Ma allora com’è ‘Avetrana – Qui non è Hollywood’, la serie sul delitto Sarah Scazzi bloccata dal tribunale di Taranto? | Rolling Stone Italia
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Ma allora com’è ‘Avetrana – Qui non è Hollywood’, la serie sul delitto Sarah Scazzi bloccata dal tribunale di Taranto?

La serie di Pippo Mezzapesa che vorrebbe dirci di più sul lato umano di Sarah Scazzi e della famiglia Misseri sarebbe dovuta uscire oggi su Disney+, ma un ricorso del Comune della cittadina pugliese ha fermato tutto. Un consiglio per quando sarà disponibile: preparate gli occhi del cuore

Avetrana Questa non è Hollywood

Federica Pala e Giulia Perulli nei panni di Sarah Scazzi (a sinistra) e Sabrina Misseri (a destra) nella serie 'Avetrana - Questa non è Hollywood'

Foto: Lorenzo Pesce

La nuova serie sul delitto di Avetrana prodotta da Groenlandia non arriverà oggi su Disney+. Come vi raccontavamo, il Comune del paese in provincia di Taranto e il suo sindaco Antonio Iazzi, nei giorni scorsi, avevano disposto un ricorso cautelare d’emergenza attraverso i loro rappresentanti legali per “bloccarla”, e nella giornata di mercoledì ce l’hanno fatta con l’appoggio del tribunale di Taranto. La motivazione: la richiesta di modifica della denominazione del prodotto (Avetrana – Qui non è Hollywood) e di visionare gli episodi in anteprima per accertarsi che la rappresentazione dei fatti non vada a detrimento della comunità, già tacciata, così si legge nella dichiarazioni ufficiali, di essere «retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati».

Anche la famiglia Misseri, per così dire, c’è rimasta male. «Non siamo mai stati direttamente contattati dalla produzione di Groenlandia o di Disney in merito alla serie. Nessuno ci ha mai dato informazioni specifiche a riguardo, e stiamo valutando le azioni legali da intraprendere nei confronti della produzione: aspettiamo la trasmissione per vagliare il racconto fatto. Di certo si tratta dell’ennesimo capitolo che aggiunge dolore al dolore», così si legge in una dichiarazione ufficiale rilasciata nei giorni scorsi.

Che sia l’avvicinarsi del quindicesimo anno da quel 2010 che vide l’uccisione della quindicenne Sarah Scazzi, o proprio l’uscita della serie che ha propiziato il ritorno della vicenda sulle bocche pubbliche, nell’ultimo mese i protagonisti del caso sono di nuovo sbucati alla ribalta. Quelli che possono, almeno. Michele Misseri, lo zio che si professò colpevole di aver non solo ucciso ma anche violentato la nipote, è uscito dal carcere e tornato ad Avetrana. Valentina Misseri, sua figlia e sorella di Sabrina (condannata insieme alla madre e moglie di Michele, Cosima Serrano, all’ergastolo), è sempre stata esterna alle vicende, non essendo in Puglia al momento dell’accaduto.

Avetrana Questa non è Hollywood

Vanessa Scalera e Federica Pala. Foto: Lorenzo Pesce

Le versioni dei due coincidono, e vanno contro la verità processuale: «Sono io l’assassino di Sarah. Non mi credono perché mi hanno fatto cambiare le versioni. Non le ho cambiate io, me le hanno fatte cambiare», così Misseri in un servizio delle Iene. E poi: «Volevo violentare Sarah ma non sono riuscito. Avevo allungato le mani qui nel garage, volevo continuare ma poi non l’ho più fatto. Sotto il fico l’ho spogliata ma poi non l’ho fatto più e l’ho rivestita. Erano due anni che non avevo rapporti sessuali con mia moglie, io dormivo nella sdraio, lei nel letto matrimoniale». A Porta a Porta il sessantanovenne rincara la dose: «Non è giusto, sono in carcere due donne innocenti mentre io sono libero».

La figlia invece, a Far West su Rai 3: «Mio padre ha ucciso Sarah, strasicuro. Secondo me lui ci ha provato con Sarah. Giustamente lei si è rifiutata. E forse lì mio padre ha temuto che Sarah l’avrebbe raccontata a noi anche per salvarsi o per scappare. Quindi secondo me lui lì poi l’ha voluta zittire, l’ha voluta zittire per sempre. Buona parte dell’opinione pubblica pensa che io faccia parte comunque di una famiglia di assassini, quindi vengo chiamata assassina». Continua: «La prima versione ha un senso logico, cioè lineare. Si capisce cioè una storia, per quanto brutta, banale, anche una banalità che non è stata accettata. Tutto il resto per me è la sceneggiatura di un film».

Ci piglia vicino al reale, Valentina Misseri, almeno per quanto riguarda Avetrana – Qui non è Hollywood. Per scriverla, Antonella W. Gaeta, Pippo Mezzapesa (che ne è regista) e Davide Serino (in collaborazione per il primo episodio con Flavia Piccinni e Carmine Guzzanti) si sono attenuti agli atti del processo e hanno attinto dal libro Sarah – La ragazza di Avetrana di Guzzanti e Piccinni, edito da Fandango. L’intento però è drammaturgico, non documentario. Quindi si deve mestierare, immaginare. Se i fatti non sono controvertibili, le emozioni sono l’iceberg sommerso. Lì è grigio, da lavorare.

