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Le 25 migliori serie tv di tutti i tempi

Dalle famiglie più amate di sempre (leggi: ‘I Simpson’ e ‘I Soprano’) a neo-classici come ‘Breaking Bad’ e ‘Mad Men’. Il listone impossibile definitivo

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M*A*S*H*1972-1983

Il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra di Corea è durato circa tre anni. M*A*S*H*, però, ha resistito per più di un decennio, con tanto di finale in formato XL che è (e probabilmente lo rimarrà) il singolo episodio televisivo più visto di sempre. Questa dilatazione temporale ha offerto alla serie che parla di medici e infermiere di guerra molte chance di reinventarsi. Inizialmente era una commedia anarchica e anti-establishment, nello spirito del film di Robert Altman da cui deriva, con il Dottor “Hawkeye” Pierce (Alan Alda) che faceva scherzi folli per protestare contro la violenza che lo circondava. Verso la fine si era trasformato in un drama toccante sugli effetti psicologici e fisici della guerra, in cui personaggi una volta appartenenti alla linea comica – il crossdresser Max Klinger (Jamie Farr), l’imponente infermiera Margaret Houlihan (Loretta Swit) – venivano presi sul serio, allo stesso livello di Hawkeye o del decoratissimo Colonnello Potter (Harry Morgan). In alcuni gradevolissimi periodi centrali, poi, questi due estremi hanno convissuto.

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Freaks and Geeks1999-2000

Il futuro della comicità hollywoodiana era tutto raccolto in un’unica incredibile serie, ma NBC è stata troppo miope per accorgersene. Creata da Paul Feig, prodotta da Judd Apatow e con una sfilza di star emergenti nel cast come James Franco, Seth Rogen e Jason Segel, Freaks and Geeks raccontava storie di reietti delle scuole superiori, nel Michigan degli anni ’80, con frequenti contatti fra i “burnout” convinti di non avere futuro (a cui si è unita da poco Lindsey, una brava ragazza in preda a un moto ribelle, interpretata da Linda Cardellini) e i nerd che sperano sempre che un giorno il mondo inizi a considerarli fighi (guidati da John Francis Daley nei panni di Sam, il fratello minore imbranato di Lindsey). A volte dolorosamente divertente, altre solo dolorosa, la serie mostrava grande empatia nei confronti di questi ragazzi, anche se puntava i riflettori sulla loro goffaggine adolescenziale mortificante. Il network non ha però capito il prodotto, che è durato una sola stagione; poi Feig e gli altri hanno cercato fortuna sul grande schermo, ma nessuno ha toccato i picchi raggiunti qui.

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Watchmen2019

Viviamo nell’epoca della proprietà intellettuale, in cui titoli famosi vengono ripetutamente adattati solo per via di quella loro notorietà e non perché qualcuno ha trovato un’angolazione originale per raccontarne le storie. E poi c’è Watchmen. Il capolavoro a fumetti originale di metà anni ’80, firmato da Alan Moore e Dave Gibbons, si è dimostrato impossibile da adattare allo schermo per decenni. Il film del 2009 di Zack Snyder è riuscito a condensarne gran parte della trama, ma mancando completamente il bersaglio. L’ex co-sceneggiatore di Lost e The Leftovers – Svaniti nel nulla, Damon Lindelof, ha preso una direzione del tutto diversa quando ne ha acquisito la proprietà, utilizzando il mondo creato da Moore e Gibbons per raccontare una vicenda fantasiosa, ma cruda, sulla storia del razzismo americano vista attraverso gli occhi di Sister Night (Regina King), un’agente di polizia che, come i suoi colleghi, indossa una maschera e un’uniforme speciale per svolgere impunemente il suo lavoro violento (un’immagine rivelatasi disgraziatamente profetica quando, durante le proteste dopo i fatti di George Floyd, alcuni poliziotti hanno preso a celarsi dietro a maschere). Sister Night si trova al centro di una trama turbinante che include il massacro di Tulsa del 1921, vari viaggi sulle lune di Giove, viaggi nel tempo, un dildo spaziale e un eroe in costume che gli agenti soprannominano “Lube Man”. Eppure tutti questi elementi così scollegati (aggiungiamo anche una colonna sonora firmata da Trent Reznor e Atticus Ross e le performance entusiasmanti di King, Jean Smart, Jeremy Irons, Hong Chau e Yahya Abdul-Mateen II) vanno a formare un mosaico coinvolgente e coerente con il materiale originale tanto sfuggente.

