La rom-com con modelli precisi (e ben imitati)
Si può fare una rom-com per come intendiamo le rom-com (cioè all’americana: la coppia di protagonisti carucci serendipicamente incasinati, gli amici goofy, le pillole di saggezza dispensate dai soliti comprimari “adulti”, eccetera) a Napoli? Sì. Il collettivo The Jackal amplia gli orizzonti local e firma per Netflix una specie di omaggio a tutte le rom-com con cui siamo cresciuti. E cresce. Perché, scriviamolo grande e grosso, questa NON è solo una serie dei Jackal (anche se sì, il deus ex machina è il regista storico del gruppo, Francesco Ebbasta), piuttosto una deviazione in altri territori, con altre facce (anche se non mancano Gianluca Fru e Fabio Balsamo, caratteristi perfetti, ci arriveremo) e, appunto, con un senso dello storytelling notevolissimo. Che riesce a riadattare modelli precisi in modo originale, intelligente e, soprattutto, nostrano. Come pochi hanno saputo fare in passato.
Questo sì che è un cast
Dai supporting-certezza ai lead emergenti (grandi e piccoli), il cast funziona alla stragrande. E non è un’affermazione che si può fare sempre su prodotti italiani, purtroppo. Qui invece è tutto perfetto, a partire dalla quota Jackal: lo stralunato Fru e il troisiano Fabio Balsamo nei panni dei migliori amici del protagonista. Che è interpretato da Angelo Spagnoletti (la somiglianza con Luca Marinelli è abbastanza impressionante, ma andate oltre perché il ragazzo ha pure talento). L’eroina romantica invece ha il volto di Cristina Cappelli, altro nome nuovo da tenere d’occhio. Il resto lo fa la chimica micidiale tra loro. Tra le facce già viste poi c’è Claudia Tranchese (Sotto il sole di Riccione), alias la BFF della protagonista. Menzione speciale per gli attori che li interpretano da bambini.
L’effetto “come eravamo”
Generazione 56k parla soprattutto a chi è nato negli anni ’80 e cresciuto tra la fine dei ’90 e l’inizio dei 2000. I millenial, insomma, quelli che, abituati a floppy disk, videocassette e walkman, di colpo se la sono dovuti vedere con la rivoluzione di Internet, a partire dal rumore inconfondibile del modem 56K che per la prima volta portava la rete nelle case. La serie è un tenerissimo omaggio al “come eravamo”: i ragazzini che usavano i miracoli della tecnologia per trafficare timidamente qualche porno e tirare su due spiccioli per comprare biglietti dei concerti alla cotta del momento, le ragazzine che cantavano a squarciagola Come mai degli 883 nelle camerette tappezzate di poster, sognando grandi amori. Tuffi nel passato, in particolare in una Procida malinconica e mediterranea che ricorda le atmosfere del Postino, e ritorni al presente in una Napoli più che mai contemporanea (vedi più avanti). Un effetto-nostalgia mai troppo cercato o forzato, ma che fa naturalmente sorridere. E fa bene al cuore.
Napoli: oltre Gomorra c’è di più
C’è vita oltre Gomorra. E, soprattutto, c’è Napoli. Sempre ripresa nei suoi vicoli e nei suoi cortili, ma anche città giovane, dinamica, spinta verso il futuro quale è. Non stona affatto che un’agenzia di app simil Silicon Valley sia a un passo da Mergellina, né che la città tutta sia una piazza (letteralmente) in cui insieme ci si perde e ci si incrocia, come nelle migliori commedie newyorkesi. Tra i meriti principali di Generazione 56k, c’è quello di aver portato Napoli fuori dall’immaginario crime che l’ha caratterizzata (benissimo, eh) negli ultimi anni di cinema e serie. Rendendola scenario perfetto per storie nuove.