancellata dopo una sola mezza stagione; ma che, nel frattempo, almeno ha scoperto Margot Robbie. In The Newsroom – il parco giochi di Aaron Sorkin in casa HBO – è letteralmente il sostituto/rivale professionale del protagonista interpretato da Jeff Daniels. Sempre un recurring role, come anche in Rake, Manhattan, State of Affairs… Mai protagonista, solo cinque/sei anni fa David aveva deciso, senza neanche troppi rimpianti, di cambiare direzione e concentrarsi sul palcoscenico, dove tutto era cominciato, e di tornare a Broadway, una comunità più accogliente e genuina della sfavillante ma incostante Città degli angeli.
E poi, ecco Stranger Things: dove i protagonisti sono tutti ragazzini, tranne due adulti, e i due adulti sono lui e Winona Ryder. Lui è lo sceriffo Jim Hopper, per cui «le mattine sono fatte per il caffè e la contemplazione» (meme istantaneo) e che ama ballare in modo teneramente ridicolo ascoltando vecchi dischi (altro meme istantaneo). Il suo è l’arco classico di redenzione di tutti i film che più abbiamo amato nella nostra infanzia. È l’Harrison Ford di Stranger Things: scorbutico, sgarbato, quasi sempre malmostoso, profondamente danneggiato da un trauma passato, tutto apparente cinismo ma, sotto sotto, grandissimo cuore, oltre a brillante intelligenza investigativa e propensione a usare i pugni per tagliar corto quando serve. Un quadro anche problematico, eh – come non ha mancato di notare qualcuno soprattutto durante la terza stagione, dove, in linea con lo stile anni ’80 che si evolve attorno a lui, accantona la divisa e scivola nei baffi e nelle camicie hawaiiane alla Magnum P.I., ed è iper possessivo con Eleven e Joyce –, ma perfettamente in linea con gli archetipi narrativi Eighties su cui Stranger Things è consapevolmente costruito.
Hopper è un uomo imperfetto e irrisolto, chiuso e testardo, a volte ci verrebbe voglia di prenderlo a ceffoni (sconsigliato), ma è davvero difficile non volergli bene (che poi, se ci pensate, è la vera forza di Stranger Things: averci fatto affezionare così tanto a tutti i personaggi che ci risulta insopportabile l’idea di doverli lasciare andare, prima o poi). Per questo al finale della terza stagione, quello in cui (SPOILER!) Hopper si offre in sacrificio per tutti, non ci ha creduto davvero nessuno: abbiamo pianto tutte le nostre lacrime, certo, ascoltando la lettera ritrovata da Eleven, e poi abbiamo atteso che la scena post titoli di coda, e infine il trailer della stagione 4, ci confermassero che, in un modo o nell’altro, Jim era ancora tra noi.
C’entra anche il fatto che, ora che lo conosciamo meglio anche grazie alla sua presenza social e alle tante interviste, vogliamo davvero bene a David Harbour. Abbiamo scoperto che soffre di un disturbo bipolare, di cui parla apertamente combattendo la stigmatizzazione che circonda la malattia mentale. L’abbiamo visto e sentito più volte preoccuparsi per le sue giovani co-star, impegnarsi perché Millie Bobby Brown si trasformi sul serio nella prossima Meryl Streep ed eviti il rehab che troppo spesso attende gli ex bambini prodigio. L’abbiamo visto stupirsi lui stesso, ed entusiasmarsi come un bambino, infilandosi finalmente nei ruoli prestigiosi che hanno cominciato a piovergli addosso dopo l’esplosione planetaria del fenomeno Stranger Things. Primo fra tutti l’eponimo protagonista di Hellboy: sorvoliamo sulla riuscita del film, e concentriamoci sull’impegno, anche fisico, che ci ha messo David per trasformarsi nel diabolico eroe dei fumetti.
E poi Black Widow, l’atteso capitolo del Marvel Cinematic Universe dedicato alla Vedova nera di Scarlett Johansson: anche qui si è calato con entusiasmo nel ruolo muscolare di Red Guardian, così tanto entusiasmo da dichiarare che il film, la cui uscita è stata bloccata dall’emergenza coronavirus, avrebbe dovuto approdare su Disney+ ed essere visto presto da tutti (la Disney non è stata d’accordo: Black Widow arriverà al cinema il 6 novembre). Per il suo prossimo film Harbour non deve preoccuparsi: l’action thriller Tyler Rake, scritto da Joe Russo, in cui recita accanto a Chris Hemsworth, approderà direttamente su Netflix il 24 aprile.
È talmente diretto e alla mano, David Harbour, che negli ultimi giorni è balzato sulle prime pagine per un fatto peculiare: aver pubblicato il proprio numero di telefono sul suo profilo Instagram, invitando chiunque si senta solo o abbia bisogno d’aiuto in questi giorni di lockdown a scrivergli un sms. Non – per favore – per professare imperituro amore per o fare domande su Stranger Things, la cui lavorazione è sospesa (era appena iniziata quando ha cominciato a diffondersi l’epidemia), ma per condividere informazioni e dettagli personali, nel tentativo di costruire una rete di mutuo aiuto. Qualcuno, negli Stati Uniti, ha già avanzato legittimi dubbi su questioni di privacy, o sulla trasparenza di quest’operazione. Ma, anche se non vi fidate a lasciare i vostri dati allo sceriffo Hopper, potete sempre scrivergli anche solo per fargli gli auguri di buon compleanno.