Per Jeffrey Alan Hicks, autore del saggio Television Theme Songs: A Content Analysis, la sigla può essere la rappresentazione in miniatura di un programma e di ciò che il pubblico sta consumando mentre guarda la televisione. Il tema iniziale può suggerire un’ampia varietà di idee e ideali, ma possono essere individuati anche temi generali che trattano di problemi familiari e di realizzazione dei propri sogni in relazione alla narrazione rappresentata.
Fin dalla metà degli anni ’50 con l’evoluzione dei primi show televisivi come The Twilight Zone, Perry Mason e con The Dick Van Dyke Show agli inizi degli anni ’60, il tema musicale ha costituito l’incipit verbale e musicale per delineare al pubblico le caratteristiche della trama ed il volto sonoro dei personaggi in scena, utilizzando modelli e tecniche compositive perfettamente riconducibili a una determinata rappresentazione narrativa e storica a cui gli spettatori potessero sentirsi strettamente collegati.
Come analizzato da Robert Thompson, docente e teorico di televisione e cultura popolare della Syracuse University, il tema musicale era per il pubblico non solo un elemento narrativo imprescindibile ma lo spot che preannunciava l’inizio dell’evento: “La sigla ti ricordava che lo spettacolo stava per iniziare”.
Ma dagli anni ’80 in poi, con una crescita sempre più esponenziale di prodotti televisivi, le produzioni iniziarono a modificare l’intento narrativo della sigla diminuendone la durata per timore che il loro prodotto potesse perdere spettatori a discapito di uno show con un tema più breve.
Il risultato di questo cambiamento portò alla quasi eliminazione compositiva del tema iniziale, salvo rari casi di utilizzo di musica già preesistente, anticipando la tendenza attuale in cui la sigla è diventata un elemento marginale tanto da poterne superare la sua funzione attraverso le nuove modalità di fruizione apportate dalle piattaforme streaming.
D’altro canto, invece, alcuni prodotti televisivi contemporanei hanno riposto nel tema musicale iniziale l’incipit alla propria narrazione. Già all’ascolto delle prime note si ha la percezione di entrare a far parte della storia ampliando ancor di più la sua funzione descrittiva e ogni elemento si mostra attraverso il crescendo musicale, diventando esso stesso il tema centrale della storia.
Il caso più interessante di tale congiunzione, sia nel processo artistico che nel successo mostrato dal pubblico, si trova sicuramente nello sviluppo compositivo che ha portato alla nascita della sigla iniziale di Succession (la terza stagione dal 29 novembre su Sky Atlantic e in streaming su Sky e NOW). Composta da Nicholas Britell (Moonlight, The Underground Railroad, Crudelia), premiato nel 2019 agli Emmy per il miglior tema musicale originale di una sigla, ha avuto il merito di rappresentare come non mai lo stile e le influenze musicali odierne entrando nel profondo emotivo dell’epopea della famiglia Roy.
Succession, ideata da Jesse Armstrong e prodotta dal regista Adam McKay, si sviluppa seguendo lo schema narrativo del dramma mitologico. Il capostipite e patriarca Logan Roy (Brian Cox), magnate nell’industria dei media, è alla ricerca di un degno erede che possa gestire il suo vasto impero con il perenne timore che i propri figli possano disfare quanto da lui costruito.
La colonna sonora si alimenta di dualità molto simili tra loro che si suddividono da un lato sull’analisi del potere e ricchezza concentrate nelle mani di pochissime persone e dell’altra sul lato umano di coloro che ne detengono l’impero rappresentati dalla famiglia Roy.
Come raccontato dalla giornalista Emily VanDerWerff su Vox, lo spettacolo è particolarmente interessato a come il capitalismo sfrenato sia spesso una perversione di alcuni dolori infantili a malapena compresi che si ripetono attraverso le generazioni: “Gli umani spesso usano i soldi per cercare di riempire un vuoto dentro di noi. Bene, cosa succede quando la tua infanzia è stata orribile e hai tutti i soldi del mondo? Cosa succede quando il vuoto non può mai essere riempito?”.
Ed è stato proprio questo il fulcro narrativo su cui si è basato Britell per la composizione del tema. Se la famiglia Roy potesse immaginare la propria musica, in quali sonorità troverebbe la sua perfetta raffigurazione? Come potrebbero convivere in un unico tema potere e famiglia?
Britell, che già in passato aveva analizzato il mondo della finanza con La grande scommessa (The Big Short) realizzando in musica il caos della crisi finanziaria del 2007 con Mouseclick Symphony Mvmt 1, entra questa volta nella sfera intima e privata di una prestigiosa famiglia, dove la costante minaccia oscura e maligna di un disfacimento economico ed emotivo è sempre pronta a far crollare l’impero di cristallo.
