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‘Petra’ è la serie al femminile giusta che arriva nel momento sbagliato

Sky ingaggia Paola Cortellesi per un giallo-rosa che ribalta con intelligenza i cliché (e i generi). È una buona notizia. Ma il rifiuto della protagonista delle relazioni umane ci fa male, in quest’infinita era Covid

Foto: Luisa Carcavale

Prima ancora che figa, supertecnologica e cara (sì, perché lo è), Sky è sempre stata un passo avanti a tutti. Per dire: quando la fiction veniva ancora cucinata con tanto family, mélo e perbenismo, lei ha scodellato la serie Romanzo criminale. Mentre le generaliste vivevano attaccate alle braghe dei loro eroi edificanti e meritevoli, Sky ha spalancato le porte dell’inferno di Gomorra, gettandoci dentro tutti i suoi abbonati. Dopodiché, ha liberato il mondo dalle pie agiografie televisive sfornando il più sexy, e tormentato, dei pontefici: The Young Pope (poi evolutosi in New, ma non divaghiamo, altrimenti qui si perde il filo). Insomma: Sky è avanti. Sempre. O quasi sempre.

Stavolta infatti tocca ammetterlo: nella tanto pubblicizzata “operazione Petra” quello che è mancato è stato proprio il tempismo. Petra è la nuova serie giallo-rosa della piattaforma (non a caso piazzata dal 14 settembre su Sky Cinema, come a voler ribadirne l’elevata qualità) e ambiva a rivoluzionare il mondo delle fiction facendo, sostanzialmente, due cose. La prima era portare un prodotto un po’ più largo all’interno del bouquet Sky che effettivamente, tra lotte finanziarie tra Diavoli e teen drama alla Euphoria, stava diventando un posto un tantino elitario. La seconda era costruire una fiction gialla con protagonista una donna lontana dagli stereotipi, le cui avventure fossero di appeal per un pubblico maschile. Che poi significa dare sostanza al concetto di parità tra sessi. L’uguaglianza inizia infatti quando i rispettivi immaginari narrativi riescono a dialogare e a contaminarsi reciprocamente. Ma la “quota rosa” da sola non basta, Sky l’aveva capito. E ha sfornato Petra, adattando i celebri romanzi della scrittrice spagnola Alicia Giménez Bartlett e arruolando un’attrice di calibro come Paola Cortellesi. Alla regia, Maria Sole Tognazzi.

Il progetto dunque era giusto. Azzeccatissimo. Peccato sia arrivato nel momento sbagliato. Petra è infatti è il personaggio femminile di cui tutti avevamo bisogno, ma non ora: non in pieno periodo Covid. La ragione è presto detta. Per non cadere nei soliti cliché alla Dr. House (protagonista geniale ma con una qualche malattia rara) o replicare il modello Rai (una versione pop di Imma Tataranni, per intenderci), si è puntato su una protagonista single, senza figli, dura, ruvida, anaffettiva. Dopo due matrimoni falliti alle spalle, la nostra ha messo la parola fine alla voce “relazioni”. Ma mica solo a quelle sentimentali. Nel calderone ci sono finiti un po’ tutti: ex, amici, sorelle, conoscenti, animali. Non riesce neppure a tenersi in casa un cane: al suo posto ha un ragno. «Non ti chiede niente, non fa nulla, non vuole niente: è il migliore amico dell’uomo», spiega nel primo episodio.

È una donna inquieta, che interroga spesso il prossimo su cosa voglia dire essere felici, ma di sporcarsi le mani con un legame non ci pensa proprio. Fa tanto sesso, questo sì, ma sta attenta a tenere i sentimenti fuori dalla camera da letto. Ecco, in piena fase-3-con-rischio-ritorno-fase-1, l’ultima cosa che vorremmo vedere e sentire è una donna che, libera da distanziamenti e mascherine, schifa le relazioni umane. Con tali premesse, non ce la facciamo a immedesimarci perché noi, al momento, ci scoleremmo un intero barattolo di amuchina per tornare alla nostra vita precedente: quella pre-pandemica, fatta di uscite con gli amici, incontri galanti, sputazzate involontarie. Il rifiuto della socialità di Petra è un pugno allo stomaco che lascia storditi. Ha un effetto respingente.

Paola Cortellesi con Andrea Pennacchi in ‘Petra’. Foto: Luisa Carcavale

Tra l’altro, la serie non è proprio impeccabile. Tanto per cominciare un’ora e venti a episodio è quasi una violazione dei diritti umani dello spettatore. Da quando un giallo ha bisogno di sottrarci tutto questo tempo per spiegarci chi ha ucciso chi e perché? Come se non bastasse, nell’arco narrativo delle quattro puntate accade un fatto strano. Nel primo episodio, il caso è noioso e mal scritto, ma l’alchimia tra Petra e la sua spalla Monte è perfetta. Sia la Cortellesi che il coprimario Andrea Pennacchi sono perfettamente in parte: c’è intesa, sono realistici, funzionano. Bella anche l’idea di dare vita a un legame che sia un po’ più che amichevole ma non amoroso: una sorta di fratellanza professionale tra sessi diversi. Poi, dalla seconda puntata, la situazione si ribalta: i gialli iniziano a diventare interessanti (il terzo, sugli eunuchi, lo è in modo particolare), mentre la Cortellesi si incarta. Diventa di colpo rigida, si incaglia in un’espressione da mandibola tesa e sguardo vitreo che non aiuta. Probabilmente è solo un problema di regia, perché il talento della Cortellesi è insindacabile, ma il risultato è che inizi a crederci un po’ meno. Tutto è freddo: forse troppo freddo, per quest’estate così anomala e priva di calore umano.

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