‘M – Il figlio del secolo’ è solo l’inizio (purtroppo per la Storia e per fortuna per il cinema) | Rolling Stone Italia
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‘M – Il figlio del secolo’ è solo l’inizio (purtroppo per la Storia e per fortuna per il cinema)

Dopo una visita di ricognizione a Predappio, abbiamo parlato con gli sceneggiatori della serie più discussa (e bella e necessaria) dell'anno per fare un bilancio della situazione ora che è quasi finita. O forse è appena iniziata

‘M – Il figlio del secolo’ è solo l’inizio (purtroppo per la Storia e per fortuna per il cinema)

Luca Marinelli nei panni di Mussolini in 'M – Il figlio del secolo'

Foto: Sky

“Le tue idee vivono attraverso le future generazioni”.
“La Storia ti sta dando ragione”.
Arbeit macht frei”.

È gennaio, un nuovo anno cruciale è iniziato da pochi giorni e queste sono alcune delle scritte che si trovano sul libro delle firme posizionato nella cripta Mussolini a Predappio. Nonostante l’orario di chiusura imminente, tre famiglie e un gruppo di sei ragazzi sui vent’anni stanno onorando il fu Duce. L’addetto alla sicurezza racconta la storia del mausoleo, omettendo di menzionare gli ultimi tormentati anni fatti di chiusure, liti con il Comune e tra gli eredi. C’è un cartello che proibisce di fare foto, ma è lo stesso uomo del servizio d’ordine a invitare a scattare. Se questo fosse un popolo capace di rispettare le regole, d’altra parte, il Duce non sarebbe mai diventato tale.

Al fondo della collina c’è il nucleo abitato di Predappio, un tempo modesta frazione chiamata Dovìa, divenuta una specie di Betlemme romagnola durante il Ventennio per compiacere il Duce ed evitare di finire sotto la frana che minacciava il borgo antico. Qui la casa dell’ex fabbro del paese, Alessandro Mussolini, è stata trasformata in un museo, seconda tappa obbligata della visita ai luoghi sacri del regime che ci meritammo. Altro libro, altre dediche. 

“L’uomo di cui oggi l’Italia avrebbe bisogno”.
“Cerca di reincarnarti e risolvi questa situazione di merda che abbiamo in Italia oggi”.
“Grazie per le opere fatte”.

Quelli erano i giorni in cui, attesissima, la serie M – Il figlio del secolo aveva fatto il suo esordio su Sky e NOW, due puntate cui ne sarebbero seguite altre sei: le ultime saranno disponibili da stasera, a chiudere un mese in cui sembra che nel nostro Paese non si sia parlato d’altro. 

Luca Marinelli è Benito Mussolini. Foto: Sky

Visto da Predappio, un posto in cui via Giacomo Matteotti si trova a una manciata di metri da un negozio di souvenir del fascismo, questo dibattito appare al contempo assurdo e inevitabile. Contraddittorio, attorcigliato sulle proprie miserie, sempre in cerca di una botta di culo e mai di redenzione, questo è il Paese che racconta M, come prima di lui, meravigliosamente, hanno fatto i quattro tomi a cui si ispira, scritti da Antonio Scurati. Questa è l’Italia che ha accolto con strali, polemiche e critiche da bar la trasposizione cinematografica (perché di Cinema si tratta) a cura di Joe Wright del più importante romanzo della nazione contemporaneo. Una conferma dell’attualità del soggetto e dell’inemendabilità di tutti i vizi e i difetti che l’opera attribuisce, per tramite del suo protagonista, a tutti quanti noi.

«Più che aspettarci tutte queste polemiche, le auspicavamo», esordisce Stefano Bises. Sessant’anni, sceneggiatore di serie e film italiani tra i più originali e ben fatti come Gomorra – La serie ed Esterno notte, è in collegamento assieme al suo collega Davide Serino, che di anni ne ha 36 ed è il nome nuovo e più convincente tra coloro che stanno contribuendo a cambiare la scrittura della serialità italiana. Dietro di loro c’è una grande libreria. «Se la serie fosse passata sotto silenzio o fosse stata considerata solo per la qualità artistica, ne saremmo rimasti delusi», prosegue. «Almeno io, che avevo un obiettivo politico. Per me è sempre importante trasmettere dei messaggi, e la forma che abbiamo scelto per M serviva proprio a renderla il più possibile ampia e contemporanea. È una storia di cent’anni fa che parla al presente: il dibattito che si è creato dimostra questa contemporaneità».