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Star Trek1966-1969

L’ideatore Gene Roddenberry l’aveva presentata come “un treno a vagoni verso le stelle”, ma questa serie ha costruito una legacy assai più grande di qualunque western televisivo. I viaggi dell’astronave Enterprise, comandata dall’impulsivo James T. Kirk (William Shatner), hanno dato origine al concetto moderno di fandom così come lo conosciamo. E Mr. Spock, l’ufficiale scientifico metà alieno con le orecchie a punta e un taglio di capelli retrofuturistico impersonato da Leonard Nimoy, è divenuto il volto che ha lanciato migliaia di “ship” (ossia le fan fiction sulle relazioni amorose che non si vedono nella serie). Dall’uscita della serie originale si sono susseguiti tredici film di Star Trek, sette spin-off in live action e tre serie animate. Parecchi di questi prodotti hanno regalato una loro magia, a partire dalla performance potente di Patrick Stewart in The Next Generation, passando per la vicenda politica a puntate di Deep Space Nine, fino ad arrivare alla forte empatia presente nell’attuale Star Trek: Strange New Worlds. Alcuni sono anche stati molto fedeli alle avventure di Kirk, Spock e l’irascibile Dr. McCoy (DeForest Kelley), ma i picchi drammatici della serie degli anni ’60 e la sua audace costruzione di un mondo hanno reso possibile la nascita dell’intero franchise (e dell’ecosistema basato su sci-fi/fantasy/fan più esteso di sempre).

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Arcibaldo – Tutti a casa1971-1979

Lo show comico di Norman Lear sul gap generazionale aveva talmente il polso della situazione di una nazione sempre più divisa che il presidente Nixon è stato ripreso, nella Stanza Ovale, mentre si lamentava di uno dei primi episodi. La serie – in cui Archie (Carroll O’Connor), uno sciattone razzista, reazionario e blue collar e il suo figliastro progressista Michael “Meathead” Stivic (Rob Reiner) litigavano continuamente, mentre le rispettive mogli Edith (Jean Stapleton) e Gloria (Sally Struthers) cercavano di calmare le acque – era un prodotto molto divisivo, creando una cesura fra spettatori che adottavano Archie come loro eroe e quelli che capivano che l’autore Lear lo considerava uno sciocco. Per molti versi questa è stata la prima serie su un antieroe ed è stata d’ispirazione per una breve età dell’oro per le sitcom dei network (diverse in forma di spin-off di questa, come I Jefferson, Maude e Good Times) che sono riuscite a intrecciare riflessioni intelligenti sui temi caldi del momento con un sacco di umorismo licenzioso.

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30 Rock2006-2013

Pochi esempi spiegano meglio di 30 Rock il vecchio detto “scrivi di ciò che conosci”. Tina Fey, fresca di una stagione di successo come head writer di Saturday Night Live, e il suo co-conduttore in Week Update hanno creato – recitandoci – una serie in cui lei veste i panni di Liz Lemon, la head writer di una sketch comedy della NBC che ricorda molto da vicino SNL. Questa “serie nella serie” intitolata TGS è così divenuto teatro di una satira più ampia sulla televisione (comprese Tracy Morgan e Jane Krakowski nei ruoli delle star di TGS patologicamente capricciose) e sull’America delle corporation (esemplificata da Alec Baldwin nel ruolo di Donaghy, un dirigente immensamente arrogante), mischiata con alcuni fra i nomi più stupidi mai apparsi su uno schermo, come il Dr. Spaceman (Chris Parnell) o Jenna che recita nel film The Rural Juror. Nonostante 30 Rock fosse più che intenzionato mordere la mano che lo nutriva e nel modo più doloroso possibile, vi si riscontrava anche una palese passione per l’industria che aveva reso possibile tutto ciò. Come ha detto nel primo episodio Kenneth (Jack McBrayer), lo stagista di età indefinibile e sempre forzatamente allegro: “È solo che amo la televisione”. E lo stesso valeva per 30 Rock.

