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La pazza gioia di ‘Tutto chiede salvezza’

Nella nuova dramedy diretta da Francesco Bruni c'è la stessa profondissima empatia, lo stesso sorriso sulle labbra, lo stesso dolore inarrestabile. Quel sentire troppo tutto come il suo protagonista, affidato alla sensibilità sopraffina di Federico Cesari

Federico Cesari è Daniele in ‘Tutto chiede salvezza’. Foto: Andrea Miconi/Netflix


A me fa impressione. Mi fa impressione l’idea che nello stesso Paese possano convivere un caso Marco Bellavia al Grande Fratello Vip e un prodotto come Tutto chiede salvezza (dal 14 ottobre su Netflix). Lo sfruttamento e la bullizzazione della fragilità in prima serata vs un racconto intelligente e delicatissimo a sottolineare che “qua ce sta solo un piccolo campionario de follia, la merce vera sta là fuori e ce sta per tutte le stagioni”, per dirla – romanescamente – con il protagonista della serie. Qua potrebbe pure essere la Casa del GF, e invece – e per fortuna – è il reparto psichiatrico di un ospedale, dove Daniele Cenni è stato ricoverato in TSO (trattamento sanitario obbligatorio) dopo un episodio psicotico. “Una settimana lunga quanto ‘na vita intera”, che la vita la scuote, la ribalta e finalmente – forse – a quella vita trova un senso. Chi ha letto il romanzo autobiografico (Premio Strega Giovani) di Daniele Mencarelli già sa, ma anche in quel caso l’adattamento di Tutto chiede salvezza è una carezza al cuore e un pugno nello stomaco insieme.

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Di cosa soffra Daniele non è chiaro, o forse sì: “È come se la vita me pesasse più a me che agli altri, pure le cose belle”, spiegherà a un certo punto. E quanto gli pesa all’inizio trovarsi “in mezzo ai matti”. Il piromane Madonnina (Vincenzo Nemolato), Alessandro (Alessandro Pacioni) che è un vegetale, Gabriele (Vincenzo Crea), un giovane omosessuale bipolare, Mario (Andrea Pennacchi), maestro elementare pieno di fantasmi, Giorgio (Lorenzo Renzi), un colosso che è rimasto bambino dopo la morte della madre, e mettiamoci pure Nina (Fotinì Peluso), attrice/influencer che ha tentato il suicidio. “Matti”, appunto, per qualcuno, ma – in poco meno di quella fatidica settimana – fratelli per Daniele, che “piangono quando amano e ridono quando soffrono”.

C’è qualcosa della Pazza gioia di Virzì in questa dramedy, diretta (magnificamente) da Francesco Bruni: la stessa profondissima empatia, lo stesso perenne sorriso sulle labbra, lo stesso dolore inarrestabile. Quel sentire troppo tutto come il suo protagonista, affidato alla sensibilità sopraffina di Federico Cesari che, già iconico con il suo meraviglioso Martino in SKAM Italia, qui diventa definitivamente grandissimo, sempre più simbolo di una generazione attoriale (e non solo) che non ha paura di interpretare/mostrare le proprie fragilità.

Andrea Pennacchi è Mario. Foto: Andrea Miconi/Netflix

Il resto della “nave dei pazzi” è altrettanto splendida: su tutti spicca un Andrea Pennacchi da applausi nei panni di Mario che mangia solo mele cotte, cita i poeti e vede un uccellino immaginario fuori dalla finestra. Sono sue alcune delle frasi che devastano durante la visione, come “È il rispetto il primo comandamento. Tanto qua a farci del male ci pensiamo già da soli”, ma anche riflessioni sulla diversità che andrebbero incorniciate nei corridoi di Camera e Senato: “Essere sbagliato è il punto di partenza della scienza. Tutto quello che di eccezionale l’uomo ha fatto nel passato è stato anche grazie a quelle caratteristiche che adesso stanno catalogando come patologie. Loro non vogliono curare, vogliono depurare, normalizzare”. Ehm.

La svolta per Daniele è anche un quadernetto su cui scrivere per comprendere il presente e immaginare un futuro all’insegna di una parola che accomuna tutti, “matti” e non: salvezza. “Noi medici, voi pazienti: che differenza vuoi che faccia?”, dice il dottor Mancino (Filippo Nigro). “Ognuno ha la sua storia e dentro ogni storia c’è dolore”.

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