Nell’economia del lavoro moderna, quando a ogni lavoratore in qualunque settore viene chiesto di fare di più con meno risorse, quando ricevere un messaggio di lavoro o un messaggio Slack alle 21 non sembra tanto improbabile, quando la capricciosità dei poteri forti sembra crescere allo stesso ritmo esponenziale dei loro conti in banca e quando le altre possibilità di impiego sono così rare che i dipendenti non hanno altra scelta che accettare tutto il resto, a volte può sembrare che il lavoro abbia preso il sopravvento sulla vita. Ovviamente questo non è certo un buon periodo lavorativamente parlando, ma è il momento perfetto per il tanto atteso ritorno di Scissione (dal 17 gennaio su Apple TV+).
La seconda stagione della serie, che arriva a tre anni dalla prima, fa quello a cui aspira la grande fantascienza, ovvero utilizzare la tecnologia futuristica e altri concetti esagerati per commentare il mondo in cui viviamo oggi. La storia si svolge negli uffici di Lumon e dintorni, una mega-azienda gestita dalla famiglia Eagan che ha sviluppato un processo per separare mentalmente la personalità lavorativa e quella privata dei dipendenti in due entità distinte: un “innie” in ufficio e un “outie” fuori. Nel corso della strepitosa prima stagione, abbiamo visto le versioni innie di Mark (Adam Scott), Helly (Britt Lower), Irving (John Turturro) e Dylan (Zach Cherry) lottare con la loro deprimente “mezza vita”, in cui non possono mai uscire dall’ufficio, o dormire, o anche solo vedere com’è il cielo. E abbiamo visto che outie Mark non stava guadagnando la pace mentale che sperava dall’accordo, soprattutto dopo che il collega di innie Mark, Petey, si è presentato a casa sua dopo aver tentato di reintegrare le sue due personalità. No, questa tecnologia non esiste nel mondo in cui viviamo. Ma dato quanto velocemente ogni azienda tecnologica si sta affrettando a ricreare idee contro cui vari film e programmi di fantascienza ci hanno messo in guardia, vi sorprenderebbe sapere che qualche magnate della Silicon Valley guardava la prima stagione e intanto prendeva appunti?
Nel corso degli episodi precedenti, la tensione dentro e fuori Lumon è cresciuta fino a raggiungere un finale spettacolare in cui gli innie sono riusciti a impossessarsi brevemente dei corpi dei loro outie, nel tentativo di raccontare al resto del mondo la natura da incubo della loro esistenza. Quell’episodio, The We We Are (in italiano Il nostro vero io, ndt), è stato uno dei più tesi ed emozionanti di una serie tv drammatica che abbia mai visto, e si è concluso con un paio di colpi di scena inquietanti: innie Mark ha scoperto che la signorina Casey (Dichen Lachman), la consulente benessere del piano, era in realtà la moglie di outie Mark, Gemma, che il mondo credeva morta; e Helly scopre che la sua outie è Helena Eagan, membro del crudele clan che governa Lumon. Ma tra l’high concept della serie e la natura estrema della ribellione degli innie, era giusto chiedersi se il team di produzione, tra cui il creatore Dan Erickson e il regista Ben Stiller, sarebbe riuscito a farla funzionare oltre quello straordinario primo capitolo.
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Tramell Tillman è Milchick. Foto: Apple TV+
Che sollievo, e ancora di più che piacere, è stato immergersi nei 10 episodi della seconda stagione e scoprire che Scissione è ancora Scissione. Ci sono alcuni intoppi narrativi qua e là (come, a dire il vero, nella prima stagione), ma nel complesso i nuovi episodi sono emozionanti, sorprendenti, oscuramente divertenti e originali come i precedenti.
Sono passati tre lunghissimi anni da The We We Are, e anche se nel frattempo alcuni dettagli mi erano sfuggiti (*), è stato notevole come fossero ancora così vividi dopo così tanto tempo. Il merito è di quanto fosse ottima e dettagliata la prima stagione, ma anche di come la seconda ci riporti subito nel vivo della storia.
(*) Anche la clip di tre minuti “Precedentemente, suScissione” che introduce il primo episodio deve sorvolare su alcune cose che avevo dimenticato, in particolare la dottoressa Reghabi (interpretata da Karen Aldridge), la scienziata che ha tentato di reintegrare Petey, e chi ha ucciso il capo della sicurezza di Lumon davanti a outie Mark.
