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‘Full Monty – La serie’: grazie, Boris Johnson. And fu*k you

La serie revival della commedia cult inglese del 1997 è un pamphlet politico durissimo contro i governi che si sono succeduti negli ultimi 25 anni a Downing Street. E non parla solo al Regno Unito

Foto: Disney+

Era il titolo italiano di una delle molte commedie proletarie che fecero grande il cinema britannico negli anni Novanta, sull’onda della British Renaissance del decennio precedente. Grazie, signora Thatcher è la storia di un gruppo di minatori che con l’aiuto della forza della musica portano avanti la loro lotta nei confronti della Iron Lady. Ambientato nel 1986, subito dopo lo sciopero nazionale della categorie durato quasi due anni e conseguente ai tagli, alle chiusure e ai licenziamenti nel settore da parte del governo conservatore, il film di Mark Herman è uno di quelli che maggiormente hanno caratterizzato un momento in cui in Inghilterra si faceva politica al cinema cercando di mantenere il sorriso, per quanto amaro. Era il 1996 e l’anno dopo arrivò il momento dei disoccupati di Sheffield che per sbarcare il lunario decidono di trasformarsi in attempati spogliarellisti senza neanche gli slip, chiara metafora di come i Tories avevano tolto anche le mutande alla classe operaia del Paese sotto la guida di John Major, successore di Maggie.

Sono passati 26 anni e Simon Beaufoy, sceneggiatore del film diretto da Peter Cattaneo e prodotto da Uberto Pasolini, nel frattempo ha vinto un Oscar per The Millionaire di Danny Boyle e ha adattato uno dei capitoli cinematografici di Hunger Games. Ma per quanto lontano tu possa andare, ci sono cose da cui non puoi fuggire. Come l’essere nato a Bradford, nel cuore dello Yorkshire (il bel Ali & Ava è ambientato nella stessa ridente cittadina), che non è solo il nome di un cane, ma anche quello della regione dell’Inghilterra da sempre più proletaria e dimenticata. Tredici anni ininterrotti di governo conservatore, con un inetto dietro l’altro andato a mettere le tende a Downing Street, e poi la Brexit, e la pandemia, hanno dato il colpo di grazia alla contea del Nord-Est. Era arrivato il momento di raccontare come stanno le cose.

Full Monty, disponibile dal 5 luglio su Disney+, non è la solita serie nostalgica prodotta per la necessità di infilare l’ennesimo contenuto su una piattaforma. Gli stripper che si incazzano guardando Jennifer Beals usare un saldatore in Flashdance sono invecchiati, segnati dalla vita, e si barcamenano in una quotidianità in cui devono affrontare tanti problemi, la maggior parte creati da un governo incapace. Beaufoy non tralascia niente. Parla del sistema scolastico pubblico al collasso a causa dei continui tagli operati dai vari ministri nel corso degli ultimi anni, e ci infila dentro anche la drammatica piaga del bullismo dilagante nelle classi di ogni grado nel Regno Unito. Racconta del disastro a cui sta andando incontro l’NHS, il servizio sanitario nazionale, svuotato di medici e infermieri letteralmente fuggiti dopo la Brexit, dato che la maggior parte erano europei che vivevano nel Regno Unito e che si sono visti di fatto sottrarre le condizioni per fare il loro lavoro con dignità dalla sera alla mattina. Il Covid gli ha dato il colpo di grazia e, come scrivono sui cartelli che orgogliosamente mostrano durante le proteste di queste ultime settimane, “con gli applausi non si pagano le bollette”. Non ci si fa neanche sfuggire l’occasione di mettere alla berlina i job center, i centri per l’impiego pubblici da sempre nemici giurati di Ken Loach (guardate, o riguardate, Io, Daniel Blake).

Gaz, Dave, Horse, Lomper e gli altri sono i testimoni del crollo di un impero, le cui conseguenze stanno travolgendo le generazioni presenti e future. Beaufoy non fa sconti, ne ha per tutti, fa urlare a Horse, disperato perché lo Stato gli ha erroneamente tolto i diritti che un anziano invalido deve avere, che “è peggio di quando c’era la Thatcher, e non pensavo fosse possibile”. È una serie politica, Full Monty, e non è valida solo per chi vive in Inghilterra e conosce la situazione che il Paese sta vivendo (io ci sto da nove anni e la conosco piuttosto bene). Al contrario, come tutte le storie che parlano di ingiustizie sociali e miserie umane, è un racconto universale in cui è facile ritrovarsi o provare empatia, perché il mondo sta prendendo una brutta piega, e su questo c’è poco da discutere.

Robert Carlyle (al centro) in una scena della serie. Foto: Disney+

Si ride anche, spesso per non piangere, ma soprattutto c’è una tenerezza compassionevole che aiuta a passare sopra molte ingenuità e passaggi a vuoto nel racconto. L’effetto non è quello desolante di T2 – Trainspotting, per fortuna, nonostante il tempo sia passato meglio per alcuni rispetto ad altri. Tom Wilkinson è una presenza di firma, a prendersi la scena sono Robert Carlyle e Mark Addy, supportati da Steve Huison, Paul Barber e Lesley Sharp, tutti già protagonisti del film originale, a cui si aggiungono nuovi personaggi le cui storie toccano altri aspetti della società britannica contemporanea. Il conservatore quarantenne Darren (Miles Jupp), che capisce che i rifugiati non rubano soldi e lavoro ai sudditi di Sua Maestà. La giovane Destiny (Talitha Wing: da tenere d’occhio, la ragazza), figlia di Gaz/Carlyle, gran talento musicale e nessuno che le dia una direzione nella vita. La barricadera Hettie (Sophie Stanton), insegnante di musica licenziata dalla scuola che mette su un coro di resistenza civile con i suoi ex alunni.

Tante piccole umanità, tasselli di una comunità in emergenza permanente e che non ha quasi più la forza di combattere, al contrario di una volta. I minatori musicisti, le pensionate da calendario, i giovani ballerini che rincorrono i loro sogni, la comunità lgbtq+ che sostiene gli scioperanti a oltranza, gli eroi proletari di Ken Loach: come disse una volta qualcuno, sono “ricordi, che si perdono come lacrime nella pioggia”. Era un replicante, ma molto più umano di un qualunque primo ministro conservatore.

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