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I May Destroy You – Trauma e rinascita2020

Una maratona spiazzante in cui Michaela Coel è sceneggiatrice, co-regista e attrice nei panni di una giovane autrice che vede crollare la propria vita e la carriera quando capisce di essere stata drogata e stuprata. I May Destroy You a tratti è straziante, in altri frangenti è divertente e bizzarra e parla sia del processo creativo della scrittura (e delle storie che ci raccontiamo su di noi per aiutarci ad affrontare i problemi), sia del trauma con cui Arabella deve imparare a convivere. Una serie avvincente, peculiare e brevissimasei

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Saturday Night Live1975-oggi

Nell’arco di sei decenni, SNL ha creato delle star (John Belushi, Eddie Murphy, Will Ferrell, Kristen Wiig e troppi altri per elencarli), coniato tormentoni virali (da “Siamo due tizi selvaggi e pazzi!” a “Vivo in un van, vicino al fiume!” fino a “Più campanaccio!!!” e “Qui c’è tutto!”), fatto cadere politici candidati alle elezioni (c’è ancora gente che crede che sia stata Sarah Palin – e non Tina Fey nei suoi panni – a dire: “Vedo la Russia da casa mia!”) e ridefinito ripetutamente il genere della sketch comedy televisiva. È stato anche più volte ribattezzato “Saturday Night Dead” ed è un dato di fatto che per tutti la versione migliore di SNL è quella che ricordano dal periodo in cui facevano le superiori. Ma anche quando le nostre aspettative sono troppo elevate per lo svolgimento caotico dello show – come dice il suo creatore Lorne Michaels (che è stato show runner per più di 47 stagioni di fila): “Lo spettacolo non va in onda perché è pronto, ma perché sono le 23:30” – l’idea che si faccia della comicità in diretta nello Studio 8H è inebriante, a prescindere dal periodo o da chi la fa.

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The Leftovers – Svaniti nel nulla2014-2017

Questa riflessione sul dolore, sulla depressione e sulla ricerca di un significato in un mondo insensato (in questo caso un mondo in cui il 2% della popolazione è svanito all’improvviso e in modo causale, come in un Rapture di sottomarca) è a tratti fra le più cupe mai viste sul piccolo schermo. Ma in molti altri frangenti The Leftovers (adattamento di Damon Lindelof e Tom Perrotta del romanzo omonimo di Perrotta) è audace, divertente e anche allegro. Tutto il cast offre performance incredibili, compresi Justin Theroux nei panni di un capo della polizia con tendenze suicide, Amy Brenneman nel ruolo di una donna che di fronte all’apocalisse si unisce a un culto e Carrie Coon, che è una donna che deve ricostruirsi una vita dopo che la sua famiglia è scomparsa. Se non possiamo ridere in faccia alla morte (c’è anche un episodio in cui Dio viene sbranato da un leone mentre scende da una barca dove si è svolta un’orgia) che senso ha tutto ciò?

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Twin Peaks1990-1991/2017

La serie originale di questo mashup firmato da David Lynch e Mark Frost fatto di mistero gotico, soap-opera, melodramma e orrore sovrannaturale è stata la cosa più dannatamente strana che la maggior parte dei telespettatori avesse mai visto ai vecchi tempi in cui tutti avevano solo tre o quattro canali tv. Come aveva fatto Laura Palmer (Sheryl Lee) a finire morta, dentro un sacco di plastica, in una cittadina apparentemente tranquilla di boscaioli del Nordovest? Perché l’agente Dale Cooper dell’FBI (Kyle MacLachlan) era così fissato con caffè caldo e dolci a vari gusti? Cosa significa la frase “I gufi non sono quello che sembrano”? E quanto, di tutto ciò, va preso sul serio? Il sequel tardivo, Twin Peaks: The Return, è giunto 25 anni dopo nel panorama molto diverso e bizzarro della Peak TV, eppure in qualche modo è parso ancora più strano, oltre a includere MacLachlan che recita in almeno tre parti (forse di più, ma è complicato) e il personaggio del viaggiatore del tempo recitato dal compianto David Bowie nel film spin-off Fuoco cammina con me reimmaginato come una gigantesca teiera senziente. Possiamo spiegare tutto quello che è successo in ogni stagione o, magari, solo buona parte di esso? Certo che no. Ogni imperscrutabile minuto della serie ci ha colpito più di tutte le altre (eccetto una manciata) di questo elenco? Assolutamente sì.

