Con Mercoledì sta succedendo una cosa strana. Annunciata, attesa e celebrata sulla fiducia come “la prima serie di Tim Burton”, e cioè l’esordio tv di un regista di cultissimo (con tutto quel che ne consegue, ci arriveremo), nel giro di qualche giorno dall’uscita sta diventando “la serie di Jenna Ortega”, e cioè della giovanissima interprete che ha ereditato il personaggio da Christina Ricci. Fateci caso, è tutto un Jenna Ortega qua, Jenna Ortega là: ovunque ci sono articoli che parlano dell’attrice ventenne di origine latina nata nella valle del Coachella (tutto vero). Jenna Ortega da piccola sezionava animali morti. Jenna Ortega non ha mai battuto le palpebre nella serie. Jenna Ortega non ha mai chiesto consigli a Christina Ricci. Jenna Ortega ha imparato a suonare il violoncello per la parte. Jenna Ortega ha coreografato da sola il balletto iconico che sta infiammando TikTok.
Si è parlato meno, molto meno, di Tim Burton. E se n’è parlato meno in un momento di grandi sconvolgimenti per il suo percorso: l’addio (che pare definitivo) a Disney, dopo un tira e molla durato 40 anni e l’accusa da parte dei cultori dell’autore che la sua mano fosse troppo edulcorata dalle direttive aziendali. Tim stesso non ci è andato giù leggero: «La mia storia è iniziata lì. Mi hanno ingaggiato e silurato diverse volte nel corso della mia carriera. Ripensando a Dumbo – ed è per questo che credo che i miei giorni alla Disney siano finiti – mi sono reso conto che Dumbo ero io, stavo lavorando in un orribile grande circo e dovevo scappare». L’approdo a Netflix dunque è stato accolto come una sorta di agognatissima liberazione di Burton da Topolino & Friends, una situazione che sembrava ormai stare stretta alla poetica e all’estetica di Tim. Perché la casa del Tudum è considerata un po’ il luogo dove gli autori possono essere autori all’ennesima potenza. Liberi sì, se escludiamo “la voce del padrone” con cui tutti, TUTTI, devono fare i conti: il Signor Algoritmo (cit. Corinna). E cosa vuole LA piattaforma? La storia teen, Boris 4 docet ancora una volta. Aggiungiamo un altro elemento: di questi tempi per il pubblico cosa pare esserci di più narrativamente interessante di un adolescente arrabbiato e outcast? Mercoledì insomma rispondeva a tutti i requisiti. E in più la serie sulla primogenita della famiglia Addams, con la sua essenza gotica e lo spirito da dramedy, era il materiale dei sogni di Tim, i creatori della serie Alfred Gough e Miles Millar lo sapevano bene. E sapevano bene pure che la scelta e il lavoro con la protagonista avrebbero “fatto” la serie. Così è stato.
I minuti di apertura starring Mercoledì studentessa di una tipica scuola americana, impegnata a vendicarsi à la Addams della squadra di nuoto gettando nella piscina un branco di piranha, sono un piccolo capolavoro burtoniano, menzione speciale per quel brividino di soddisfazione della ragazzina alla vista del sangue nell’acqua, perfettamente centrato da Ortega. Poi andando avanti la trama elimina l’effetto da outsider che Barry Sonnenfeld aveva enfatizzato nel suo film del 1991, mettendo Wednesday in un ambiente che in teoria dovrebbe adattarsi perfettamente a lei. E cioè la Nevermore Academy, un istituto dichiaratamente per diversi ed emarginati (again, tutte le caselline dell’inclusione qui le abbiamo spuntate facile facile). Ogni riferimento a Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali non è puramente casuale.
Date degli outsider a Tim e lui solleverà il mondo. E in Mercoledì è tutto giusto, tutto talmente burtoniano da essere burtonianamente scontato (pardon): non solo l’outcast, ma l’outcast che resta outcast pure nella scuola per outcast (ri-pardon). Sì, perché la propensione di Miss Addams a sbeffeggiare l’autorità e a cercare il morboso è sgradita anche in questa scuola per incompresi, dove convivono adolescenti lupi mannari, vampiri e sirene, come fossero “normalissimi” liceali in un incrocio tra Harry Potter, Le terrificanti avventure di Sabrina e Gossip Girl. Nonostante l’autore in campo, il già visto è dietro l’angolo, e gli stereotipi teen pure, con il nucleo della famiglia Addams che qui non viene tradotto fedelmente, ma piuttosto reinventato per un pubblico Netflix che va dai giovanissimi ai nostalgici. Con un punto fermissimo: lo sguardo perennemente not impressed di Ortega.
L’operazione Tim Burton/Addams alla fine è riuscita anche e soprattutto grazie a lei, Jenna, una Mercoledì che se la gioca tranquillamente alla pari con quella già iconica incarnata da Christina Ricci (presente nella serie in una nuova veste). O meglio, una Wednesday aggiornata alla Generazione Z, che ne sottolinea alcune caratteristiche e spesso ne inventa di inedite, come l’aspetto di adolescente imbarazzata dalla sua famiglia o in continuo conflitto con la madre Morticia, come qualsiasi altra ragazzina. Ortega ha il carisma di una star del cinema ma riesce a risultare totalmente impassibile, grazie anche alla direzione di Burton, of course: pare che dopo aver provato una ripresa in cui Jenna non ha mai battuto le palpebre, Tim fosse così entusiasta del risultato da chiederle di continuare a non farlo. E il balletto in cui Ortega ha dichiarato di essersi ispirata a Siouxsie Sioux, Rich Man’s Frug di Bob Fosse (da Sweet Charity), Lisa Loring, Lene Lovich, Denis Lavant e filmati d’archivio di goth che ballano nei club negli anni ’80 ha fatto il resto. «Jenna è un po’ come quelle attrici dei film muti, è in grado di esprimere tutto ciò che serve anche senza parole. E vedere la sua interiorità, le sottigliezze del personaggio, è stato davvero incredibile. Non potrei immaginare un’altra Mercoledì». Nemmeno noi, Tim.