Paper Girls è a dir poco geniale. Ma mica perché è una serie ben fatta. È geniale perché inaugura una nuova era dei copia-e-incolla televisivi: quelli che cavalcano il lutto seriale degli abbonati altrui. Ma partiamo dal principio. Come sapete – la maggior parte di voi ne è al corrente per esperienza diretta – il 1° luglio Netflix ha mandato in onda le due puntatone finali di Stranger Things 4: quattro ore di battaglie interminabili che, a conti fatti, non sono state altro che un gigantesco preambolo per la stagione numero 5. Insomma, Netflix ci ha mollato lì, nel bel mezzo della pugna, dandoci una calorosa stretta di mano all’insegna dell’«arrivederci e grazie, le faremo sapere». Il quando non si sa: di certo non ora, non subito, come invece avrebbero desiderato i fan della serie.
Ed è qui che si insinua Amazon Prime Video: con un tempismo commercialmente perfetto, la piattaforma concorrente attrae a sé tutti gli orfani di Undici & friends promettendo loro di riportarli in quel mondo. Perché Paper Girls, disponibile dal 29 luglio, di fatto è quel mondo lì e lo si capisce fin dalle sfacciatissime prime immagini promozionali, dove quattro ragazzine, di spalle, osservano interdette una nube rosa che avanza sopra la città. Cosa vi ricorda? Esatto, il Sottosopra e i beniamini di Stranger Things. Il déjà-vu continua, anzi si ingigantisce, con la visione delle puntate: ovvio, qualche particolare della storia cambia, ma è poca cosa. Paper Girls è infatti ambientata nel 1988 e vede protagoniste quattro ragazzine: Tiffany Quilkin (Camryn Jones), Erin Tieng (Riley Lai Nelet), Mac Coyle (Sofia Rosinsky) e KJ Brandman (Fina Strazza). Non sono amiche di vecchia data ma colleghe: per motivi diversi, ognuna di loro è una paper girl, ossia una “ragazza dei giornali”. Li consegnano, sfrecciando all’alba in bici per i quartieri americani.
Il quartetto si conosce alla puntata numero uno, che poi è anche la notte di Halloween, e fa subito squadra prima contro il cliente razzista di turno (Erin è asiatica, Tiffany afroamericana), poi contro una baby gang che vuole picchiarle (ma non ce la fa). Il messaggio sotteso arriva forte e chiaro: le fanciulle sono piccole ma toste. Delle vere antesignane del girl power. Le quattro solidarizzano quindi velocemente, e decidono di distribuire insieme le copie dei giornali tenendosi in contatto con dei walkie talkie. E già qui abbiamo due elementi tipici dell’immaginario di Stranger Things: le biciclette e le ricetrasmittenti che prendono ovunque, persino a chilometri di distanza. Per la cronaca: quando ero piccola, le mie mi piantavano in asso già due stanze più in là…
Ma dicevamo: ci sono gli anni ’80, le bici, gli eroi bambini, i walkie talkie magici e pure il Sottosopra. Anche se qui, tecnicamente, si chiama 2019: per una serie di motivi che non spoileriamo, le ragazzine vengono catapultate nel futuro e, fidatevi, non sarà meno inquietante del Sottosopra. Conoscere le proprie se stesse in versione adulta è un vero e proprio ribaltamento di prospettiva, non sempre gradevole. Qualcuna scoprirà addirittura di non aver un proprio alter ego, essendo morta prematuramente. Insomma, c’è tutto quello che serve per infondere l’impressione di essere ancora a Hawkins e questo, a meno di 30 giorni dalla fine della quarta stagione, rappresenta un punto di forza, non un limite. Se siete discretamente disperati per la fine di Stranger Things, finirete infatti per bervi Paper Girls tutto d’un fiato. Perché un surrogato di Undici è sempre meglio del nulla seriale. Purtroppo però, come dicevamo, la somiglianza tra i due titoli è solo superficiale e lo capisci quando, alla puntata numero due, arrivano i Power Rangers. No, ovviamente non parliamo di quelli veri, ma ci impiegherete anche voi almeno un minuto per rendervene conto.
Gli antagonisti di Erin & Co, ossia i viaggiatori del tempo, sono infatti conciati quasi come i Power Rangers, tradendo un look super fake da B-movie giapponese anni ’90. La caduta di stile, a livello estetico, è tale che l’unica spiegazione che riesci a darti è che qualcuno della troupe si sia giocato il budget al Superenalotto perdendolo tutto. Anche la recitazione scricchiola: si salvano giusto le quattro protagoniste, mentre il resto degli attori (viaggiatori del tempo, alter ego, Prioress, Grand Father e parenti vari) sembrano essere stati presi da una soap argentina. Non ultimo, si pone un grosso problema narrativo. I viaggi nel tempo non sono mai stati facili da gestire, men che meno da seguire con passione, ma diventano ancora più indigesti dopo un bagno nel politicamente corretto: dal girl power al razzismo, passando per l’attrazione saffica, Paper Girls passa in rassegna tutti i temi sociali del momento, ma lo fa come se dovesse riempire delle caselle. Sembra un compitino.
Durante il Comic-Con Brian K. Vaughan, co-produttore nonché creatore dell’omonima graphic novel, ha spiegato che Paper Girls non vuole essere l’ennesima storia nostalgia sugli anni ’80, ma mostrare come quegli anni avessero i loro grandi limiti. «Più che una lettera d’amore, è una minaccia di morte», ha dichiarato. Non ha tutti i torti: questa manfrina del “quanto ci mancano gli anni ’80” è diventata insopportabile. Anche quell’epoca aveva le sue belle rogne, e di alcune di esse ce ne siamo per fortuna disfatti. Tuttavia, sarebbe stato tutto più convincente se, per dimostrarcelo, Paper Girls avesse usato un’arma diversa dal politicamente corretto.