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The Larry Sanders Show1992-1998

Non si discute! C’è forse un’altra serie che ha compreso il business vile della televisione e il brodo tossico di nevrosi ed ego che tiene a galla tutto il sistema meglio della commedia acida di Garry Shandling su un conduttore di varietà notturno di seconda categoria? Larry Sanders era un tizio che non aveva altro piacere nella vita se non l’ora trascorsa davanti alle telecamere ogni sera (anzi, a volte dubitava anche di questo). Per quanto la serie di Sanders fosse mediocre, la scrittura di Shandling era così brillante e spietata che le star di cinema e tv hanno iniziato a fare la fila per un cameo come finti ospiti, così da poter incontrare Shandling o il defunto Rip Torn, che recitava nei panni del produttore impavido di Larry: Artie.

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The Americans2013-2018

È come se lo spot del 1981 per i Reese’s Peanut Butter Cups – “Il tuo cioccolato è nel mio burro d’arachidi! Be’, il tuo burro d’arachidi è sul mio cioccolato!” – fosse divenuto una serie tv. Keri Russell e Matthew Rhys interpretano Elizabeth e Philip Jennings, due cellule dormienti dei servizi segreti sovietici che si fingono una coppia sposata, nella periferia dell’America reaganiana. È un thriller di spionaggio teso o un ritratto sfaccettato dei compromessi che ogni matrimonio implica? E perché non entrambe le cose? Le trame ricche di suspense rendono questo family drama più intrigante e il lavoro sui personaggi dà più spessore alla linea di azione. In The Americans tutte le relazioni sono delineate in modo realistico, compreso il desiderio di Philip di trasformare il suo finto matrimonio con Elizabeth in uno vero, il senso di colpa di Philip nei confronti del suo amico e vicino di casa agente dell’FBI, Stan Beebman (Noah Emmerich), e la figlia adolescente di Philip ed Elizabeth, Paige (Holly Taylor), che si chiede come dovrebbe sentirsi dopo essere venuta a conoscenza della verità sui suoi genitori. Le performance sono sensazionali sia nelle situazioni domestiche che in quelle di azione. E là dove diversi classici di questo periodo hanno avuto finali che hanno fatto discutere, la conclusione qui ha reso ancora migliore tutto ciò che era venuto prima.

13

Veep – Vicepresidente incompetente2012-2019

La presidenza degli Stati Uniti di Selina Meyer è stata così breve e segnata da inettitudine che mai potrebbe essere presa in considerazione per una nuova scultura sul Monte Rushmore. Al contrario, il viso della star di Veep, Julia Louis-Dreyfus, meriterebbe di essere scolpito per immortalare il meglio del meglio della commedia televisiva. Nei panni della protagonista volgare e narcisista della serie comica in salsa politica di Armando Iannucci (in cui Selina, il suo esercito di tirapiedi, i suoi alleati e i suoi avversari dello scacchiere politico dimostrano di non avere altro ideale se non un appetito insaziabile di fama e attenzione), Louis-Dreyfus in qualche modo ha eguagliato il suo lavoro in Seinfeld, con una performance epocale.

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Ai confini della realtà1959-1964

Nella prima età dell’oro della televisione, negli anni ’50 e ’60, le serie antologiche regnavano e la raccolta di storie fantastiche di Rod Serling (ambientate nella “regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione”, come dice Serling stesso all’inizio di ogni episodio) era la più importante. Prima che la science fiction iniziasse a essere dominata da storie avventurose in galassie lontane, il genere era spesso utilizzato per una feroce critica sociale sul mondo in cui viviamo, solo vagamente mascherata tramite invenzioni di invasioni aliene e patti col demonio. Alcuni episodi di Ai confini della realtà erano osservazioni su paure personali, come quella di volare (con William Shatner che vedeva un gremlin sull’ala del suo aereo). Altri si reggevano su colpi di scena che la tv avrebbe utilizzato ancora più di cinquant’anni dopo, come la famosa conclusione “È un libro di ricette!” durante la visita degli alieni nella puntata Servire l’uomo. Ma principalmente la serie osservava il mondo e non gradiva ciò che vedeva, come quando in Mostri in Marple Street ha messo sotto accusa la paranoia della Guerra Fredda. Il franchising è stato rivitalizzato più volte, compreso un recente tentativo in streaming di Jordan Peele, ma la versione originale è superiore a tutte le altre.