M - Il Figlio del Secolo | Nuova serie | Trailer Ufficiale

Serino offre delle conferme e aggiunge un punto. «Le critiche da destra erano tutte prevedibili e previste, personalmente me ne sarei aspettata una anche da “sinistra”. L’accusa di aver reso Mussolini cool e del rischio emulazione. Quella non è arrivata, nonostante fossimo consapevoli del rischio. Non abbiamo mai negato che, nonostante la serie mostri da subito le sfaccettature orrende di Mussolini, il tono iniziale è più leggero. Era una scommessa: avvicinare lo spettatore, per poi colpirlo duramente con il passare delle puntate, rendendo il tutto sempre più cupo».

I due dimostrano di aver letto tutto, o per lo meno buona parte, di quello che è stato scritto su di loro. Centinaia e centinaia di articoli, editoriali, commenti dei principali organi di informazione italiani, che hanno schierato sulla materia i loro più affilati polemisti, critici televisivi, divulgatori storici. Per non parlare dei social. «Direi che da destra le accuse si dividono in: errori storici, semplificazioni, “la serie è grottesca” e l’immancabile “basta con questa ossessione per il fascismo”. Non ci possiamo fare niente: il loro è un rifiuto ideologico, semplicemente non accettano che trattiamo questo contenuto», dice Bises. 

Passiamo in rassegna le varie questioni sollevate. «Tornando sulla questione del grottesco», continua Bises, «ci siamo ispirati alla commedia italiana degli anni ’50 e ’60, con quei ritratti di italiani un po’ furbi, vigliacchi, cinici. Questa scelta aveva un obiettivo preciso: demolire l’immagine propagandistica di Mussolini, quella tramandata dall’Istituto Luce e che da un punto di vista visivo è la sola o quasi che sia giunta a noi. Quello che abbiamo raccontato è un uomo diverso, più vero».

M – Il Figlio del Secolo | Nasce il fascismo

«La realtà spesso supera il grottesco», aggiunge Serino. «La Marcia su Roma è un episodio emblematico: un’operazione male organizzata, con Mussolini pronto a scappare in Svizzera alla prima avvisaglia di disfatta. Questo tratto ridicolo è tipico del fascismo. Tutto ciò non sminuisce la tragedia, casomai la rende più evidente».

Veniamo agli errori storici, tema sollevato ad esempio dallo storico Giordano Bruno Guerri. «Sono state fatte scelte consapevoli, le semplificazioni erano necessarie per farne un’opera cinematografica. Sapevamo, ad esempio, che Mussolini negli anni rappresentati non aveva ancora la patente da aviatore, ma abbiamo deciso di mostrarlo così per ragioni narrative. Ci sono storici che hanno eccepito su questi dettagli, ma ce ne sono altri, autorevoli, che hanno confermato che i passaggi fondamentali descritti, come la Marcia su Roma, l’applicazione della legge maggioritaria, il rapporto con la Chiesa, sono andati esattamente così, e questo per noi è ciò che conta davvero. L’essenza della storia è autentica».

Molte delle polemiche sollevate (non tutte, chiaramente), oltre a delineare perfettamente il profilo di chi le ha prodotte, toccano impressionanti vette di assurdità. O meglio, a una prima lettura sembrano tali. In realtà sono nella maggior parte dei casi pretestuose e più che consapevoli della necessità, in questi frangenti, di avvelenare i pozzi. Tra tutte, la più infame – e non a caso quella che è penetrata più a fondo nel dibattito pubblico – è stata quella che ha riguardato il protagonista della serie, Luca Marinelli, come sempre incredibilmente bravo nel ruolo di Mussolini. «Luca ha vissuto una trasformazione molto profonda per questo ruolo», dice Bises. «Ha iniziato a prepararsi mesi prima, ha preso venti chili, durante gli otto mesi di lavorazione è stato sul set praticamente ogni giorno, perché era sempre in scena. Se un attore restituisce una prova artistica così gigantesca e denuncia una sofferenza, penso che meriti rispetto. Non si tratta di fare paragoni insensati con altri attori come Bruno Ganz, che non si è lamentato per aver interpretato Hitler: ognuno è diverso, e vive le cose a modo proprio. Le accuse che ha ricevuto Luca sono di una volgarità inqualificabile».

