Sky e NOW
Creata da uno degli sceneggiatori di Succession Will Tracy e starring Kate Winslet, nei panni della leader autocratica di una piccola nazione situata da qualche parte nella Mitteleuropa, con echi di Putin e di Trump. Il problema però è che Tracy e i suoi non sembrano sapere sempre bene cosa stiano satireggiando, né quale sia il tono che vogliono usare. E così The Regime finisce per non essere né una commedia dark né un drama avvincente. Ancora più frustrante è lo sforzo per raggiungere l’equilibrio tra assurdità e pathos che ha fatto sì che satire come Il dottor Stranamore funzionassero così tanto negli anni Sessanta. Se poi in qualche modo ti paragoni al capolavoro di Kubrick hai perso in partenza.
Prime Video
Era prevedibile? Probabilmente sì. Perché invece di correggere gli inciampi narrativi della prima stagione, la serie li ha raddoppiati, a volte triplicati, continuando a sprecare assurdamente tutto il suo potenziale (leggi l’opera di Tolkien). Certo, l’unico lavoro precedente dei due showrunner, J.D. Payne e Patrick McKaydue, era un prima bozza non accreditata di Star Trek: Beyond. E si continua a vedere. Troppi retroscena e trame minori che non portano da nessuna parte, una narrazione non lineare, scene di battaglia praticamente vuote (a fronte di un budget-monstre), recitazione sottotono, magia e mistero praticamente svaniti. E le battute di Sauron sembrano scritte dall’IA.
Disney+
La prima metà non va da nessuna parte, come The Book of Boba Fett. Amandla Stenberg non riesce a interpretare credibilmente una coppia di gemelle alle prese con un gruppo di Jedi, ma d’altra parte la showrunner Leslye Headland e i registi faticano altrettanto a differenziarle. La serie è una delle prime nel suo genere, visto che esplora sia la storia dei Sith sia il potenziale di una corruzione in cui i Jedi – i pilastri morali della galassia – non sono nel giusto. Ma è discontinua, usa poco e male Carrie-Anne Moss e un budget enorme (si parla di oltre 100 milioni di dollari). E la decisione di ambientarla un secolo prima dell’ascesa dell’Impero sembra vanificare lo scopo dell’intera faccenda, perché pare che i Jedi della Minaccia fantasma non abbiano davvero imparato niente. È stata cancellata dopo la prima stagione, anche per l’assurda campagna di odio razzista che ha generato.
Prime Video
Il nuovo adattamento del cult del 1999 starring Sarah Michelle Gellar, Ryan Phillippe e Reese Witherspoon (già ispirato al classico della letteratura francese Le relazioni pericolose) ovviamente è un flop. A partire dall’infelice, quasi comico miscasting degli attori – Sarah Catherine Hook, Zac Burgess e Savannah Lee Smith –, perché una storia come Cruel Intentions funziona solo se gli enfants terribles al centro ribollono di sex appeal e carisma. E invece qui sono insipidi e poco credibili. Mettiamoci anche che, nell’era post-#MeToo, la trama sembra vecchia, obsoleta, perfino bizzarra. Non parla a chi l’università la frequenta oggi né aggiunge nulla di nuovo alla storia originale.
Apple TV+
La sequenza d’apertura – un uomo che si muove in un magazzino buio con una torcia elettrica e si imbatte in una grande scatola – è un’anticipazione di quello che verrà: un sacco di confusione, che non ripaga minimamente di tutto il tempo speso. La serie Apple con Joel Edgerton e Jennifer Connelly è tratta da un bestseller di successo di meta anni ’10, ma arriva in clamoroso ritardo rispetto a tutti i “mondi” (dal MCU in giù) che abbiamo già visto e stravisto. In più Dark Matter fatica a sfruttare le possibilità offerte dalla sua premessa. E se i personaggi e i loro conflitti non sono entusiasmanti, il multiverso stesso non è molto più inventivo. A un certo punto s’era pensato di far diventare Dark Matter un film, e sarebbe stato decisamente meglio: nove ore sembrano una punizione.
Disney+
Le premesse era ottime: uno spy thriller scritto da Mister Peaky Blinders Steven Knight e interpretato dalla star di The Handmaid’s Tale Elisabeth Moss, alias una spia in crisi d’identità. Peccato però che sia bloccata in una sceneggiatura in una crisi ancora più grande: se le parti in cui la protagonista prende a calci il mondo, cambia continuamente nome e sorride maliziosamente sono appassionanti, più The Veil esplora il suo tragico retroscena più diventa impenetrabile, sia nella trama che nelle emozioni. C’è un approccio superficiale alla storia, tanto da desiderare che quella fosse la vera serie, anziché una copertura per la storia che Knight voleva raccontare. E ci sono climax senza senso, con i personaggi che prendono decisioni enormi apparentemente a caso.
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Ricordate quando Billy Crystal presentava gli Oscar e spesso parodiava pezzi di Il sesto senso? Ecco, qui è dentro a un wannabe (e sottolineiamo WANNABE) thriller psicologico à la M. Night Shyamalan fino al collo. Crystal è un terapista ancora in lutto per il suicidio della moglie, che prende in cura un ragazzino problematico e rimane scioccato nel realizzare che le allucinazioni del paziente continuano a incrociarsi il suo passato. L’attore è abbastanza credibile, ma non ha abbastanza gravitas o carisma per compensare una storia noiosa, ripetitiva, senza idee e difficile da prendere sul serio. Anche Before avrebbe potuto essere un film, senz’altro poco interessante, ma almeno sarebbe stato lungo un’ora e mezza anziché 5. E non aspettatevi una spiegazione vagamente interessante del mistero al centro della trama, perché non c’è.
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Rarissimo caso di show (dal romanzo di Laura Lippmann) in cui il vero problema è il “grande nome”, e cioè il premio Oscar Natalie Portman. Maddie (Portman) è una donna ebrea della Baltimora di metà anni ’60 che vuole reinventarsi come giornalista. Ci riesce quando il corpo di Cleo Johnson (Moses Ingram), una donna nera che diventa “la donna del lago”, viene ritrovato grazie a un suo reportage. Di solito Portman è una certezza, ma qui è troppo studiata, manierata. Invece di vedere il personaggio, si vede Natalie Portman che ce la mette tutta per interpretarlo e fatica a sembrare emotivamente presente. La sua Maddie diventa persino distruttiva per la serie, perché cerca sempre di risucchiare tutto l’ossigeno nella stanza, e questo resta un limite difficile da superare, soprattutto davanti all’ottima interpretazione di Ingram (La regina degli scacchi), che rimane però giocoforza secondaria.