11

Succession2018-oggi

Logan Roy (Brian Cox), patriarca di questa commedia nerissima sulla lotta per guidare il suo impero mediatico stile Fox News fra i quattro figli (l’inutile Connor/Alan Ruck, il tossico Kendall/Jeremy Strong, l’arrogante Shiv/Sarah Snook e l’infantile Roman/Kieran Culkin), probabilmente vedendo che la serie non è nella nostra Top 10 ci manderebbe tutti affanculo. E potrebbe avere ragione, visto quanto abilmente Succession descrive lo stato dei media moderni (e come gente della risma di Logan danneggi il mondo per il proprio tornaconto), fa comprendere al pubblico personaggi della famiglia come Kendall o il cugino Greg (Nicholas Braun) tonto e sprovveduto e sforna di continuo dialoghi divertentissimi.

10

Mary Tyler Moore1970-1977

Insieme a Cin cin, rappresenta il gold standard della commedia corale, mescolando dialoghi frizzanti con sentimento sorprendente e un cast di attori che parevano nati per scambiarsi battute. Quattro anni dopo la fine del The Dick Van Dyke Show, Mary Tyler Moore è tornata in televisione nel doppio ruolo di produttrice e star di questa serie pionieristica su una donna single che deve reinventarsi in una città nuova, con nuove amicizie (la sfrontata Rhoda interpretata da Valerie Harper, la narcisista Phyllis interpretata da Cloris Leachman), nuovi colleghi (Ed Asner nei panni dello scontroso Lou, Gavin MacLeod nel ruolo del divertente Murray e Ted Knight che interpreta il debole Ted Baxter) e la certezza che, alla fine, ce la farà. Come Lucille Ball prima di lei, Moore ha usato il successo della serie per edificare il proprio impero di produzioni televisive, che ha curato altre serie importanti come Hill Street giorno e notte. E se l’episodio in cui Mary Richards fatica a non ridere durante il funerale del clown Chuckles non è la mezz’ora più divertente di sempre, ci manca pochissimo.

9

Atlanta2016-oggi

Dopo anni nel cast di Community, nei panni dell’afroamericano preferito dell’America bianca, Donald Glover è passato ad altro, come creatore e attore di Atlanta, una serie che cambia identità liberamente. Una settimana può essere una commedia su Al (Brian Tyree Henry) alle prese col giorno più stupido della sua vita nel tentativo di farsi tagliare i capelli; quella seguente diventa una storia paurosa di case infestate incentrata sul tema del disprezzo di sé per motivi razziali. Può mostrare Al, Earn (Glover) e Darius (LaKeith Stanfield) alle prese con avventure surreali nella città del titolo e può mandare l’ex di Earn, Van (Zazie Beetz), a Parigi per picchiare selvaggiamente un francese con una pagnotta rafferma, mentre rifornisce un banchetto per cannibali danarosi. Nessuna serie è in grado di fare così tante cose radicalmente diverse bene come le fa di continuo Atlanta.

8

Cin cin1982-1983

“È la notte prima del mio matrimonio e sono nel bel mezzo di una gara di sudore”, si lamenta Diane Chambers (Shelley Long) quando si trova bloccata nel bar di Boston del titolo, nel primo episodio di questa sitcom classica. Nelle prime stagioni, l’intelligente, pretenziosa e fragile Diane era in un mulinello infinito di pomiciate e rotture con il barista arrogante, ex sportivo, Sam Malone (Ted Danson), ma Cin cin non versa mai una goccia di sudore mentre riscrive il manuale delle storie d’amore televisive, creando quello schema “lo faranno o non lo faranno” che avremmo rivisto decenni dopo in coppie come Jim e Pam in The Office. A livello di battute aveva una media di colpi a segno molto più alta di qualunque giocatore si sia mai trovato davanti Sam quando faceva il lanciatore nei Red Sox. La scintilla persa dalla serie quando Long ha lasciato il cast per darsi al cinema (è stata sostituita da Kirstie Alley, nei panni della più patetica e disperata Rebecca) è stata compensata sfruttando uno dei migliori assortimenti di sempre di personaggi eccentrici, inclusi lo psichiatra pomposo Frasier (che ha poi avuto un proprio spin-off) interpretato da Kelsey Grammer, la cameriera ostile Carla (Rhea Perlman), il barista ingenuo Woody (Woody Harrelson), l’insopportabile postino saccente Cliff (John Ratzenberger) e il barfly professionista Norman Peterson (George Wendt), per gli amici del Cin cin Norm!

