In Tutti gli uomini del presidente, il leggendario film del 1976 su come i giornalisti Bob Woodward e Carl Bernstein hanno fatto scoppiare il caso Watergate e cadere la presidenza Nixon, la fonte interna di Woodward, soprannominata Gola profonda, dice: “Dimentica i miti che i media hanno creato sulla Casa Bianca. La verità è che questi tizi non sono molto svegli e gli sono sfuggite le cose di mano”.
La nuova miniserie HBO (disponibile su Sky e NOW dall’11 giugno), titolo Infiltrati alla casa Bianca – White House Plumbers, ci mette cinque ore a trasmettere l’idea che la sceneggiatura del film by William Goldman, vincitrice dell’Oscar, aveva espresso in un paio di frasi. È una commedia “larga” e frenetica su come la democrazia si sia salvata perché le persone che cercavano di distruggerla erano incompetenti. Ci sono momenti divertenti, interpretazioni interessanti – anche se i protagonisti Woody Harrelson, Justin Theroux e Lena Headey sembrano recitare in progetti diversi l’uno dall’altro –, ma nel complesso sembra una lunga gag in cui la battuta finale viene ripetuta. Di nuovo. E poi ancora.
Harrelson interpreta l’ex agente della CIA E. Howard Hunt. Una volta era un personaggio influente che ha contribuito a pianificare l’invasione della Baia dei Porci – incolpando John F. Kennedy per il fallimento –, ora lavora malvolentieri in una società di pubbliche relazioni e, di nascosto, scrive romanzi di spionaggio che sua moglie Dorothy (Headey) batte a macchina per lui. Theroux è l’ex agente dell’FBI G. Gordon Liddy, un uomo intenso e “drammatico” che nel tempo libero si diverte ad ascoltare le registrazioni dei raduni nazisti e vantarsi del lignaggio “celtico-teutonico” di sua moglie, Fran (Judy Greer).
I due vengono assunti dall’amministrazione Nixon come “idraulici” che identificheranno e fermeranno le “perdite” del sistema, e cioè le fughe di notizie, a cominciare dal trovare la prova che Daniel Ellsberg stava agendo per conto dell’Unione Sovietica quando ha fatto trapelare i Pentagon Papers. (A proposito, non era così, non che l’idea avesse mai sfiorato nessuno dei nixoniani.) Ma sembrano dei pagliacci fin dall’inizio, perché incasinano compiti di base, interpretano male le situazioni e fanno cento passi indietro dopo averne mosso uno avanti. Tentano quattro volte di irrompere nel quartier generale dei Democratici e ogni volta falliscono per un passo falso, magari piccolo ma comunque evidente, vedi uno degli amici cubani di Hunt dai tempi della Baia dei Porci che porta con sé a Washington il set sbagliato di grimaldelli.
Scritta da Alex Gregory e Peter Huyck e diretta da David Mandel, già al lavoro insieme nelle ultime stagioni di Veep, Infiltrati alla casa Bianca inizia come una farsa, ogni tanto sguazza nei drammi e nei guai nella famiglia Hunt e qua e là tenta di tracciare collegamenti diretti tra gli sporchi trucchetti di Hunt e Liddy e il modo in cui lavorano i moderni agenti politici repubblicani. A un certo punto, convincono la lobbista Dita Beard (un’irriconoscibile ed esilarante Kathleen Turner) a mentire apertamente sulle dichiarazioni che ha rilasciato alla stampa riguardo al comportamento scandaloso della Casa Bianca. In un altro momento, Liddy si vanta che, indipendentemente da quello che è successo con il Watergate, “se tutto quello che ho fatto è minare la fede dell’americano medio nel governo, questo pagherà i dividendi per il Partito Repubblicano, nel lontano futuro”.
È possibile che tutti questi spunti possano entrare coerentemente dello stesso progetto, ma purtroppo non è il caso di questa miniserie. Headey ci regala una performance intelligente e divertente, nei panni di Dorothy, che assiste Howard di tanto in tanto ma che, più che altro, trova la sua devozione alla causa, a spese di lei e dei loro figli (*), esasperante. All’estremità opposta dello spettro, Theroux si impegna selvaggiamente nel suo ruolo, interpretando Liddy come una creatura ridicolmente performante che enuncia in modo eccessivo ogni parola e si comporta come se fosse l’essere umano più duro e ipocrita mai creato da Dio. (È la parte più memorabile e divertente della serie, e suggerisce una versione che potrebbe funzionare meglio in formato film.) Harrelson alterna queste due modalità, ma nelle scene in famiglia Hunt sembra un personaggio diverso dal tizio che indossa stupide parrucche e urla contro Liddy e i cubani.
(*) Kiernan Shipka ha un ruolo stranamente irrilevante nei panni della figlia prediletta di Hunt. Sia l’attrice delle Terrificanti avventure di Sabrina che F. Murray Abraham – in un ruolo ugualmente un po’ inutile, e cioè quello del giudice che sovrintende al processo iniziale per furto con scasso all’Hotel Watergate – forse hanno firmato perché sulla carta poteva sembrare un progetto sul radar degli Emmy. Forse hanno ragione, specialmente con The White Lotus (in cui Abraham ha molto più spazio) ormai passato nella categoria drama. (Ma probabilmente non è il momento ideale per ingaggiare Abraham in un’altra serie, anche se si tratta di un cameo assai incensato.)
C’è una scena nel secondo episodio in cui il dirigente della campagna di Nixon Jeb Magruder (Ike Barinholtz) è furioso per il fatto che l’editorialista del giornale Jack Anderson ha riferito dello scandalo Dita Beard. Liddy chiede cosa può fare per aiutare, e Magruder scherza dicendo che Liddy dovrebbe uccidere Anderson. Senza aggiungere altro, Liddy esce dall’ufficio di Magruder ed è già a metà strada prima che il suo capo – inorridito – riesca a fermarlo. È sconcertato dal fatto che Liddy non si sia reso conto che stava scherzando, ma la confusione è evidente per una serie che non riesce a decidersi sul tono da usare. Quando un personaggio di spicco muore in modo orribile, la serie cerca di amplificare l’accaduto per creare più pathos e fare battute sulle teorie del complotto. È strano nel migliore dei casi, sgradevole e indelicato nel peggiore.
Lo scandalo Watergate è un capitolo enorme e bizzarro, che ovviamente ha portato a molte drammatizzazioni e spesso con approcci completamente diversi. Tutti gli uomini del presidente era un thriller da manuale, mentre la commedia del 1999 con Kirsten Dunst e Michelle Williams Le ragazze della Casa Bianca presentava il racconto attraverso gli occhi di due ragazzine. Ma tra Gaslit di Starz – che è stata lanciata e dimenticata la scorsa primavera, anche se era interpretata da Julia Roberts e Sean Penn – e questa serie, sembra che abbiamo superato il punto di rendimenti decrescenti. In uno degli ultimi episodi, i creatori scoprono come incorporare l’audio di un attore di un altro progetto sul Watergate in questo. E la cosa mi ha fatto sorridere per un attimo, ma soprattutto perché ispirava pensieri su quell’adattamento, oltre al desiderio di guardarlo al posto di Infiltrati alla casa Bianca.