Avetrana Questa non è Hollywood

Giulia Perulli nei panni di Sabrina Misseri. Foto: Lorenzo Pesce

La serie di Mezzapesa sceglie di farlo in quattro episodi da sessanta minuti, ognuno dedicato a un punto di vista diverso sulla vicenda: Sarah, Sabrina, Michele e Cosima. Scelte di regia e composizione diverse, una sola sensazione: che il vero protagonista della vicenda sia il destino, pesante, greco, inamovibile. O forse un senso di tragedia, che aleggia sulle riprese che indugiano, che ammiccano agli stilemi della produzione di genere, thriller, horror. D’altronde tutto è già scritto, sappiamo come va a finire. Ci mancano i tasselli di mezzo per avere il perfetto whodunit, partita di Cluedo sospesa a metà: chi? cosa? dove? quando? perché?

Avetrana – Questa non è Hollywood non mostrerà mai il fattaccio, ma la macchia d’olio che ne deriva. Nel primo episodio è la rigidità del paese, che nei suoi schemi dà contro a un’adolescente che è diversa fisicamente (gracile, biondina, magrolina), che si fa i capelli con un ciuffo punk-rock e vorrebbe assomigliare ad Avril Lavigne. Nel secondo, la spettacolarizzazione dei media, che obbliga Sabrina a confrontarsi con il suo corpo “eccessivo” secondo gli standard di bellezza che le permetterebbero, crede, di conquistare Ivano Russo (Giancarlo Commare), il bello “come un Dio” del paese.

Il terzo vede zio Michele confrontarsi con la giustizia divina, l’emergere di quella stremata affermazione di colpevolezza che verrà ribaltata in tribunale. E Cosima a chiudere come una sorta di principio della legge (personale)  incarnato, lei che tiene insieme la famiglia Misseri ma che, crediamo, aizza e direziona le gesta delittuose degli altri.

Avetrana Questa non è Hollywood

Paolo De Vita nel ruolo di Michele Misseri. Foto: Lorenzo Pesce

L’impianto di ogni episodio vuole che ogni posizione sia confutata, ogni personaggio umanizzato e reso deforme dalla lente implacabile della morale. Quindi dovremmo identificarci con Sarah anche quando la vediamo desiderare l’uomo Ivano, di età difforme alla sua, cercando come una Lolita di sottrarlo dalla grinfie della cugina. Dovremmo indignarci riscontrando la sofferenza di Sabrina, il suo conflitto con un’immagine di sé che la restringe, che non le appartiene. E così via per tutti. Dovremmo.

Il risultato invece si giostra sul filo (l)abile tra true crime e soap opera nazionalpopolare, senza decidersi né per l’uno né per l’altra. Nel gioco dell’equilibrismo, rimaniamo indecisi anche noi; quello che rimane è farci cullare dalla narrazione, solo che il giudizio non viene sospeso. E nel tentativo di raggiungere l’equanimità, si finisce per infastidirsi di tutti i personaggi. Mica per astio però, no.

Perché il delitto di Avetrana non è A sangue freddo di Truman Capote, ma nemmeno la Spoon River di Edgar Lee Masters: in un certo senso, e forse per vie involontarie, Avetrana – Qui non è Hollywood mette in luce il nodo focale di quella che è stata una delle vicende più chiacchierate e mediatizzate dei primi Duemila italiani. Ovvero che una storia di provincia, e mala gestione degli affetti, può diventare un delitto in cold blood. E saperlo non ci porta a puntare il dito contro il paese tutto, come vorrebbe l’amministrazione comunale che fa partire il diss contro Disney+. Piuttosto fa dispiacere per lo stereotipo: perché, se di spettacolarizzazione del dolore si parla, è anche per quelle logiche che stanno tutte qui.

La cugina che anche Sarah definirà “cozza”, il cibo sovrabbondante nel Sud Italia, il belloccio che si invaghisce (forse?) della ragazzina, la mamma-matrona che tutto osserva come una Madonna velata; lo zio un po’ scemo, la madre iper-religiosa abbandonata dal marito, la vittima che, putacaso, dice che non sarebbe male sparire, ma giusto per un po’. Sarebbe il suo desiderio più grande. E che nello stesso tempo in alcuni bigliettini dei desideri consegnati a messa scrive che ciò che desidera di più è trovare l’amore.

C’è una differenza sottile, ma delimitata, tra il presentare le passioni umane (in senso latino e acritico sulla qualità, pateo), sub speciae aeternitatis o immerse nel fanghiglio del quotidiano. La seconda può essere la strada più interessante, però impervia. Quando un appiglio viene mancato, l’unico termine che viene in mente è smarmellato. Allora, se volete ripercorrere il delitto Sarah Scazzi con gli stessi occhi del cuore con cui, accorati, avevate seguito le prime indagini, Avetrana – Qui non è Hollywood potrebbe soddisfare la vostra voglia di intrattenimento, quando sarà disponibile per lo streaming. Se invece siete fan di Indagini di Stefano Nazzi, o se preferite le tragedie shakespeariane alla commedia all’italiana, ecco, non sarò io a dirvi di non vedervela. Ma di giudicare, come sempre, secondo i vostri occhi.