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Il disastro di Westworld 2, ovvero di come rovinare una serie

È uscita l’ottava puntata della serie (ex) culto: un mix tra Pocahontas, Gli occhi del cuore, la tribù degli Arrapaho e slow motion alla rinfusa. Ma ci sono altri due episodi per recuperare.

Lunedì sera, inizia la settimana, le prime tensioni, un po’ di relax. Per esempio il nostro Ministro degli Interni, Matteo Salvini, dopo aver impedito a una nave con 600 migranti di sbarcare in Italia e aver iniziato un braccio di ferro diplomatico con Malta e l’Europa, si gode il meritato riposo con la vittoria del cantante Irama nella finale di Amici.

Molti invece si rilassano con le serie tv: ieri purtroppo c’è stato anche il #netflixdown (fosse successo una domenica di pioggia sarebbe scoppiata la guerra civile hipster con i toast all’avocado lanciati per strade a mo’ di molotov), ma da otto settimane il lunedì è il giorno dell’uscita di Westworld.

Westworld è la serie tv HBO che nella prima stagione è stata un perfetto esempio di come coniugare una trama complessa a una resa spettacolare, un serial capace di emozionare milioni di spettatori nel mondo affrontando temi come l’identità dell’anima, la memoria, la differenza tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. La trama, per chi non la conoscesse, è nata da un’idea di Micheal Crichton (due cose fra le decine che ha fatto: Jurassic Park e E.R.) e ruota attorno a un parco di divertimenti a tema western pieno di robot, robot così simili agli umani che i visitatori possono picchiare, uccidere, violentare solleticando i più bassi istinti ma senza sensi di colpa perché, ehi: sono robot! In pratica, come andare a Gardaland e aver la possibilità di non soffocare l’istinto primario di dare un calcio al pupazzo Prezzemolo.
O lui.

Nella serie a un certo punto i robot però prendono coscienza (è più complicato di così, ma per semplificare) e non reagiscono con distacco all’idea di essere stati stuprati, uccisi e torturati dai simpatici umani e così scoppia la rivolta con morti ammazzamenti e tante sparatorie in slow motion. Filosofia, azione, scienza, limiti morali: i primi dieci episodi della serie hanno saputo muoversi su questo delicato equilibrio tra il pensare e l’esplodere con un risultato eccellente. Nella prima stagione, poi c’è stata la seconda.

Nei primi otto episodi della seconda stagione questo delicato mix è stato sostituito da una noia infinita di gente che cammina o cavalca (tanto), piani temporali sfasati senza alcun senso drammaturgico, discorsi filosofici a getto continuo come se l’anima dei robot avesse preso coscienza e purtroppo quella coscienza fosse quella di Diego Fusaro e Mauro Corona (capita). L’ottavo episodio segna però uno spartiacque, un punto di non ritorno. Come a certi amici un po’ in crisi gli si perdona tanto, così noi fan di Westworld ci siamo stoicamente sobbarcati per sette episodi la tipa che comanda i robot con la mente, il robot che si crede umano ma poi è un robot che però è umano e piange, vecchi che sbavano, la tipa vestita da Amish che uccide un po’ a caso e persino i samurai e quelli vestiti come le tigri di Sandokan. Ogni lunedì, da bravi fan, siamo rimasti fissi lì davanti ad ascoltare un concetto che Blck Mirror affronta in quaranta minuti sbrodolato in sette ore e a fingere di divertirsi guardando la versione noiosa di Lo chiamavano Trinità.
Ci siamo bevuti tutto.
Poi è arrivato l’episodio otto.

Vi ricordate di LOST? Se vi ricordate quella serie, vi ricorderete il famigerato episodio con Nikki e Paulo, ovvero i due bellocci brasiliani che spuntano dal nulla, muoiono in una puntata e sono i protagonisti dei più brutti minuti in otto stagioni di LOST.

Ecco, ieri su Westworld sono arrivati i corrispettivi di Nikki e Paulo, gli indiani. Quest’ultima puntata racconta la presa di coscienza del capo indiano della Ghost Nation che realizza di essere un robot e del suo tentativo disperato di risvegliare anche il suo eterno amore, come a dimostrare che persino gli uomini-robot non soriescono a lasciar stare nemmeno le donne-robot. Per cinquantotto minuti siamo così costretti ad ascoltare il re della tribù degli Arrapaho (magari…) che spiega in una lingua tutta sua a una povera bambina il perché e il per come dell’universo mondo in una puntata che mostra la stessa tensione di Pocahontas e l’intento pedagogico dell’Albero Azzurro.

“Saltare lo squalo” è un’espressione tecnica per indicare quando una serie passa il punto di non ritorno e da quel momento ogni episodio sarà sempre peggio: è nata quando senza alcuna motivazione Fonzie in Happy Days salta con lo sci d’acqua uno squalo, e da lì Happy Days è solo peggiorata. Ecco, nell’ottava puntata un indiano robot della tribù cyborg degli Arrapaho non ha saltato lo squalo, ma l’intero parco acquatico Oceano Mare di Riccione facendo “ciao ciao” a ogni forma di logica e senso narrativo.

Ci sono ancora due episodi per rimediare: un po’ ci crediamo ancora, amici di Westworld.
Ma temo proprio che l’anno prossimo faccio come Salvini e il lunedì sera guardo Amici.

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