Immagini sfocate, echi lontani e indistinti, odori acidi, un colpo di pistola nella notte, una storia. Troppo poco come riassunto di un intero racconto. Forse è impossibile dire cosa e come sia stato. Ho perso la memoria.
Il primo giorno di set, le poche prove che il cinema ti consente, la macchina alle nostre spalle di lì a poco esplosa, io e Salvatore tra le fiamme. Faccia a faccia, con quel modo che ci siamo inventati di stare a un centimetro che è diventato linguaggio di una serie.
Seduzione e minaccia, sempre tesi a sferrare il colpo o a stringerci in un abbraccio. La SCENA. Quella dell’iniziazione, un sacrificio ai danni di nessuno che, ironia della sorte, si chiamava Felice. La fine dei giochi. L’odore della polvere da sparo. La paura del gesto assassino.
‘O figlio mio s’è fatt’ ‘omm! Mia figlia, io sono stato padre e non dimentico i suoi occhi, il profumo della pelle bambina, lo slancio dei suoi abbracci… fa’ ‘a brava, e poi una lacrima lunga e profonda come un fiume.
Le case scassate, i vetri rotti le strade sfondate, la gente. Quanta gente. All’alba, a notte. Quanta gente. E poi ‘e creature, i bambini dei quartieri. Quel guizzo di vita, quella furbizia assassina, quell’intelligenza istintiva. Avrei voluto portarli via con me, tutti, ogni giorno.
Ciro. Ciro che non parla. Ciro che si fuma la vita. Ciro che rimane solo. Ciro piegato, Ciro vinto, Ciro sconfitto, Ciro morto. Non hai paura di rimanere ingabbiato nel tuo personaggio? Ciro non è galera, Ciro è libertà, difficoltà assoluta, montagna, abisso. Mia croce-mia delizia.
L’ultimo giorno di set c’era il sole, abbiamo pianto un po’ senza nasconderci troppo, io ho detto parole che non ricordo. Guardavo la mia gente negli occhi. È finita, ho detto, è finita. Quanto tempo è passato? Cosa è successo? Cosa è stato? Impossibile dire cosa e come. 5 stagioni. 8 anni. Una notte. Questa. L’ultima. Spara!