Chi controlla i franchise controlla il mondo! Denis Villeneuve non aveva ancora completato la prima metà del suo adattamento in due parti di Dune quando nel 2019 vennero annunciati i piani per uno spin-off televisivo: era già ovvio che il suo mondo di spezie sarebbe stato terreno fertile per una futura raccolta di intellectual property. L’epopea fantascientifica di Frank Herbert era già stata portata sul piccolo schermo in passato, ma questa nuova serie HBO si baserà sulla visione di Villeneuve e prenderà in prestito il romanzo del 2012 Sisterhood of Dune, scritto da Brian “figlio di Frank” Herbert e Kevin J. Anderson. Sarebbe ambientata diversi millenni prima della nascita dell’eroe dei film, Paul Atreides, o, secondo alcuni dei nomi coinvolti, “10.000 a.C.” (da leggersi come: avanti Chalamet). L’attenzione si concentrerebbe sugli albori delle Bene Gesserit, quell’ordine mistico di donne che controllava le macchinazioni dell’impero dietro le quinte. C’è la promessa di intrighi interstellari, un sacco di pugnalate alle spalle e di pugnalate letterali, e un mucchio di copricapi alti molto fashion. In termini di prequel, si potrebbe fare di peggio.
Gli spettatori riconosceranno territori già esplorati, quando guarderanno Dune: Prophecy (dal 18 novembre su Sky e in streaming su NOW, ndt), ma non necessariamente a causa del materiale di partenza o dei suoi predecessori cinematografici. Il film riproduce la scala e il senso di grandezza del Dune-iverse di Villeneuve, così come l’aspetto da copertina di rivista heavy metal e il design futurista-brutalista dei film; un personaggio descrive un pianeta imperiale dicendo: “Se vi piacciono i paesaggi brulli e il minimalismo, sarete molto felici”, ed è una battuta che funge da dichiarazione di intenti e di poetica per la serie stessa. Ma l’obiettivo di Prophecy non è tanto la continuazione di una saga cinematografica, quanto piuttosto l’imitazione di un successo precedente. Questo non vuole essere un Dune da piccolo schermo: vuole essere un Game of Thrones fantascientifico.
E se l’idea è quella di raggiungere questo obiettivo ambizioso semplicemente mettendo in scena persone che tramano nei palazzi, scambi con guerrieri da strapazzo e le inevitabili scene di sesso su nuovi set, con la speranza che i sandworm siano un sostituto abbastanza decente dei draghi… be’, auguriamo a tutti buona fortuna. Dune: Prophecy può fare affidamento su un marchio riconoscibile, un grande cast e una vastissima fandom. C’è ancora abbastanza Dune nella serie per tenerci occupati in attesa di un’eventuale Parte tre. Ma qualsiasi elemento ereditato e/o originale presente è eclissato da un senso opprimente di déjà-vu da Prestige Tv. Prophecy cerca così tanto di soddisfare il mandato di GoT, ma nello spazio, che spesso dimentica di adempiere ai suoi doveri narrativi di IP. Pensate che gli abitanti del deserto di Arrakis abbiano sete? Be’, non hanno nulla da invidiare a questa serie.
Se non altro, potrete sbirciare dentro una delle sette più enigmatiche ed esotiche del franchise. Dopo un preambolo simile a quello di Terminator che stabilisce la “Grande Guerra delle Macchine” e la vittoria finale dell’umanità sulla tecnologia A.I. (e la sua messa al bando), facciamo la conoscenza della futura Gesserit in capo. Da giovane, Valya Harkonnen (Jessica Barden) trova posto tra le iniziate di quella che allora era conosciuta come “la Sorellanza”. È ambiziosa, testarda e ha il fiato sul collo per il fatto che la sua famiglia è stata disonorata per colpa delle menzogne diffuse dalla Casa Atreides. Valya ha anche imparato l’arte della manipolazione vocale, che un giorno sarà il cavallo di battaglia delle Bene Gesserit, ma che ora la porta all’esilio. Anni dopo tornerà, e la Valya più adulta (Emily Watson) prenderà il posto che le spetta come Madre Superiora dell’ordine. Anche sua sorella, Tula Harkonnen (Olivia Williams), si unisce al gruppo e aiuta ad addestrare le sorelle a diventare “portatrici di verità”, cioè rivelatrici di bugie per i ricchi e i potenti.
