Perdetevi tutto, ma non ‘Disclaimer’, la prima serie di Alfonso Cuarón | Rolling Stone Italia
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Perdetevi tutto, ma non ‘Disclaimer’, la prima serie di Alfonso Cuarón

Starring un super-cast guidato da Cate Blanchett e Kevin Kline, è un thriller psicologico, ma non un thriller psicologico qualunque per concezione, costruzione, esecuzione e senso ultimo. È la prospettiva sulla serialità di uno dei Maestri del cinema contemporaneo

Perdetevi tutto, ma non ‘Disclaimer’, la prima serie di Alfonso Cuarón

Cate Blanchett in 'Disclaimer'

Foto: Apple TV+

Disclaimer per Disclaimer (pardon), aka la mia clausola di esclusione di responsabilità: per evitare di rovinarvi la visione (e anche perché ci hanno mandato una luuunga lista di ben 16 spoiler da evitare), cercherò di non anticiparvi nulla. Ma sia messo agli atti che è una mission: impossible parlare di questa serie senza dire quello, senza scrivere questo, senza rivelare quest’altro, quindi farò del mio meglio. Insomma: non garantisco, ma ci provo.

All’inizio della nuova serie (la prima, ci arriviamo) di Alfonso Cuarón c’è un disclaimer, che poi in qualche modo ci si dimentica. O almeno, a me è successo così. Sarà stato forse l’incanto della sala, ché ho visto tutti gli episodi alla Mostra del Cinema di Venezia in due parti (l’eterno dualismo cinema-serialità cancellato nel giro di un’anteprima mondiale, ma questa è un’altra storia). Dopo la visione dei primi quattro capitoli, con i colleghi ci siamo detti: “È tutto bellissimo, ma adesso?”, temendo la sempre più frequente serializzazione di quello che avrebbe potuto essere un bel film. E invece. Ancora non avevamo visto niente, e qui tocca fermarci.

DISCLAIMER* — Official Teaser | Apple TV+

Già, perché Cuarón debutta nell’universo seriale a gamba tesissima: ha ideato la serie (dall’11 ottobre su Apple TV+ con le prime due puntate, le altre arriveranno nelle prossime settimane), tratta dall’esordio letterario di Renée Knight, e ne ha scritto e diretto tutti e sette gli episodi, una full immersion a cui raramente registi di questa caratura si sottopongono, fermandosi spesso a dirigere i primi episodi. Il risultato è una cinematograficissima e spiazzantissima riflessione sul potere della narrazione, sulla manipolazione dei fatti e su come le convinzioni, i pregiudizi sociali, i preconcetti influenzino la nostra percezione della realtà. Lo dice ancora meglio il personaggio di Cate Blanchett, Catherine Ravenscroft, celebre giornalista e documentarista che ha fatto fortuna rivelando gli scheletri nell’armadio degli altri, quando riceve l’ennesimo premio della sua carriera: “State sempre attenti alla narrativa e alla forma. Il loro potere può avvicinarci alla verità. Ma possono anche essere un’arma con un grande potere di manipolazione”. Stop, ho già scritto troppo.

Cate Blanchett e Sacha Baron Cohen in ‘Disclaimer’. Foto: Apple TV+

Succede infatti che l’esistenza dorata di Catherine venga sconvolta da un romanzo che le viene recapitato, The Perfect Stranger, introdotto da un disclaimer, appunto: ”Ogni riferimento a persone realmente esistite, vive o morte, NON è puramente casuale”. Leggendo, sblocca ricordi che aveva faticato anni per seppellire e scopre con orrore che di quella storia non è soltanto la protagonista, ma addirittura la villain. Il libro poi inizia a comparire nella mani del marito Robert (Sacha Baron Cohen), del figlio Nicholas (Kodi Smit-McPhee), dei suoi colleghi… È la vendetta architettata da Stephen Brigstocke (Kevin Kline), ex insegnante vedovo in pensione, deciso a rovinarla dopo la morte del figlio Jonathan (Louis Partridge) e della moglie Nancy (Lesley Manville). Pure qua: non vado oltre. Prego.

Siamo nell’appartamento londinese extra lusso di Catherine nel presente, nella casetta working class di Stephen (ora e) in un passato relativamente recente e sulle spiagge del Forte (dei Marmi) vent’anni prima. I piani temporali e narrativi sono magistralmente intrecciati dal premio Oscar, grazie anche a delle mirabili trovate visive: tutte le sequenze di The Perfect Stranger – ad esempio – si aprono e si chiudono con un’inquadratura dell’iride. E ovviamente c’è la luce magnifica che caratterizza l’opera del cineasta messicano, courtesy of il “solito” Emmanuel Lubezki (che con Gravity di Cuarón vinse uno dei suoi tre Oscar) e un altro acclamato direttore della fotografia, Bruno Delbonnel (quello del Meraviglioso mondo di Amélie), che lavorano insieme per diversificare momenti, luoghi e atmosfere. Ci sono la potenza e la grazia registica di Cuarón ovunque, dalla direzione degli attori all’invenzione di scene hot girate meravigliosamente (Alfonso, va e insegna alla regista di Babygirl con Nicole Kidman come si fa).

Alfonso Cuarón sul set di Forte dei Marmi con il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki. Foto: Apple TV+

E poi c’è un cast clamoroso: Cate Blanchett che parte algidissima e aggiunge sfumature fino a cadere a pezzi (menzione speciale anche per Leila George, figlia di Greta Scacchi e Vincent D’Onofrio, che la interpreta da giovane e le corrisponde da far spavento); Sacha Baron Cohen finalmente tutto in sottrazione, lontanissimo dalle maschere che l’hanno reso Sacha Baron Cohen (un’amica mi ha chiesto: “Ma chi è quello?”, LOL); Kodi Smit-McPhee (Il potere del cane) e Louis Partridge (Enola Holmes) sempre più convincenti; una Lesley Manville che ha soltanto qualche scena, ma in quei pochi minuti è devastante. E, su tutti, un Kevin Kline larger than life, assoluto MVP della storia. Man mano che la trama si infittisce, entriamo nelle riflessioni più intime di ognuno di loro raccontate attraverso l’uso di un voice over anonimo, un espediente narrativo che toglie sensazionalismo e aggiunge profondità (e qualche tocco di dark humor, vedi l’uso di Ti amo di Umberto Tozzi) alla costruzione praticamente impeccabile della storia.

Kevin Kline in ‘Disclaimer’. Foto: Apple TV+

È un thriller psicologico, Disclaimer, ma non un thriller psicologico qualunque per concezione, costruzione, esecuzione e senso ultimo. È la prospettiva sulla serialità di uno dei Maestri del cinema contemporaneo. E non è soltanto addictive, imprevedibile, inquietante, scomodissimo. Ma, alla fine, perfino catartico. Nell’ultimo episodio c’è uno scambio strepitoso tra i personaggi di Cohen e Kline (no spoiler, come promesso), che dice TUTTO. “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”, come cantava De André. Perché Disclaimer non è quello che sembra. Ops.