Questo non è un pezzo contro ‘Adolescence’ in sé, ma contro ‘Adolescence’ in voi | Rolling Stone Italia
Il dibattito sì

Questo non è un pezzo contro ‘Adolescence’ in sé, ma contro ‘Adolescence’ in voi

L’ottima serie Netflix è diventata (giustamente) un fenomeno. Ma cosa dice di noi (e del nostro essere ormai inattrezzati di fronte a qualsiasi cosa)?

Questo non è un pezzo contro ‘Adolescence’ in sé, ma contro ‘Adolescence’ in voi

Stephen Graham e Owen Cooper in ‘Adolescence’

Foto: Netflix

Questo non è un pezzo contro Adolescence in sé. Tutt’altro. Adolescence è una serie bella, una serie non dirò necessaria manco sotto tortura ma insomma utile a sollevare qualche domanda che non fa male, o forse sì. E poi tutto ciò che ha successo – che diventa, lo dico con una parolaccia, un fenomeno – ha sempre ragione.

Questo non è un pezzo contro Adolescence in sé: è un pezzo contro Adolescence in voi. L’abbiamo capito che vi è piaciuta; e, ben inteso, è giustissimo che vi sia piaciuta. L’abbiamo capito che vi ha toccato tantissimo. L’abbiamo capito che io-non-sono-genitore-di-un-figlio-adolescente-anzi-di-un-figlio-in-generale-e-non-posso-capire e voi sì – non sono neanche direttore della fotografia ma capisco i piani sequenza, che sono parte aggiuntiva dell’impazzimento collettivo.

Tutto ciò che è un successo ha ragione, ma tutto ciò che è un successo diventa facilmente proiettivo, diventa la-cosa-più-bella-che-ho-mai-visto, diventa esiste-un-prima-e-un-dopo. E non voglio essere nichilista o minimizzarli, questi successi: in tempi in cui nulla stupisce più, in cui niente smuove più nessuno, son ben contento se arriva qualcosa che accende, infiamma, brucia.

Son felice, detto senza la retorica del quanto-sono-belle-e-necessarie-(pardon)-le-sale, che quest’anno l’abbia fatto il cinema; sono contento se lo fa una serie che scuote un po’ le nostre serate sul divano, in un’annata in cui tutto quello che è arrivato in Tv o sulle piattaforme sembrava una somministrazione passiva delle solite pillole, toh, beccate pure questa e mandala giù.

Il problema è che siamo diventati (mi ci metto anch’io per eleganza), se non analfabeti, inattrezzati di fronte a tutto, e allora ci stupiamo per tutto, anzi ci impressioniamo, come se ogni cosa fosse nuovissima, come se non fosse mai esistito niente prima. E il problema ulteriore è che vogliamo essere colpiti e affondati subito, perché non abbiamo più pazienza, perché siamo abituati alle solite pillole somministrate in fretta.

E quindi – pur nella bontà di soggetto, sceneggiatura, regia, recitazione, qualsiasi cosa – Adolescence diventa, suo malgrado, la prova evidente di questo bisogno di sbalordimento da somministrare in un’unica dose. Quattro puntate, tutte in piano sequenza appunto (una roba davvero mai vista, che choc!), con il tema da dibattito che riverbera sui social, sui giornali (o quel che ne resta), ovunque, e allora fuori l’insegnante, lo psicologo, la femminista, il prete, c’è qualcuno a caso in sala per un commento sui giovani maschietti incel? (Sul tema, consiglio di vedere o rivedere Buone notizie di Elio Petri, che ha anticipato la manosfera di quarantacinque anni. Si noleggia su Prime.)

È l’effetto inverso di The White Lotus, e non la cito a caso: è l’altro titolo di cui si parla in questi giorni. Ma se ne parla arrivati alla sesta puntata della terza stagione, dopo cinque episodi a sbuffare: “Ma che noia, ma non è come le stagioni precedenti”. Perché chi, ripeto, ha più pazienza? Chi vuole aspettare che storia si è immaginata un autore nell’arco di otto ore? Fatemi capire subito tutto nei primi otto minuti.

Stephen Graham, ideatore e protagonista di Adolescence, dice che non immaginava che questa serie sarebbe diventata una bomba che esplode fra le mani, e gli credo. Ma gli inglesi, da sempre bravissimi a scrivere e lo sappiamo, sono evidentemente gli unici oggi – almeno insieme ai sudcoreani – a saper intercettare così bene gli umori universali attraverso prodotti diciamo così “arty”, o in ogni caso in controtendenza rispetto alle regole algoritmiche della serialità corrente. Adolescence è la parente strettissima, un anno esatto dopo, di Baby Reindeer, altra bello serie per cui però mi veniva da urlare: “Ma non avete mai visto niente prima?”.

Vi aspetto tra un anno esatto con un’altra Baby Reindeer, un’altra Adolescence, un’altra serie che non-avevo-mai-visto-niente-di-simile. E ancora una volta avranno ragione loro, avrete ragione voi, e io me la guarderò in una sera, e mi piacerà pure, e però mi verrà da sbuffare un po’, leggendo i vostri post io-non-sono-più-quello-di-prima. Ma ci pensiamo l’anno prossimo, adesso basta, vado a procurarmi un figlio adolescente, così siete contenti.

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