Queste streghe controllano i fatti e sono utili per qualcuno come l’imperatore Javicco Corrino (Mark Strong), sovrano supremo della galassia. Lui e sua moglie, l’imperatrice Natalya (Jodhi May) – che emana fin da subito vibrazioni da Lady Macbeth – stavano per permettere alla loro figlia, la principessa Ynez (Sarah-Sofie Boussnina), di unirsi alla Sorellanza. Ma Corrino deve proteggere i suoi interessi su Arrakis, poiché i Fremen hanno attaccato i suoi uomini. Ciò significa che è necessario un matrimonio tra la sua famiglia e una delle case reali, in particolare una con una flotta di navi. Ynez deve ora diventare la sposa di un principe nell’ambito. Non importa che lo sposo abbia soltanto nove anni: significa solo che lei avrà più tempo per sé mentre lui gioca con i giocattoli. Okay…
Questa unione è motivo di costernazione per molte parti interessate. Valya sperava che l’ingresso di Ynez nell’ordine sacro avrebbe dato alla Sorellanza una certa influenza sull’entourage reale. Tra le reverende madri c’è anche la preoccupazione che le nozze possano in qualche modo provocare un cataclisma noto come “il Riconoscimento”. Nel frattempo, il maestro di spada di Ynez, Keiran Atreides (Chris Mason), è consapevole che la loro attrazione reciproca potrebbe essere proibita, soprattutto ora che lei è promessa sposa, ma questo non gli impedisce di farle gli occhi dolci. Il fratello arrapato di Ynez, il principe Constantine (Josh Heuston), è dispiaciuto per la sorella ma è più preoccupato di godersi la vita notturna fuori dalla casa reale. Frank Herbert aveva da tempo fatto il collegamento tra spezie e allucinogeni. A quanto pare, nell’universo di Dune circolano anche una buona dose di cocaina e altre droghe da discoteca.
Poi un misterioso straniero si presenta a palazzo. Si chiama Desmond Hart (lo interpreta il Travis Fimmel di Vikings) e assomiglia al Duncan Idaho di Jason Momoa dopo una sbronza di un mese. Ex soldato di stanza su Arrakis, sostiene di aver avuto un incontro a tu per tu con un sandworm. L’esperienza lo ha lasciato… cambiato. Dopo diverse morti inspiegabili, Hart si offre di consigliare personalmente l’imperatore e contribuisce a rendere Valya persona non grata a corte. La Madre Superiora sente puzza di bruciato. Ora deve solo organizzare un contrattacco furtivo e risolvere questi crimini prima che questa vaga profezia dell’Armageddon distrugga l’universo. Eccetera eccetera…
C’è dell’altro, naturalmente, tra cui una ribellione in atto, alcuni legami tra conventi, una sottotrama che coinvolge un rituale dell’Acqua della Vita andato male, alcuni avanzi di “macchine intelligenti” e i soliti sotterfugi di fantascienza/fantasy. La showrunner Alison Shapker è una veterana che si è fatta le ossa con Alias, Fringe e Westworld, e si può notare come abbia attinto da ognuno di questi titoli in termini di storyline multiple. Tuttavia, a parte la tavolozza di colori caratteristici della produzione art déco che incontra l’Antico Egitto, questo potrebbe essere qualsiasi franchise di genere che avete visto negli ultimi quarant’anni. C’è persino una scena di flashback ambientata in una foresta che potrebbe essere stata presa dal Signore degli Anelli, La Ruota del Tempo o Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin; ci si chiede se gli Estranei o gli Ewok possano fare improvvisamente la loro comparsa. L’unica differenza sostanziale è che, invece di mettere il destino della galassia sulle spalle esili di un giovane Messia, Dune: Prophecy divide la responsabilità in un gruppo di donne potenti che controllano i propri destini. Considerato il periodo di messa in onda della serie, questo aspetto da solo la renderà un tonico necessario per molti che hanno bisogno di evasione.
Ma questo fattore, insieme alla gustosissima performance di Emily Watson nei panni di una Madre Superiora odiata da tutti, non è abbastanza per scrollarsi di dosso la sensazione di essere già stati qui, e in mani migliori. Il libro di Herbert è diventato un testo fondamentale per un infinto numero di epopee ultraterrene. Quando Alejandro Jodorowsky tentò di trasformarlo in un film a metà degli anni ’70, le sue idee surreali e stravaganti per rappresentare l’architettura cosmica e i complicati eroi e cattivi di Dune condizionarono tutti, da Guerre stellari ad Alien. Non per essere troppo autoriale, ma ciò che ha reso rivoluzionaria la rivisitazione di Villeneuve non è solo la sua passione per il materiale originale, ma anche il modo in cui ha portato sul grande schermo la sua visione, con un altissimo tasso di spezie.
Saggiamente, Dune: Prophecy fa di quella visione il suo punto di partenza: sa riconoscere un buon universo cinematografico quando ne vede uno. Ma il fatto che usi questi elementi per raccontare la solita storia generica di case in guerra e fanatici religiosi significa che, dopo l’abbrivio iniziale, il film crolla. Anche i fan sfegatati di Dune avranno la sensazione che la serie, almeno nei quattro episodi su sei forniti alla stampa, continui a rimanere invischiata nella sua stessa mitologia. E il fatto che sembri inseguire le influenze e le convenzioni della narrazione seriale piuttosto che stabilire nuovi standard per il genere è una delusione enorme. La paura può uccidere la creatività. Troppa cautela, tuttavia, è ciò che fa a pezzi il cuore dei franchise.