“Stavo cercando di creare una sorta di mitologia musicale per la famiglia Roy e il loro mondo”, dice Britell. “Così facendo, ho finito per creare una musica così essenziale per la storia da sembrare un altro protagonista. Ho passato molto tempo a pensare alla misura in cui l’economia, e il potere associato a grandi quantità di denaro, influenzano tutti noi e come questo conviva con la nostra sfera emotiva”.
Il tema musicale di Succession è un’autentica congiunzione tra il vecchio e il nuovo mondo, rappresentando in pieno le due anime in subbuglio della famiglia Roy. Le prime note emesse dal pianoforte, che prendono spunto dalla matrice compositiva oscura del ‘700 utilizzata nei drammi di corte, ne danno sia una sensazione di sventura ma anche di un divenire apocalittico, per poi essere totalmente rivoluzionato dall’inserimento improvviso di una 808 che trasforma il brano in una classica composizione hip-hop.
Il pianoforte stonato e stridente rappresenta la profonda ansia, la dissonanza e l’abuso che si trovano sotto la superficie del conservatorismo di Logan Roy associato alla visione estrema e sfacciata dell’erede designato Kendall Roy (Jeremy Strong), amante dei Beastie Boys e “rapper occasionale” con L to the OG, che ha composto per il cinquantesimo anno di carriera del padre.
Gli elementi narrativi e caratterizzanti di ogni singolo personaggio diventano un’entità sonora per Britell, che ne sfrutta tutte le sfaccettature per riassumerne sonoramente l’evoluzione nella storia. Secondo la giornalista Katie Baker di The Ringer, il pianoforte di Britell ci riporta a quell’adorabile solletico d’avorio che spesso riecheggia negli spazi frequentati da persone abbienti, come i salotti privati delle club house o i cocktail party negli attici di Manhattan, ma la distorsione intermittente ricorda che quel tipo di spazi e le persone come i Roy che li abitano, sono oggettivamente in caduta libera.
Il suo perenne oscillare tra classicismo e hip-hop ha reso la composizione di Britell uno dei temi più discussi ed apprezzati dai fan della serie e non solo. Come raccontato da Adam Downer (editor di Know Your Meme) a Vulture, quello che sorprende del tema musicale di Succession è che, pur non appartenendo a una sfera popolare così ampia rispetto ad altre sigle, sia stato da sempre oggetto di meme o reinterpretazione artistiche a prescindere dalla conoscenza o meno della serie.
“Non c’è dubbio che parte del fascino della canzone è che ti fa sentire come se fossi nel mondo dello spettacolo. Quell’epicità è probabilmente ciò che piace alla gente e ciò che la rende effettivamente celebre, non solo nello spettacolo, ma ogni volta che svolgi un’azione nell’arco della tua giornata”.
Questo ha fatto sì che il lavoro di Britell non fosse solamente apprezzato per la sua universalità sonora e sociale ma anche per la sua connessione con il mondo rap. Frank Ocean, ad esempio, si è complimentato con Jeremy Strong per la performance di L to the OG nella seconda stagione e i fan, fin dalla prima apparizione della serie, hanno preteso che fosse realizzato un remix rap del tema iniziale.
Nonostante i fan preferissero la visione artistica di Lil Wayne, è stato Pusha T l’artista più attratto dalla perenne congiunzione tra potere, lotta e dolore che aleggiano in Succession: “L’avidità, il risentimento, l’idea che chiunque sia praticamente usa e getta – questa è una qualità da film gangsta”, ha detto Pusha T a Vulture sulla sua interpretazione del tema centrale dello show. “E questo è ciò che ha reso divertente il processo di scrittura, perché potevo usare tutte le sfumature, le qualità e l’energia del gangster rap di strada. Famiglia, fortuna, invidia, gelosia, privilegio, eredità trasmessa, segreti, sabotaggio, reati sono stati tutti elementi perfetti nella raffigurazione della famiglia Roy”.
Dunque un tema musicale diventa celebre quando acquista un’indipendenza che va al di là del prodotto televisivo tanto da rappresentare esso stesso la serie; un movimento di soli 90 secondi che permette di entrare nel fulcro della narrazione anche senza conoscerne la struttura.
Se negli anni ’50 era il promemoria per un nuovo show che stava per iniziare, oggi la sigla assume la sua importanza soprattutto per la sua valenza interattiva enunciabile non solo attraverso il prodotto televisivo, ma diventando un vero elemento culturale e socialmente aggregante.
Il merito di Britell sta proprio nel raccontare l’epopea della famiglia Roy stando al passo con i tempi tanto da far riconoscere nella sua musica più generazioni. Nonostante la sua formazione classica, il compositore newyorkese ha sempre esplorato il mondo dell’hip-hop, e Succession ne è la sua perfetta raffigurazione, suggerendo modi completamente nuovi di composizione per il cinema e la tv, dove ci sarà sempre più spazio per nuove sperimentazioni.