Verso la fine della nuova miniserie The Residence (dal 20 marzo su Netflix), un personaggio si lamenta: “Alla gente piace un ottimo giallo! Pensa che sia divertente!”. Dopo un attimo, però, non può fare a meno di ammettere: “E in effetti è divertente”.
“Divertimento” è la parola d’ordine di questa thriller comedy, creata da Paul William Davies e prodotta da Shonda Rhimes, che incrocia il lavoro di Davies e Rhimes su Scandal con il DNA di molti classici, da Miss Marple fino alla trilogia di Benoit Blanc/Cena con delitto. E The Residence è fiera di tutte le sue influenze old school: gli episodi prendono il nome da famosi gialli cinematografici come Il terzo uomo e Delitto perfetto. La nostra intrepida investigatrice può giocare la carta “Ho un’altra domanda” del tenente Colombo. Un sospettato viene persino visto brandire un candeliere in un momento sospetto.
La detective protagonista è Cordelia Cupp (Uzo Aduba, che si unisce alla collega di Orange Is the New Black e star di Poker Face Natasha Lyonne per un’incursione nel genere mystery), una consulente della polizia perennemente vestita di tweed e ossessionata dagli uccelli che ha, come dice lei senza sembrare che si stia vantando, “una reputazione per aver risolto crimini irrisolvibili”. La residenza del titolo si trova al 1600 di Pennsylvania Ave. a Washington, D.C. Quando il cadavere del capo usciere della Casa Bianca A.B. Wynter (Giancarlo Esposito) viene ritrovato durante una cena di Stato con i leader del governo australiano, il questore di Washington (Isiah Whitlock Jr.) chiama Cupp, nonostante le forti obiezioni del consigliere presidenziale Harry Hollinger (Ken Marino), che non vuole che un’indagine per omicidio si avvicini al Presidente USA (Paul Fitzgerald).
È un ambiente ad alto rischio in cui i sospettati hanno parecchi moventi e molto potere, da Harry al capriccioso pasticcere Didier Gotthard (Bronson Pinchot) al fratello minore svitato del Presidente, Tripp (Jason Lee), all’ex luogotenente di Wynter Jasmine Haney (Susan Kelechi Watson). L’icona pop australiana Kylie Minogue interpreta sé stessa, mentre c’è una gag ricorrente su un altro famoso australiano presente ma in qualche modo sempre con le spalle rivolte alla macchina da presa. E il comico turned senatore turned comico Al Franken sembra… un senatore che, insieme a una rivale politica (Eliza Coupe), sta cercando di dare un senso a ciò che è accaduto durante quella lunga e complicata notte in un’udienza che si terrà mesi dopo.
E quella cornice è uno dei tanti modi in cui Davies e gli altri autori di The Residence giocano con il tempo. Vediamo Cupp ed Edwin Park (Randall Park) – un agente dell’FBI costretto con riluttanza a essere il Watson di Sherlock/Cupp – interrogare vari testimoni durante la notte, con l’indagine che si presenta allo spettatore in un ordine cronologico randomico. Ma se è facile perdere di vista esattamente quando e perché sta accadendo tutto questo, alla fine non è poi così importante. L’energia delle performance – dalla schiettezza impassibile di Aduba al lavoro più bizzarro di comici come Marino e Jane Curtin (nel ruolo della suocera scontrosa del Presidente) – e lo stile rat-a-tat di tutte le conversazioni prevalgono. C’è anche abbastanza emozione di tanto in tanto – gran parte della quale grazie a Esposito (*) – che appare spesso in flashback, da non far sembrare tutto questo solo un gioco.
(*) Esposito ha sostituito in corsa il defunto Andre Braugher, al quale è dedicata la serie. È la seconda volta nella sua carriera che Esposito succede a Braugher, anche se la prima, quando si è unito al cast di Homicide per l’ultima stagione dopo l’addio del collega, era in circostanze decisamente meno tristi.

Giancarlo Esposito e Bronson Pinchot in ‘The Residence’. Foto: Jessica Brooks/Netflix
E se il mistero a volte diventa difficile da seguire, la risoluzione nel finale soddisfa davvero, sia in termini di chi è stato sia perché la colpa risuona con i temi della serie sulle ragioni – alcune nobili, altre narcisistiche – per cui le persone potrebbero scegliere di lavorare alla Casa Bianca. Anche se ci sono battute attualissime sull’abolizione del Ministero dell’Istruzione e sull’acquisizione della Groenlandia, per molti versi The Residence sembra una fantasia rispetto a quello che sta realmente accadendo al 1600 Penn in questi giorni. E non parliamo soltanto del fatto il Presidente immaginario sia sposato con un altro uomo (Barrett Foa), ma che ci vengano mostrati esempi di alcune persone che lavorano e/o vivono all’indirizzo più potente della Terra e si preoccupano di qualcosa di più grande di loro. Se invece parliamo del murder mystery in sé – e di questa delizia in particolare – è divertente. O, almeno, in questo momento storico è molto gradito.