“Accettare la morte non vuol dire arrendersi. I fiori sono tali solo perché cadono”.
Così parlò Toda Mariko nel penultimo episodio di Shōgun, l’epico adattamento targato FX (in Italia disponibile su Disney+, ndt) del romanzo di James Clavell sulla guerra civile nel Giappone feudale. Mariko dice questo perché (attenzione: spoiler) sa di essere il fiore che sta per cadere, non solo accettando la sua imminente fine, ma accogliendola.
Ma le persone che hanno realizzato Shōgun non sembrano altrettanto disposte ad accettare la “morte” della serie. Sebbene i 10 episodi coprissero l’intero libro di Clavell, a maggio le parti coinvolte hanno rilasciato una dichiarazione in cui si affermava che “FX, Hulu e l’Estate of James Clavell stanno lavorando per estendere la saga con due ulteriori stagioni della serie”. La frase suggerisce che queste due stagioni non sono sicure: i produttori Justin Marks e Rachel Kondo stanno mettendo in piedi una writers’ room quest’estate per capire come, o forse se, continuare una storia che sembrerebbe finita.
L’annuncio è uno degli sviluppi meno sorprendenti del mondo dello spettacolo a memoria d’uomo, e lo salutiamo con un misto di cauto ottimismo e leggero timore. Shōgun è in testa alla classifica delle migliori serie del 2024 e FX afferma che è “il titolo più visto di sempre in base alle ore globali trasmesse in streaming”. Nessuno vuole dire addio a un successo, se può evitarlo (*), anche se non c’è più una storia da raccontare. Big Little Lies ha adattato l’intera trama del romanzo che l’ha ispirata, ottenendo grandi ascolti, consensi e premi, nel corso della prima stagione, ed è tornata solo perché sembrava sciocco non provarci. Ma anche con l’aggiunta di Meryl Streep, la seconda stagione ha faticato a giustificare la sua esistenza. (Al momento, si parla ancora di una terza stagione, perché chi può dire di no alle forze combinate di Nicole Kidman, Reese Witherspoon e Laura Dern?)
(*) In questo caso, ha contribuito anche il fatto che il campo delle serie drammatiche agli Emmy era aperto come non succedeva da decenni, mentre le categorie dedicate alle miniserie erano piuttosto affollate. Mentre annunciava possibili stagioni future, FX ha ricevuto ben 25 nomination ai premi, che verranno assegnati a settembre.
La storia della televisione è purtroppo costellata di serie che avrebbero potuto essere immortali se fossero finite dopo i primi anni di vita, ma che invece sono rimaste in circolazione ben oltre il punto in cui tutti avevano mantenuto il loro interesse. In una realtà alternativa, Homeland finisce dopo una sola stagione, con Damian Lewis che si fa esplodere in un attacco terroristico finendo dritto nella hall of fame; invece, è stata così amata che ha continuato a galoppare per altre sette stagioni – finendo, dopo un lungo periodo di siccità creativa, per reinventarsi come un 24 un po’ più di classe.
A volte, una continuazione apparentemente poco saggia si rivela invece brillante. Anche The Leftovers – Svaniti nel nulla ha concluso la trama del libro di partenza alla fine della prima stagione; le due stagioni successive, che hanno raccontato storie nuove e coraggioso ambientate nello stesso dolorosissimo mondo del romanzo, le hanno permesso di essere inserita nella breve lista dei migliori drammi televisivi di tutti i tempi. La prima stagione del teen drama Friday Night Lights adattava in modo molto approssimativo il libro di H.G. Bissinger, per poi proseguire con una delle peggiori seconde stagioni che si siano mai potute vedere, con tanto di assurda sottotrama in cui due dei ragazzi protagonisti coprivano un omicidio. Tuttavia, la serie si è ripresa grazie ad altre stagioni, che sono state all’altezza della prima. Phoebe Waller-Bridge ha utilizzato la maggior parte del materiale del suo spettacolo teatrale nella prima stagione di Fleabag, ma alla fine è riuscita a scrivere una seconda stagione composta da episodi ancora più iconici, il che costituisce un mezzo miracolo.
La televisione, per sua stessa natura, tende a sfidare la moderazione: se il pubblico è ben disposto e c’è da guadagnare, alle serie non viene messa la parola “fine”. Alcune di loro traggono vantaggio da questo modello, in particolare quelle corali e/o antologiche, ma la graduale ma ineluttabile riduzione delle stagioni e delle serie è costata alla televisione molto di ciò che la rende speciale.
Ma con altre serie, in particolare quelle intensamente “serializzate” e/o quelle basate su materiale non troppo ampio, più episodi si fanno, più è difficile mantenere la qualità di partenza. Ne seguono spesso piccole delusioni, come nel caso di Russian Doll, che ha fatto seguire alla sua incredibile prima stagione una seconda molto più disordinata ma comunque divertente. Oppure può portare a disastri davvero imbarazzanti, come tutto ciò che ha seguito il primo anno di Heroes.
Game of Thrones, una delle poche serie mai prodotte su scala più grande di Shōgun, ha avuto problemi verso la fine, quando sono finiti i romanzi George R.R. Martin a cui gli showrunner potevano appoggiarsi. Alcuni dei momenti migliori della serie nei suoi anni di gloria sono avvenuti quando i produttori sono andati un po’ fuori dagli schemi, come l’incontro tra Arya Stark e Tywin Lannister nel castello in rovina di Harrenhal, o la presenza di Jon Snow all’attacco zombie degli Estranei a Hardhome. Ma queste scene memorabili sono state l’eccezione piuttosto che la regola.
Poche cose sono più profondamente appaganti di un’opera d’arte che sa esattamente quando e come finire. Se Fleabag fosse continuata dopo l’uscita di scena dell’Hot Priest (il personaggio di Andrew Scott, ndt), sarebbe stata comunque divertente? È possibile. Ma se Fleabag stessa si rivolge al pubblico e lo saluta per sempre, allora diventa trascendente.
Marks e Kondo ci hanno già detto come Lord Yoshii Toranaga avrebbe vinto la guerra, e c’è il rischio enorme che mostrarcelo, piuttosto che adattare uno degli altri romanzi giapponesi di Clavell, privi il finale originale della sua forza. Ma se Mariko può far cadere il sovrano del Giappone con poco più di una poesia, forse altre stagioni di Shōgun possono sfidare la storia della televisione e dimostrarci che non tutti i fiori sono ancora caduti.