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Mad Men2007-2015

Quello che state leggendo non è un blurb. È una macchina del tempo che rievoca un luogo (in questo caso le sette stagioni in cui abbiamo seguito le avventure del misterioso e carismatico dirigente degli anni ’60 Don Draper, interpretato da Jon Hamm) in cui vorremmo disperatamente tornare. Mad Men è un drama dall’umorismo dark ambientato sul lavoro, una cronaca dettagliatissima dei cambiamenti sociali avvenuti nel corso di uno dei decenni più turbolenti della storia americana e uno studio ricco di sfumature sui personaggi di Don, Peggy, l’indomabile Joan (Christina Hendricks), l’adulatore Roger (John Slattery) e un gruppo di altre figure indimenticabili. Cosa sarebbe la tv senza questa serie? Not great, Bob!

6

Seinfeld1989-1998

Quando il comico Jerry Seinfeld e il suo migliore amico nevrotico e autodistruttivo George Costanza (Jason Alexander) iniziano a scrivere una sitcom basata sulla vita di Jerry, nella quarta stagione di Seinfeld, George la descrive come “una serie sul nulla”. Il dirigente della NBC a cui lo presentano, nella finzione, si domanda perché mai qualcuno dovrebbe guardare qualcosa di simile. Ma i dirigenti veri non si sono mai posti questa domanda e Seinfeld è diventata un fenomeno (e una delle commedie più influenti di sempre) grazie alla sua ossessione per i dettagli della vita quotidiana (intingere le chips nelle salse dopo averle già morsicate, riciclare i regali), al mantra a-sentimentale del co-creatore di Seinfeld Larry David “non si abbraccia e non si impara”, alla compilation di personaggi newyorkesi come il Soup Nazi e George Steinbrenner (con la voce di David) e all’alchimia comica esplosiva fra Seinfeld, Alexander, Julia Louis-Dreyfus (nei panni dell’ex ragazza ipercritica di Jerry, Elaine Benes) e Michael Richards (nel ruolo del vicino di casa fannullone e gregario Cosmo Kramer). Una serie progettata in modo impeccabile e ricca di citazioni da usare all’infinito, come nel famoso episodio La scommessa, in cui l’astinenza dalla masturbazione viene definita essere “padrone del tuo dominio”.

5

Fleabag2016-2019

Di sicuro è molto soddisfacente quando una serie riesce a regalare decine di ore di divertimento nell’arco di più stagioni. A volte, però, l’esperienza più appagante deriva da serie che hanno poche cose da dire, le dicono alla perfezione e poi scuotono il capo e se ne vanno prima che sia possibile seguirle in archi narrativi meno interessanti. Questo approccio rapido e indolore mai è stato adottato in maniera più impeccabile che nel tour de force tragicomico in cui Phoebe Waller-Bridge recita nei panni di una donna autodistruttiva talmente sola che i suoi rapporti più sani sono con il pubblico televisivo che neppure può vedere e con il prete figo (Andrew Scott) per cui prende una sbandata folle nella seconda stagione. E che parlasse direttamente a noi o meno (facendo il migliore uso di sempre, in tv, della rottura della quarta parete), Waller-Bridge teneva in pugno gli spettatori. Ha reso Fleabag esattamente volgare, divertente e triste (a volte anche più di una di queste cose alla volta) come voleva. E poi ha salutato tutti.

