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Sì, ‘M – Il figlio del secolo’ è bellissima (e importante) come dicono

L’accoglienza (giustamente) trionfale a Venezia, l’attesa di mesi, il dibattito già partito. Ora la serie tratta dal romanzo di Antonio Scurati starring Luca Marinelli arriva su Sky e NOW. E noi vi diciamo solo: zitti, e guardatela

Foto: Sky

Tra tutte le presentazioni possibili, quella di M – Il figlio del secolo poco prima di Natale con le scuole superiori di Roma e del Lazio (si chiama Progetti Scuola ABC) era il test più interessante, per alcuni delicato, certamente rilevante. Come prenderanno questi ragazzi di sedici, diciassette anni questa origin story del fascismo, in tempi in cui i neofascismi sembrano sedurre così tanto i giovani, almeno certi giovani? E pure i già maggiorenni, si saranno già fatti un’idea pure elettorale oppure avranno l’eterna scusa dei licei italiani: “Non ci siamo ancora arrivati col programma”?

Che è un po’ tutto quello che sta alla base dell’adattamento del romanzo Premio Strega di Antonio Scurati. Ancora più del romanzo stesso, questa serie si chiede, e chiede: e oggi? Cent’anni dopo, certi modi e certe mode sono così diversi? E certe ricadute sulle storie e sulla Storia, sicuri che siano impraticabili, impossibili, irripetibili?

E difatti quella mattina con me Luca Marinelli (protagonista nei panni di Mussolini, lo sapete), Joe Wright (regista), Stefano Bises e Davide Serino (sceneggiatori) avevano le antenne diritte, volevano sapere che ne pensavano quei ragazzi e quelle ragazze, cos’era loro già arrivato e cosa no, e cosa c’era di nuovo, in quella cosa che avevano appena visto.

«Per la prima volta nessuno si è alzato, neanche per andare in bagno o a fumare una sigaretta: con gli altri film era successo sempre», mi dice una delle organizzatrici di questa rassegna di cinema con le scuole. Io pure ho rivisto il primo monologo di Mussolini/Marinelli, quello in cui guarda in macchina e detta subito il tono, in sala insieme a loro, e c’era solo silenzio, concentrazione, forse sorpresa. «Ho scoperto l’uomo che odia le donne, che odia tutti», dirà un ragazzo dopo la visione dei primi due episodi. «Era un uomo piccolo, anche se si raccontava grande», commenterà una compagna.

Di M – da oggi, 10 gennaio, su Sky e NOW – si è scritto molto, e non ripeterò io quanto detto. Già dalla Mostra di Venezia, dove alcuni avevano lamentato che non fosse addirittura in concorso, la reazione è unanime: bellissima. Bellissima la scrittura, bellissimo il cast (Marinelli è monumentale, certo, ma ci sono anche Francesco Russo, Barbara Chichiarelli, Paolo Pierobon, Gaetano Bruno, Vincenzo Nemolato, tantissimi altri), bellissima la resa visiva di Wright, inglese a Roma che mischia autorialità e pop (come del resto nel suo cinema, da Espiazione all’Ora più buia al sottovalutatissimo Cyrano). Tutto vero, tutto già detto.

Ma è bellissimo quello che un oggetto come questo può far succedere. Certo, ci sono quelli che – visto che la serie è tanto attesa, visto che è su quel tema lì, visto che è bella – devono fare i ganzi: “Se Marinelli soffriva tanto a fare Mussolini perché non ha rifiutato il ruolo, invece di stare qui a frignare adesso?”. Lasciamoli perdere, tutti devono occupare il tempo libero.

Vediamo che succede oggi che esce, che cosa produce. Se il silenzio come con quei ragazzi, o che cos’altro. L’arte non deve rassicurare mai, e M non lo fa di certo. Non lo vuole fare. Di Mussolini è raccontata anche la capacità di sedurre le masse, l’italianità che ci appartiene, il guizzo, la modernità (gli si darebbe quasi in mano i giornali morti di oggi).

Luca Marinelli in una scena della serie diretta da Joe Wright. Foto: Sky

E poi, ovviamente, tutto il nero. La storia in fondo piccola, da marionetta più che da burattinaio, in una Storia grande (magnifico il lavoro sull’archivio, impastato alla ricostruzione pur fedelissima come in un’opera di videoarte, ma mai compiaciuta). Il fascismo nella sua essenza, talvolta anche più spaventosa, insinuante, dei fatti. Non anticipo le cose che arriveranno dopo, in queste otto puntate che sono un unico grande film, come si usa oggi con la serialità. Un unico grande film che cresce a poco a poco, monta, ubriaca, ammazza. Come l’elettronica chemical di Tom Rowlands che pompa sotto.

«Mi aspettavo… tipo una fiction», dice un altro ragazzo quella mattina in quel cinema di Roma, ed è un’altra delle reazioni più giuste. Nel nostro panorama che ha sempre trattato il racconto della politica come una cosa da addomesticare (c’entrano anche i finanziamenti pubblici), M – Il figlio del secolo è qui per far vedere il marcio delle Marce. Su Roma o dove sono passate poi, dove passano oggi. E per questo, oltre che bella, questa serie è una cosa importante. E adesso silenzio: parla Mussolini.

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