Nicole Kidman può venderci tutto, anche le boiate | Rolling Stone Italia
Ritratto di Babygirl

Nicole Kidman può venderci tutto, anche le boiate

A Venezia ha fatto discutere ‘Babygirl’, per cui ha vinto la Coppa Volpi. Ora su Netflix la serie più vista è la sua: ‘The Perfect Couple’. Che segue la strada zarro-chic di precedenti come ‘The Undoing’ e ‘Nine Perfect Strangers’. Ma se c’è lei, ogni cosa è illuminata

Nicole Kidman può venderci tutto, anche le boiate

Nicole Kidman in ‘The Perfect Couple’

Foto: Netflix

L’ultima Mostra di Venezia si è chiusa con una nota triste, l’avrete letto. Nicole Kidman era arrivata per ritirare la Coppa Volpi vinta con Babygirl e poche ore dopo ha saputo che era morta sua madre in Australia, dunque niente red carpet luccicante, niente foto con il Leone d’oro Pedro alla cena di chiusura. Il premio a Kidman è un premio anche a una carriera intera, una carriera sfrenata, libera, coraggiosa nelle scelte persino pazze, certe volte. Ma anche un premio dato con convinzione dalla giuria presieduta da Isabelle Huppert a un film e un ruolo che, appunto a Huppert, sono evidentemente risultati parecchio stuzzicanti. Piaccia o meno, Babygirl è stato uno dei film di cui si è discusso di più, almeno nei primi giorni di festival. Credo che Huppert sia stata stuzzicata dal fatto che è una specie di Elle, certo con esiti diversi rispetto alla scatenata autarchia politica e sessuale dell’olandese Paul Verhoeven, anche se pure Babygirl è scritto da un’olandese, Halina Reijn, però molto americanizzata.

Le scelte coraggiose di Kidman, dicevo. Ma, mi ha detto mea amiga Nicole sul tappeto rosso, a questa cosa del coraggio lei non ci ha mai creduto granché, se mai c’è questa musa che la chiama, e lei va dove la porta, nella vita e nel lavoro. Dev’essere una musa molto simpatica e un po’ birichina, considerati i ruoli di adesso e di sempre, anche quelli che le sono costati critiche violentissime (e che erano invece prove meravigliose: il mio adoratissimo Birth, e Fur, e più avanti The Paperboy).

Nicole Kidman e Harris Dickinson in ‘Babygirl’ di Halina Reijn. Foto: A24

“Nicole Kidman lavoricchia”, dicevamo con un’amica all’inizio degli anni Duemila, quando lei, giustamente, faceva tutto. Avevamo appena visto, in un cinema di Londra, Ritorno a Cold Mountain, e Kidman veniva, solo quell’anno, da Dogville e La macchia umana. L’anno prima c’era stato l’Oscar per The Hours, e prima ancora la doppietta Moulin Rouge! e The Others. (E volutamente tralascio Gus Van Sant, e Jane Campion, e Kubrick, eccetera.) Non c’era un’attrice come lei, non ci sarebbe probabilmente mai più stata.

Poi qualcuno dice che è stata colpa dei ritocchini, o delle scelte sbagliate. La musa è stata forse dispettosa. Il remake di Vita da strega, nonostante Nora Ephron; e Invasion, La bussola d’oro, Nine; e Australia, che ha tutt’oggi i suoi estimatori (col senno di poi, mi ci metto pure io), ma che all’epoca non riuscì a ricreare la magia luhrmanniana di Satine sui tetti di Parigi. Ma Nicole era ancora lì, col suo fuoco sempre acceso, con la musa che la chiamava, e lei si buttava.

Nicole Kidman e Alexander Skarsgård in ‘Big Little Lies’. Foto: HBO

Sono tornati, col tempo, i ruoli nel cinema d’autore (il sottovalutatissimo Il matrimonio di mia sorella di Noah Baumbach, il fiammeggiante Stoker di Park Chan-wook), e le nomination agli Oscar (Rabbit Hole, Lion, A proposito dei Ricardo). Ed è arrivata la Tv, in cui Kidman si è lanciata sempre senza freni, e soprattutto senza snobismo. Se c’è una cosa che non si può imputare alla più grande attrice degli anni Duemila, e tra le più grandi di sempre, è appunto lo snobismo nelle scelte.

È arrivata Big Little Lies, che ha scardinato il modo di pensare la serialità oggi: prestige nei nomi (c’erano, lo sapete, anche Reese Witherspoon, Laura Dern, nella seconda stagione Meryl Streep), ma negli esiti molto popolare, pure troppo, ai limiti del kitsch. C’era il gioco molto camp fra le attrici, e il real estate porn, e il glamour che mancava alla Tv che si prendeva ormai molto sul serio (abbiamopiùsoldidelcinema era diventato negli anni siamomegliodelcinema). La formula era perfetta, dunque perché non replicarla?

Nicole Kidman con Liev Schreiber in ‘The Perfect Couple’. Foto: Netflix

Ecco dunque The Undoing, sempre ricconi stavolta newyorkesi con segreti e bugie (e altri cadaveri ancora caldi). E Nine Perfect Strangers, dove Nicole è una specie di santona che parla in mezzo russo: un’altra mezza boiata, un’altra roba irresistibile di cui avremmo visto altre duecento puntate. In mezzo l’intermezzo d’auteur (Top of the Lake di Jane Campion) e una serie corale scombinata che non si è filato nessuno, ma in cui era sempre follemente spudorata (l’antologica Roar: Nicole è una donna che, per conservare la memoria, si mette a mangiare le fotografie, e come non amarla). Fino a Expats, una serie sempre a sfondo upper class, ambientata a Hong Kong, e pure d’autore (dirige la Lulu Wang di The Farewell) che inaspettatamente è passata pressoché inosservata – è su Prime, recuperatela anche solo per l’episodio 5.

“Nicole Kidman lavoricchia” ancora adesso, tantissimo. Perché è la più brava, la più – perdonami – coraggiosa: in Babygirl si fa vedere mentre le fanno le punturine in faccia, e quale altra attrice accetterebbe una cosa simile. Adesso è arrivata The Perfect Couple, la serie al momento più vista su Netflix. Ancora ricchi, ancora villozze (stavolta a Nantucket), ancora cadaveri. E Nicole che goes “mammina cara” e si diverte per prima a sguazzare nel solito kitsch travestito da prodotto intellò (dirige Susanne Bier, la danese di Dopo il matrimonio, ma anche dell’Undoing di cui sopra). In due mi hanno detto che per loro The Perfect Couple è un capolavoro, quindi forse ha ragione Nicole. Ma Nicole ha ragione sempre, perciò continua a seguire la tua musa, e noi vi seguiremo ovunque andrete. Possibilmente in belle case come sempre, grazie.