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Il secondo speciale di ‘Euphoria’ è la versione euphorica di ‘In Treatment’

La seconda parte del dittico-ponte verso la seconda stagione si concentra sull'enigma Jules, featuring Billie Eilish e Rosalía. E Hunter Schafer (che ha contribuito anche alla scrittura) regge tutto magnificamente sulle spalle

Foto: HBO/Sky

Sam Levinson è il re dei set pandemici, negli ultimi 12 mesi ha girato più lui di chiunque altro, nonostante tutto e alla faccia del “lockdown della cultura”. Prima prende Zendaya e John David Washington, li sguinzaglia in una villa di design e li fa duettare sulle difficoltà di essere artisti e muse, la dipendenza, lo showbiz, il cinema black visto dai bianchi in Malcolm & Marie (dal 5 febbraio su Netflix, ci torneremo con un pezzo a breve). Di più, il personaggio di Zendaya pare una sorta di Rue cresciuta e, finalmente, ripulita. La stessa Rue che abbiamo visto chiacchierare, piangere, sospirare di vita, morte e droga con il suo sponsor nello speciale natalizio più blue che si ricordi. E fanno due produzioni Covid-proof per Levinson. La terza è il secondo episodio-ponte verso la nuova stagione di Euphoria, titolo: Fuck Anyone Who’s Not a Sea Blob (on demand su Sky e in streaming su NOW TV e lunedì sera su Sky Atlantic in contemporanea con la messa in onda americana di HBO).

Chi l’avrebbe mai detto, nel caos iperbolico e instagrammabile della serie teen-caso degli ultimi anni, che Levinson sarebbe stato capace di togliere tutto – attori, membri della troupe, location, frizzi e lazzi – per arrivare dritto al cuore più emozionale e doloroso della questione: è come se la vita vera avesse fatto irruzione nello show, e non solo sotto forma di limitazioni portate dal virus.



Il nuovo speciale è una sorta di versione euphorica (pardon) di In Treatment, in cui Jules (Hunter Schafer) affronta la sua prima seduta con la nuova terapista Mardy Nichols (Lauren Weedman). Ma niente dialogo a due, nessun botta e risposta (o comunque, il minimo indispensabile): qui la protagonista è Jules, che finora era il personaggio più misterioso della serie, e che invece impariamo finalmente a conoscere. La psicologa è lì soltanto per aiutarla a scavare, a tirare fuori ricordi, sensazioni, drammi personali e familiari. E Hunter Schafer regge alla grande quei primissimi piani insistiti sul suo volto stropicciato, struccato, sofferente mentre ripercorre alcuni dei momenti più complicati dei suoi ultimi mesi di vita, che abbiamo già visto nella prima stagione di Euphoria: dalla relazione online con il sociopatico Tyler/Nate (Jacob Elordi) al complicato amore con Rue.

Insomma, è chiaro che di nuovo da dire non c’è molto, si tratta più di colmare lacune sull’enigma Jules. E per farlo (nascondendo anche un po’ l’effetto same old same old), Levinson si serve di qualche elemento caratteristico (e spudoratamente arty) della serie in più rispetto a quanto fatto nell’episodio su Rue, vedi lo slideshow magrittiano di ricordi proiettato sull’iride di Jules con in sottofondo le note della straziante Liability di Lorde, che grida Euphoria da ogni fotogramma. È con tutti quei momenti che deve fare i conti. Per questo il focus rimangono sempre e comunque le sue parole, quando ammette anche di avere delle riserve sulla sua transizione – «È come se per tutta la vita stessi cercando di conquistare una femminilità, e ora mi sento come se, a un certo punto lungo il mio percorso, la femminilità avesse preso il sopravvento su di me», dice – al punto che vorrebbe abbandonare del tutto o in parte gli ormoni che assume. Ed è qui che il contributo di Hunter Schafer alla scrittura sembra più che mai prezioso e necessario, oltre a sollevare domande a cui la seconda stagione potrebbe (e dovrebbe) rispondere.

Durante la seduta, al flusso di coscienza di Jules si affiancano sequenze d’archivio che mostrano momenti di cui siamo già a conoscenza da un punto di vista diverso, sguardi ad aspetti che non conosciamo della sua famiglia (la madre era una tossica, proprio come Rue), scene di fantasia (pure troppe) sulle sensazioni che provava quando faceva sexting con Tyler/Nate, con Jules che confessa di essere ancora innamorata di quella personalità virtuale (perché le relazioni online sono molto più facili di quelle reali, e quindi di quella vera con Rue), fino a un’immagine di liberazione catartica (no spoiler). Il contorno, sostanzialmente, ma la parte più interessante restano i lunghi monologhi di Schafer (un po’ annacquati da tutto il materiale di cui sopra), che regge alla grande tutto il peso dell’episodio sulle spalle. Se di Zendaya conoscevamo già la caratura da lead (e nello speciale aveva l’ottimo appoggio di Colman Domingo nei panni dello sponsor Ali), Schafer si rivela ben più della magnetica presenza visiva sullo schermo che Levinson ci aveva mostrato finora. È una performance da protagonista in tutto e per tutto, quasi un assolo. Ed è commovente. Le altre immagini a corredo forse rendono il contrappunto un po’ meno efficace.

Poi c’è la canzone – attesissima, malinconicissima, Labrinthissima – di Billie Eilish e Rosalía, Lo Vas a Olvidar, che suona proprio quando Jules parla del peso della sobrietà di Rue che sente sulle spalle e di quanto si sia innamorata perdutamente di lei. Sullo schermo vediamo la nuova informazione essenziale che ci fornisce questo episodio: il parallelo tra la tossicodipendenza di Rue e della madre di Jules, fonte per lei dello stesso dolore e di conseguenze di cui nessuna delle due si è mai accorta. Ma anche momenti di intimità – Rue e Jules che ballano, la prima che inietta gli ormoni alla seconda – che il brano amplifica all’infinito. Ed è questo che rende la scena finale dell’incontro tra Rue e Jules (pensata per unire i due episodi ponte in un dittico) ancora più straziante. Grazie anche alla pandemia, Euphoria ha fermato la sua cavalcata folle e scatenata per scavare nelle riserve emotive dei suoi due personaggi principali e della loro storia d’amore. Ora la corsa riparte da qui.

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