Luca Marinelli in una scena della serie. Foto: Sky

I due sceneggiatori – ma forse sarebbe meglio dire screenwriter, visto che a tutti gli effetti il loro è un ruolo di direzione creativa che va oltre la scrittura, come conferma la loro presenza costante sul set – come hanno vissuto il confronto con un personaggio e un’epoca storica così permeata nella nostra cultura e polarizzante? «La nostra responsabilità era centrale: quella di raccontare, scrivere, evitare errori storici e, nel tono, trasmettere il messaggio giusto. Personalmente sentivo molto il peso di quello che maneggiavamo, perché provengo da una famiglia perseguitata dal fascismo. Tuttavia, non definirei questo lavoro sofferenza, è stata un’esperienza entusiasmante», spiega Bises.

Aggiunge il collega: «Non volevamo sfuggire alla sfida di raccontare Mussolini come protagonista della storia, anzi l’abbiamo portata al limite, restando con lui tutto il tempo e rompendo la quarta parete. Non volevamo trattare Mussolini come un mostro distante, ma come un essere umano, perché è più facile assolversi se lo si vede come qualcosa di lontano». Ci sono momenti come il già celebre “Make Italy Great Again” pronunciato da Marinelli in camera in cui l’attualità irrompe nella serie. Altri in cui i riferimenti appaiono meno diretti, eppure non impossibili da cogliere. I parallelismi tra i fatti di un secolo fa – il celebre discorso in Parlamento che rivendica l’omicidio Matteotti, al centro delle ultime puntate, è del 3 gennaio 1925 – e quello che accade oggi in Italia e nel mondo sono parecchi, e parecchio inquietanti. «Al recente congresso della AfD in Germania i cosiddetti “impresentabili”, che fino a poco fa erano l’anima del partito, sono improvvisamente spariti, lasciando spazio alla borghesia. A me ricorda qualcosa. Nel suo discorso di insediamento, Trump ha usato tutte le tecniche del populismo già in voga allora: alimentare paure, costruire nemici, sfruttare l’insicurezza».

Foto: Sky

E come Mussolini ora pretende di decidere tutto lui, di essere lo Stato. Se la serie non fosse stata così attuale, se molti non si fossero sentiti tirati in causa, d’altra parte, non avrebbe suscitato simili reazioni. Prosegue Stefano Bises: «Non si tratta di raccontare un fascismo storico con camicie nere e bastonature, ma di mostrare quanto le dinamiche non siano lontane da quelle contemporanee: la compressione degli spazi di dissenso, l’uso punitivo delle leggi contro il disagio sociale, l’insofferenza verso la separazione dei poteri». «È il cortocircuito che abbiamo voluto affrontare», dice Davide Serino. «Quando cominci a togliere pezzi di libertà in cambio di un presunto benessere, la casa viene giù. È così che questi sistemi si infilano nei gangli: togliendo un mattoncino alla volta. L’ultimo episodio mostra come Mussolini abbia preso il potere anche grazie a milioni di italiani che si sono prostrati a risposte semplici e figure paterne e “divine”. Questo scambio tra diritti e soluzioni facili è un errore che non bisognerebbe mai più ripetere».

L’ultima domanda, a poche ore dall’arrivo delle puntate finali di M – Il figlio del secolo e degli ultimi spari a salve di polemica che sicuramente le accompagneranno, riguarda il futuro. Antonio Scurati ha già scritto altri tre libri su Mussolini, entro il 25 aprile ha annunciato che arriverà il capitolo finale, quello di Salò, della Resistenza e di piazzale Loreto (non è uno spoiler, è la Storia). Cosa vedremo in Tv di tutto questo? «Quel che è certo è che non vogliamo finisca qui», rispondono i due sceneggiatori. «Nessuno vuole che finisca qui. Questo è il racconto compiuto della nascita di una dittatura, ma è solo l’inizio, ci sono ancora storie strepitose da raccontare. Stiamo discutendo sul formato migliore per proseguire».