4

The Wire2002-2008

Ogni volta che si sente uno showrunner contemporaneo parlare del proprio lavoro definendolo “un romanzo per la televisione” o “un film di dieci ore”, probabilmente ha passato un sacco di tempo a guardare il drama firmato da David Simon e Ed Burns, arrivando erroneamente a pensare che fosse facile da copiare. Era una storia epica urbana che, gradualmente, ha esplorato ogni angolo della Baltimora di fantasia in cui era ambientata, dai poliziotti agli spacciatori fino agli studenti e i politici. The Wire ha postulato che “tutti i pezzi sono importanti” e poi ha realizzato l’idea in modo che il lento arco narrativo portasse tutte le tragedie della serie – con uno dei cast più eccezionali mai assemblati, dallo spacciatore ambizioso Stringer Bell (Idris Elba) al tossico gentile al delinquentello Bubbles (Andre Royo) – e tutte le sue critiche alle condizioni dell’America moderna a colpire ogni volta più duramente. Spesso imitato, non è mai stato replicato, neppure dai successivi notevoli Tremé o The Deuce – La via del porno. Come D’Angelo Barksdale (Larry Gilliard Jr.) dice, utilizzando una metafora scacchistica: “Il re è sempre il re”.

3

Breaking Bad2008-2013

Il professore delle superiori Walter White (Bryan Cranston) dice ai propri studenti che gli piace pensare alla chimica come allo “studio del cambiamento”, che è esattamente il tema fondante della saga crime che viene costruita attorno al suo personaggio. Nessuna serie, prima e dopo, è riuscita a sfruttare meglio le possibilità del medium per descrivere l’arco di un personaggio nel lungo periodo, creando al contempo singoli episodi memorabili, ossia ciò che distingue la televisione dal cinema. Breaking Bad percorre, passo straziante dopo passo straziante, il viaggio di Walt da lavoratore della piccola borghesia a capo del proprio impero costruito con la metanfetamina, mentre nel percorso viene a volte aiutato e altre danneggiato dall’ex alunno Jesse Pinkman (Aaron Paul), dall’avvocato criminale Saul Goodman (Bob Odenkirk), dal boss calcolatore Gus Fring (Giancarlo Esposito) e perfino dalla sua moglie-vittima Skyler (Anna Gunn). La serie è così tesa e devastante perché ci mostra metodicamente il percorso di Walt e tutti gli altri.

2

I Simpson1989-oggi

Cosa si può aggiungere sulla serie televisiva comica migliore, più longeva, più influente e più acclamata di tutte? (E qui Krusty the Clown direbbe disgustato: “Acclamata?!?!”) Dovremmo forse sciorinare una serie di citazioni folli casuali, come quando Abe Simpson si è legato una cipolla alla cintura perché era di gran moda all’epoca? Dovremmo far leva sulla falsa percezione per cui I Simpson non farebbe più ridere da decenni, anche se nella sua trentaduesima stagione ha piazzato un episodio pazzesco come il tributo a Wes Anderson incentrato sull’Uomo dei fumetti? Dovremmo parlare di Homer Simpson come dell’avatar di tutto ciò che è grandioso e terribile nel maschio americano? Meravigliarci per la gran varietà di toni e argomenti affrontati? Canticchiare qualche strofa della Canzone della monorotaia? Fare una classifica di tutti gli ospiti, da Phil Hartman fino al tizio di Joe Millionaire? O forse dovremmo solo ammettere che, dopo tanti anni, la genialità dei Simpson parla da sé?

1

I Soprano1999-2007

Il vincitore (e il campione indiscusso) di North Caldwell, New Jersey, che irrompe con 86 episodi che hanno cambiato il medium, colmi di botte, analisi psichiatrica, scherzi su cunnilingus e scoregge è… I Soprano! La creazione di David Chase è sempre al numero 1 perché stiamo ancora vivendo nel nuovo mondo della televisione inaugurato dal boss della mala Tony Soprano (James Gandolfini). Mentre la dottoressa Melfi (Lorraine Bracco) aiutava Tony a capire meglio se stesso e le sue relazioni con la moglie Carmela (Edie Falco), la madre Livia (Nancy Marchand), il nipote Christopher (Michael Imperioli) e i pericolosi idioti della sua banda, la disamina crudamente cupa dell’America nel bel mezzo del cambio di secolo ha mandato in fumo qualunque regola scritta, e non, della narrazione televisiva formalizzata fin dai tempi di Gunsmoke. La semplicità e l’accompagnare il pubblico erano ormai concetti superati, sostituiti da una grande complessità narrativa e morale, fino a giungere a una sequenza finale che ancora non possiamo dimenticare.

Da Rolling Stone USA

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