Senza rivelare troppo su cosa succeda dopo, in una serie in cui le sorprese sono una parte sostanziale del divertimento, i nuovi episodi trovano un modo elegante e convincente per far uscire i personaggi da tutti gli angoli in cui erano apparentemente stati messi l’ultima volta che li abbiamo visti. Non è uno spoiler scrivere che, alla fine, la serie riporta i quattro personaggi principali alla partenza, in parte appoggiandosi allo scenario senza via d’uscita della scissione: essere un innie è un inferno, ma l’alternativa è l’oblio. Come dice il signor Milchick, il supervisore allegramente minaccioso interpretato dalla rivelazione della prima stagione Tramell Tillman in modo passivo-aggressivo a outie Mark: “Non vorrei premiare il coraggio [di innie Mark] con la non esistenza”. Nel corso della stagione, ogni ribellione che innie Mark tenta — cercare la signorina Casey, provare a scoprire cosa stiano realmente facendo gli Eagan e molto altro — continua a scontrarsi con la stessa domanda: esiste una versione del successo della sua missione che non finisce con lui che cessa di esistere? La vita che conduce è orribile, ma sembra essere l’unica disponibile per lui e per le persone a cui tiene. È un nodo apparentemente impossibile da sciogliere, e la stagione ne trae parecchia soddisfazione e tutta la tensione necessaria.
Erickson e gli altri autori insistono ancora di più sulla natura settaria di Lumon e degli Eagan. Sembra una versione esagerata del doppio linguaggio aziendale contemporaneo su come il tuo lavoro sia come la tua famiglia, ma non così esagerato. Milchick e il resto del management continuano a lanciare eufemismi ridicoli e vere e proprie bugie contro gli innie, dando per scontato che il processo di scissione li abbia resi troppo ingenui e ignoranti per riconoscerli come tali.
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Foto: Jon Pack/Apple TV+
Ma la premessa della serie fa sì che tutto sembri una versione leggermente più grande e/o più folle della nostra realtà. Quello che in un’altra serie potrebbe facilmente sembrare un cliché, assume qui un significato nuovo e più profondo. Uno degli innie dice all’altro, riguardo al suo outie: “Non mi interessa chi sei là fuori. Mi interessa chi sei con me”. Una versione di questo potrebbe essere detta in un tradizionale dramma sul posto di lavoro, ma il suo carattere letterale qui conferisce al tutto molto più peso, trasformandolo in una delle domande chiave della serie: nel capitalismo in fase avanzata, siamo forse più vicini al nostro vero io quando lavoriamo anziché quando facciamo tutto il resto?
Molti altri momenti e idee sembrano fuori asse a causa della realtà alterata in cui si verificano. Niente pare giusto, e tutto è più intenso di quanto dovrebbe essere, compreso il clima invernale così rigido che a volte la stagione rasenta il crossover con Fargo. Stiller, gli altri registi e il team di produzione fanno continuamente del loro meglio per far sì che ogni immagine e ogni suono risaltino, rendendo Scissione un prodotto su misura in un momento in cui la maggior parte delle altre serie sembra in qualche modo realizzata su una catena di montaggio. Come nella scorsa stagione, ci sono elementi che evocano Lost, come mappe disegnate a mano e frammenti di mitologia che si intravedono qua e là. A questo, la stagione aggiunge alcuni episodi leggermente fuori formato, uno che offre il punto di vista degli outie sugli eventi che abbiamo visto in precedenza con gli innie, e riflettori individuali puntati su Gemma e Harmony Cobel (Patricia Arquette), le più rumorose e ferventi credenti nel culto di Kier Eagan. Eppure, anche in questo caso, Scissione sembra meno una copia sfacciata di un predecessore di quanto la serie non trovi modi nuovi e intelligenti per onorare quella che ormai è una vecchia tradizione (*).
(*) Questo include la consapevolezza che serie come Lost abbiano condizionato alcuni spettatori a guardare le serie come se fossero enigmi da risolvere. All’inizio della nuova stagione, ho iniziato a chiedermi se ci fosse un nuovo mistero nascosto in bella vista, e poi ho iniziato a preoccuparmi che Scissione, come troppi titoli post-Lost, avrebbe cercato di trascinare quest’idea per l’intera stagione, a lungo oltre il punto in cui ogni spettatore l’aveva capito. Al contrario, un personaggio della serie inizia a porsi le stesse domande che mi facevo io, e la stagione fornisce risposte definitive ben prima che la situazione diventi noiosa. A differenza della gestione dei dipendenti licenziati da parte di Lumon, Scissione rispetta l’intelligenza del suo pubblico.
Il finale di stagione porta ancora una volta vari personaggi a un apparente punto di non ritorno, in un modo che dialoga intelligentemente con gli eventi della fine della prima stagione. A questo punto, però, è giunto il momento di smettere di discutere la fattibilità del concept. Visto come si era conclusa la prima stagione, questa non ha più motivo di funzionare, figuriamoci così bene. Ormai Scissione si è guadagnata il diritto di intraprendere qualsiasi direzione folle e apparentemente insostenibile desideri il suo team creativo. Speriamo che abbiano potuto rivedere le loro famiglie, o almeno respirare un po’ di aria fresca e ammirare il sole di tanto in tanto, durante il lunghissimo processo di creazione di questa bellissima stagione.