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Avercene di Paul Gascoigne

L'espressione 'genio e sregolatezza' potrebbero averla inventata per lui. Su Amazon Prime il documentario che racconta la vita dell'ex calciatore: non un lavoro per tifosi, ma per chiunque voglia apprezzare una figura decisamente straordinaria

LONDON, UNITED KINGDOM - MAY 01: Tottenham and England player Paul Gascoigne pulls a face for the camera during a photo call in 1990 in London, England. (Photo by David Cannon/Getty Images)

Inquadrato e affranto durante il documentario, Paul Gascoigne dice solo una bugia: «Se ci fosse stato del gin al posto dell’acqua avrei giocato meglio». Poi ride. Forse sa di aver detto una sciocchezza. L’aneddoto si riferisce a un gol segnato in nazionale, che celebrò con la celebre esultanza della “sedia del dentista”, ovvero si sdraiò a terra mentre si faceva schizzare in bocca dai compagni dell’acqua da una borraccia. Era una forma di protesta verso i media, che gli stavano addosso in quel periodo e che lo dipingevano (solo) come un ubriacone.

Per colpa del gin forse Gazza si è rovinato la vita e la carriera e due volte ha rischiato di lasciarci la pelle. «Lui era così in campo e come uomo, uno che andava a 200 km/h e a quella velocità tutto è più pericoloso» dice Mourinho in piena adorazione, e aggiunge «certo avrebbe potuto limitarsi, ma alla fine ha scelto di essere se stesso, se l’è goduta e non so se sarebbe stato lo stesso calciatore se non lo avesse fatto. Lui è lo Special One».
L’alcool è una parte minore di un documentario un filino celebrativo, ma fantastico in onda su Amazon Prime Video: Gascoigne, di John Preston. Non è un lavoro per appassionati calciofili o nicchie di tifosi, ma una sorta di speciale su una delle più controverse e amate figure dell’Inghilterra. Non si tratta nemmeno di esaltare la poetica del fuori di testa a tutti i costi, l’estetica -oggi trap- del dannato. Ne abbiamo visti tanti di campioni tacciati di essere genio e sregolatezza, che non hanno ottenuto quanto avrebbero potuto e i loro nomi sono famosi: Balotelli, Mutu, Adriano, Cassano. Tutti festaioli incasinati, sfasciatori di Ferrari, rissosi, viziati a volte. Anche Gazza viene sempre messo in questo elenco ma non è corretto nei suoi confronti. Gazza era molto di più.



Paul Gascoigne è stato un grande calciatore (uno come Maradona, un campione, il migliore calciatore inglese di sempre sicuramente) e un uomo fragile, che ha pagato cari i suoi eccessi e che si presenta di fronte alla telecamera commuovendosi più volte, ma altrettante sfoderando il sorriso che lo ha reso celebre. Il bello di questo film è che non ha retorica, non è una storia di autocommiserazione né l’ennesima smielata sui calciatori eroi, ma è prima di tutto la storia di un uomo comune, che voleva dare spettacolo e far emozionare i suoi tifosi.

Il film, oltre a raccontare la sua vita, è anche un documentario su un’epoca: l’inizio degli anni Novanta, che sembrano vicini ma sono lontanissimi. Si racconta di un tempo in cui il trasferimento del calciatore per due milioni di sterline era l’affare più costoso della storia del calcio inglese, quando oggi «c’è chi quella cifra la guadagna in un mese» spiega l’ex campione. C’è anche l’Italia nel film e lo storico passaggio alla Lazio. Si vede una vespa che affianca la macchina del campione con un ragazzo romano che in un inglese stentato, prossimo al pianto, gli urla: «You are my god» e Gazza quasi non ci crede. «Gli italiani? Ero circondato da guardie del corpo, volevano tutti toccarmi. Avevo paura. Mai visto niente di simile. Da noi una ventina di persone si presentavano agli allenamenti, ma in Italia un migliaio. E se perdevi il derby dovevi chiuderti in casa per settimane perché ti davano la caccia».



Oggi i giocatori non sono degli dei ma sono delle divinità. I più pagati, i più famosi, i più invidiati. Gente come CR7 sposta le quotazioni in borsa della squadra e si parla di trasferimenti e cartellini come fosse un affare di stato. Il calcio è cambiato, il mondo è cambiato.

A vederlo con gli occhi di oggi quel Gascoigne non sembrava nemmeno un calciatore. Con quelle espressioni che sembrano quelle di un comico e il corpo da rugbista, si è sempre distinto per un comportamento fuori dalle righe e una classe spropositata. Ma non c’è niente di costruito in Gascoigne che come Scarface «è vero anche quando dice una bugia». Telefono a un amico laziale per chiedergli se si ricorda di lui e quasi scoppia a piangere. «Io ero un bambino e lui è stato il primo adulto bambino che ho visto, tifavo Lazio perché tifavo lui, sentivo che era come me».

Sulle sue ginocchia fragili e sul suo fegato spappolato hanno pesato gli anni di eccessi e di bottiglia ma il suo rapporto con l’alcol non è torbido e tormentato, piuttosto è come quello che avrebbe un ragazzino con le caramelle, ne mangia troppe senza rendersi conto del danno. «Chi ha detto che ero triste quando bevevo? In compagnia dei miei amici a bere e giocare al biliardo mi son sempre divertito» afferma, per poi aggiungere «i problemi sono iniziati quando bevevo da solo. Ecco lì sì che ero depresso».

C’è anche da dire che di problemi ne aveva e non pochi. A otto anni gli avevano affidato il suo migliore amico mentre la madre si assentava e lui se l’è visto morire tra le braccia investito da un’auto. Quando già era famoso fece una campagna per incitare a giocare a calcio anche gli asmatici e il suo cuginetto gli telefonò perché era malato proprio di asma. «È vero quello che dici in quell’articolo?» chiese. «Certo» rispose Gascoigne, e quello alla prima discesa in campo è morto perché non aveva il suo inalatore.
I fantasmi hanno tormentato Gazza per molto tempo. Il suo telefono è stato sotto controllo per undici anni e le sue conversazioni private finivano sulla stampa nazionale creandogli problemi coi propri familiari, con la moglie, con se stesso. Un pazzoide simpatizzante dell’IRA lo ha tenuto sotto scacco per sei mesi con minacce di morte per colpa di un’esultanza che non sapeva avesse un connotato politico. La stampa che lo aveva portato sull’olimpo della celebrità gli stava addosso aspettando solo un suo passo falso per poter strillare dei titoloni in prima pagina.
E lui col suo comportamento di assist ne ha sempre dati. Sono storiche le sue “gazzate”.

Gazza è uno che durante Italia-Inghilterra ai Mondiali del ’90 ha preso la testa di Agnelli tra le braccia e l’ha schiaffeggiata come in Benny Hill senza sapere che quel signore che voleva conoscerlo era lì per portarlo alla Juventus. Gazza si è presentato dalla regina di Inghilterra con la sagoma di una donna nuda, ha chiesto a Lady D. se poteva baciarlo, ha cagato nei calzettoni di Gattuso neo arrivato in squadra per fargli uno scherzo, si è spogliato accanto a Dino Zoff durante un viaggio in pullman mentre passavano sotto a una galleria ed erano rimasti al buio. Al risveglio Zoff che era severo e austero, marziale con tutti, semplicemente lo mandò a cagare. Ed è il ricordo di gente come Zoff che ci dice quanto fosse impossibile prendersela con Gascoigne. E dopo questo film lo amerete anche voi.

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